In Italia alcune regioni ricoverano ancora i minori in affidamento fuori famiglia negli
Istituti, oggi vietati da 16 anni (31 dicembre 2006) dalla Legge 149/2001.
Il
Quaderno 50 del Ministero di Giustizia e quello del Lavoro e delle Politiche
Sociali che riporta la “Quinta relazione sullo stato di attuazione della legge
149/2001 - Periodo di riferimento 2017-2020” ci dà i dati statistici sui minori
in affidamento fuori famiglia dicendoci che questi bambini e adolescenti sono
ricoverati in “Comunità o in Istituti.”[1]
La relazione prosegue ricordandoci che la Legge 184/1983 e segg. dice che: “I minorenni temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo possono essere affidati a una famiglia o a una persona singola, oppure, ove ciò non sia possibile, collocati presso una comunità di tipo familiare, caratterizzata da un’organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli tipici di una famiglia. - L’art.2, c. 2 L.184/1983 stabilisce che minorenni di età inferiore a sei anni possano essere inseriti esclusivamente presso una Comunità di tipo familiare, mentre l’art. 2, c. 4 L. 184/1983 ha imposto il superamento dei ricoveri in istituto, entro il 31 dicembre 2006, per i minorenni di qualsiasi età. Le Comunità di tipo familiare sono gestite da coppie di genitori o da adulti che vi risiedono e possono ospitare fino a un massimo di 6 minori, compresi gli eventuali figli minorenni dei titolari. È accordata la precedenza all’accoglienza di bambini di età inferiore ai 5 anni.
Come si esporrà in seguito,
non sempre si è sviluppata nei territori una “rete” di Comunità di tipo
familiare in grado di soddisfare le esigenze di minorenni da collocare, in
ragione delle difficoltà di reperire coppie disponibili e del contenuto complesso
del servizio che deve essere prestato. I paramenti organizzativi e di
ricettività delle Comunità sono regolamentati dalle amministrazioni regionali.
Pertanto, come riferito nel capitolo sull’adozione, non è infrequente la destinazione di minorenni in collocamento a Comunità ubicate fuori Regione o distretto. Si rammenta nuovamente che i dati riportati risultano dai questionari compilati da 28 delle 29 Procure minorili.”[2]
Nota bene:
Incredibilmente
lo stesso Ministero ci sottolinea in una relazione ufficiale che fa riferimento
fino all’anno 2020, firmata dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e
da quello di Giustizia che ci sono ancora minori ricoverati in maniera illecita
in istituti dicendo a proposito del superamento dei vincoli per il ricovero di
minorenni nelle strutture residenziali: “La quasi totalità delle Procure (24,
per una quota dell’86%) dichiara che nei territori di propria competenza le
Comunità di tipo familiare hanno sostituito completamente gli istituti di
ricovero per i minorenni temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo.
Viceversa 4 Procure, corrispondenti al 14% di quelle che hanno rilasciato
informazioni, ricorre anche al collocamento dei minorenni in Comunità educative
assistenziali, in grado comunque di assicurare ai minorenni accudimento
specializzato, in quanto il numero dei posti disponibili in Comunità di tipo
familiare è inferiore a quello, talora ingente, di minorenni da collocare, tra
i quali figurano anche quelli stranieri non accompagnati.” [3]
Quindi da quello che si dice
qui, non tutte, ma quasi tutte le comunità sembrerebbero di tipo familiare cosa
grandemente in contrasto con l’informazione della stessa relazione fornitaci
dallo stesso ministero da noi riportata nel capitolo “La maggioranza dei minori
allontanati dalla propria famiglia non vengono mandati in comunità familiari
come prescrive la legge.” in cui si dice che dal 2012 al 2019 le comunità di
tipo familiare erano state pochissime rispetto a tutte le altre con una media del
16,05%. (nell’anno 2010 erano il 22,0%[4],
nell’anno 2011 il 19,6%[5],
nell’anno 2012 il 25,5%[6],
nell’anno 2014 il 17,0%[7],
nell’anno 2017 il 15,9%[8],
nell’anno 2019 il 17,7%[9]
e nell’anno 2020 il 16,7%.[10])
Per
ulteriore chiarezza riportiamo per l’ennesima volta cosa ci dice in proposito
proprio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nelle “Linee di
indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni” che dice
testualmente: “Nello specifico, per accoglienza familiare si intende quella
realizzata all’interno di una famiglia preesistente al percorso di inserimento.
Per accoglienza di tipo familiare si intende invece quella garantita da adulti
che, pur non avendo tra di loro vincoli familiari o parentali, realizzano un
ambiente che richiama la dimensione familiare.”[11] E
ancora ricordiamo anche che all’art.3 (Strutture di tipo familiare e comunità
di accoglienza di minori) del Decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 308, al
Comma 1. si dice che:
“Le comunità di tipo familiare
e i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità
assistenziale, che accolgono, fino ad un massimo di sei utenti, anziani,
disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà per i quali la permanenza
nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente impossibile o
contrastante con il progetto individuale, devono possedere i requisiti
strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione. Per le
comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati
alle necessità educativo - assistenziali dei bambini e degli adolescenti, sono
stabiliti dalle regioni.”[12]
Infine aggiungiamo che la fondazione AI.BI. “Amici
dei Bambini” ha pubblicato il 7 febbraio 2014 un articolo dal titolo “Le
comunità educative non sono le “Case Famiglia” previste dalla 149/2001: sono
fuori legge e vanno chiuse.” [13] - fra
le altre cose l’articolo si chiede - Cosa ha a che vedere con i rapporti
familiari una comunità gestita da un direttore che svolge una prestazione
lavorativa? Che cosa hanno a che vedere il ruolo di educatori e altre figure
professionali retribuite con una organizzazione familiare? La risposta è: nulla.
Ecco perché nella mente del legislatore del 2001, già proiettata proprio
nel “superamento del ricovero in istituto” c’era la precisa volontà di
disseminare nel nostro Paese strutture rivoluzionarie: le case-famiglia.
[…] É importante allora prendere atto che le comunità non caratterizzate da
rapporti e organizzazione analoghi a quelli che si trovano in una famiglia –
cioè quelle che non hanno la presenza “qualificante” di una famiglia – sono
già oggi fuori legge e dovrebbero essere chiuse, trattandosi – nella
sostanza – di piccoli istituti, ovverosia quelli aboliti dalla 149. Nello
spirito della stessa legge, è contenuto molto di più che un semplice auspicio:
l’unica comunità di tipo “familiare” legittimamente ammessa è, e deve essere,
la casa-famiglia. Tutto quello che rappresenta e ripropone lo
schema degli istituti è invece destinato alla chiusura.”
Tutto
ciò ci conferma che in Italia ci sono regioni che sembrano non tutelare i
diritti dei minori e i ministeri lo sanno e lo sanno anche le procure minorili nonostante
che l’art.9 L. 184/1983 [e segg. n.d.r.] attribuisca loro il compito di
svolgere attività di vigilanza sui minori accolti in strutture residenziali.
Qualcuno
vuole provvedere a salvaguardare la vita e l’avvenire di questi bambini e
adolescenti già in situazione di grave precarietà per la loro condizione di
affidati fuori famiglia?
[3] Pag.102 – vedi nota - QUADERNO 50-2017-2020 Relazione-Legge-149-2001.pdf
[5] Pag.43 qrs25_affido
(lavoro.gov.it)
[6] Pag.41 http://sitiarcheologici.lavoro.gov.it/Strumenti/StudiStatistiche/sociale/Documents/Quaderni%20_Ricerca%20_Sociale%20_31%20Report%20MFFO%202.pdf
[8] Pag.51 https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Quaderni%20della%20Ricerca%20Sociale%2046,%20Rilevazione%20dati%20bambini%20e%20ragazzi%20in%20affidamento%20anno%202017/QRS-46-Rilevazione-Coordinata-Anno-2017.pdf
[10] Per la Sicilia il dato
non è calcolabile - Pag.39 QRS-53-Minorenni-affidamento-2020
(9).pdf

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