martedì 20 febbraio 2024

 




In Italia alcune regioni ricoverano ancora i minori in affidamento fuori famiglia negli Istituti, oggi vietati da 16 anni (31 dicembre 2006) dalla Legge 149/2001.

Il Quaderno 50 del Ministero di Giustizia e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali che riporta la “Quinta relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001 - Periodo di riferimento 2017-2020” ci dà i dati statistici sui minori in affidamento fuori famiglia dicendoci che questi bambini e adolescenti sono ricoverati in “Comunità o in Istituti.”[1]

La relazione prosegue ricordandoci che la Legge 184/1983 e segg. dice che: “I minorenni temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo possono essere affidati a una famiglia o a una persona singola, oppure, ove ciò non sia possibile, collocati presso una comunità di tipo familiare, caratterizzata da un’organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli tipici di una famiglia. - L’art.2, c. 2 L.184/1983 stabilisce che minorenni di età inferiore a sei anni possano essere inseriti esclusivamente presso una Comunità di tipo familiare, mentre l’art. 2, c. 4 L. 184/1983 ha imposto il superamento dei ricoveri in istituto, entro il 31 dicembre 2006, per i minorenni di qualsiasi età. Le Comunità di tipo familiare sono gestite da coppie di genitori o da adulti che vi risiedono e possono ospitare fino a un massimo di 6 minori, compresi gli eventuali figli minorenni dei titolari. È accordata la precedenza all’accoglienza di bambini di età inferiore ai 5 anni.

Come si esporrà in seguito, non sempre si è sviluppata nei territori una “rete” di Comunità di tipo familiare in grado di soddisfare le esigenze di minorenni da collocare, in ragione delle difficoltà di reperire coppie disponibili e del contenuto complesso del servizio che deve essere prestato. I paramenti organizzativi e di ricettività delle Comunità sono regolamentati dalle amministrazioni regionali.

Pertanto, come riferito nel capitolo sull’adozione, non è infrequente la destinazione di minorenni in collocamento a Comunità ubicate fuori Regione o distretto. Si rammenta nuovamente che i dati riportati risultano dai questionari compilati da 28 delle 29 Procure minorili.”[2]

Nota bene:

Incredibilmente lo stesso Ministero ci sottolinea in una relazione ufficiale che fa riferimento fino all’anno 2020, firmata dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e da quello di Giustizia che ci sono ancora minori ricoverati in maniera illecita in istituti dicendo a proposito del superamento dei vincoli per il ricovero di minorenni nelle strutture residenziali: “La quasi totalità delle Procure (24, per una quota dell’86%) dichiara che nei territori di propria competenza le Comunità di tipo familiare hanno sostituito completamente gli istituti di ricovero per i minorenni temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo. Viceversa 4 Procure, corrispondenti al 14% di quelle che hanno rilasciato informazioni, ricorre anche al collocamento dei minorenni in Comunità educative assistenziali, in grado comunque di assicurare ai minorenni accudimento specializzato, in quanto il numero dei posti disponibili in Comunità di tipo familiare è inferiore a quello, talora ingente, di minorenni da collocare, tra i quali figurano anche quelli stranieri non accompagnati.” [3]

Quindi da quello che si dice qui, non tutte, ma quasi tutte le comunità sembrerebbero di tipo familiare cosa grandemente in contrasto con l’informazione della stessa relazione fornitaci dallo stesso ministero da noi riportata nel capitolo “La maggioranza dei minori allontanati dalla propria famiglia non vengono mandati in comunità familiari come prescrive la legge.” in cui si dice che dal 2012 al 2019 le comunità di tipo familiare erano state pochissime rispetto a tutte le altre con una media del 16,05%. (nell’anno 2010 erano il 22,0%[4], nell’anno 2011 il 19,6%[5], nell’anno 2012 il 25,5%[6], nell’anno 2014 il 17,0%[7], nell’anno 2017 il 15,9%[8], nell’anno 2019 il 17,7%[9] e nell’anno 2020 il 16,7%.[10])

Per ulteriore chiarezza riportiamo per l’ennesima volta cosa ci dice in proposito proprio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nelle “Linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni” che dice testualmente: “Nello specifico, per accoglienza familiare si intende quella realizzata all’interno di una famiglia preesistente al percorso di inserimento. Per accoglienza di tipo familiare si intende invece quella garantita da adulti che, pur non avendo tra di loro vincoli familiari o parentali, realizzano un ambiente che richiama la dimensione familiare.”[11] E ancora ricordiamo anche che all’art.3 (Strutture di tipo familiare e comunità di accoglienza di minori) del Decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 308, al Comma 1. si dice che:

“Le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono, fino ad un massimo di sei utenti, anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale, devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione. Per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo - assistenziali dei bambini e degli adolescenti, sono stabiliti dalle regioni.”[12]

Infine aggiungiamo che la fondazione AI.BI. “Amici dei Bambini” ha pubblicato il 7 febbraio 2014 un articolo dal titolo “Le comunità educative non sono le “Case Famiglia” previste dalla 149/2001: sono fuori legge e vanno chiuse.” [13] - fra le altre cose l’articolo si chiede - Cosa ha a che vedere con i rapporti familiari una comunità gestita da un direttore che svolge una prestazione lavorativa? Che cosa hanno a che vedere il ruolo di educatori e altre figure professionali retribuite con una organizzazione familiare? La risposta è: nulla. Ecco perché nella mente del legislatore del 2001, già proiettata proprio nel “superamento del ricovero in istituto” c’era la precisa volontà di disseminare nel nostro Paese strutture rivoluzionarie: le case-famiglia. […] É importante allora prendere atto che le comunità non caratterizzate da rapporti e organizzazione analoghi a quelli che si trovano in una famiglia – cioè quelle che non hanno la presenza “qualificante” di una famiglia – sono già oggi fuori legge e dovrebbero essere chiuse, trattandosi – nella sostanza – di piccoli istituti, ovverosia quelli aboliti dalla 149. Nello spirito della stessa legge, è contenuto molto di più che un semplice auspicio: l’unica comunità di tipo “familiare” legittimamente ammessa è, e deve essere, la casa-famigliaTutto quello che rappresenta e ripropone lo schema degli istituti è invece destinato alla chiusura.

Tutto ciò ci conferma che in Italia ci sono regioni che sembrano non tutelare i diritti dei minori e i ministeri lo sanno e lo sanno anche le procure minorili nonostante che l’art.9 L. 184/1983 [e segg. n.d.r.] attribuisca loro il compito di svolgere attività di vigilanza sui minori accolti in strutture residenziali.

Qualcuno vuole provvedere a salvaguardare la vita e l’avvenire di questi bambini e adolescenti già in situazione di grave precarietà per la loro condizione di affidati fuori famiglia?



[10] Per la Sicilia il dato non è calcolabile - Pag.39 QRS-53-Minorenni-affidamento-2020 (9).pdf

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