sabato 14 maggio 2016

Lettera aperta  ai cittadini di Mentana


Cari cittadini della mia città, vi siete mai chiesti quali sono i vostri diritti sociali? Qualcuno vi ha mai informato di cosa il Comune deve darvi per legge? Quando siete andati agli sportelli siete sicuri di aver ricevuto tutte le informazioni richieste? Quante volte siete tornati delusi o avviliti chiedendovi se l’indomani potevate dare ancora da mangiare ai vostri figli o se i vostri genitori anziani potevano avere dei sussidi o se i vostri congiunti avevano diritto alle cure mediche a spese del Comune o se dovevate pagarvele da soli e magari non avevate i soldi per farlo?
A me capitò un padre, incontrato sulla porta del Servizio Sociale, sguardo basso, quasi vergognoso che aspettava con me di entrare dall’assistente sociale.
Dopo aver aspettato una quarantina di minuti cominciammo a parlare e lui mi disse che aveva perso il lavoro e a casa stavano aspettando che tornasse con i soldi per fare la spesa.
Non so come fare, mi vergogno di chiedere, ma che devo fare, non è la prima volta che vengo ma le mie bambine hanno bisogno di tutto….
Un caso limite? Non credo oggi forse è la quasi normalità per moltissime famiglie italiane e forse di Mentana.
Chiesi a questo padre se si fosse letta la Carta dei Servizi Sociali del Comune, se non altro per sapere cosa gli spettava di diritto e comunque quali erano le prestazioni sociali che il Comune erogava. Lui mi disse cadendo dalle nuvole: “ ma cos’è questa Carta dei Servizi Sociali? Sarebbe interessante leggerla ma dove la trovo?”
Dove la trova?….ora lo so, a Mentana non esiste! Ma è nella Legge n.ro 328/2000 una "legge quadro" di 16 anni fa! Tutti i Comuni sono obbligati ad averla…eh si…. ma Mentana non l’ha!
Alcuni mesi fa i manifesti in città parlavano di un incontro “sociale” con gli anziani mentanesi nella Galleria Borghese. 
La sala era quasi piena, mancava solo l’Assessore alle Politiche Sociali, venne a salutare e poi se ne andò. I relatori parlarono di alcune cose, meno che della Carta dei Servizi Sociali.
Intervenendo chiesi come mai la nostra città non la prevede visto che la legge la impone. Dagli sguardi capii che pochi sapevano di cosa stessi parlando, qualcuno fece un sorriso imbarazzato, qualcuno si voltò di lato per non incontrare il mio sguardo interrogativo..... Qualcuno del comune poi balbettò dicendo che "comunque i cittadini potevano andare al Servizio Sociale a chiedere informazioni"
Allora, vi chiedo, provate ad andare al Servizio Sociale. E’ aperto al pubblico due volte sole a settimana, ora mi dicono addirittura un giorno solo e c’è una sola assistente sociale per 25.000 abitanti!
Ogni volta ci rispondono che non ci sono soldi e dobbiamo accontentarci….allora ci chiediamo perché circa un anno fa hanno speso tutti quei soldi per fare il monumento alle Forze Armate? Ben vengano i monumenti, ma non sarebbe stato meglio assumere una seconda assistente sociale? Con i soldi spesi ci avremmo pagato un anno del suo stipendio! Non che mi meravigli, più di una volta siamo addirittura stati senza di lei e per per mesi!
Ma siamo sicuri poi che non ci sono questi soldi? O sono spesi male? Qui a Mentana i bambini che sono tolti ai genitori e mandati in affidamento vanno direttamente in comunità mentre la legge dice espressamente che dovrebbero essere affidati ad una famiglia, poi, come seconda opzione, se non si trova questa famiglia devono andare in una comunità.
È scritto chiaro nella Legge del 4 maggio 1983, n. 184 emendata dalla 149 del 2000
Art.2 comma 1.
“Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.”
Art.2 comma 2.
“Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare [……].”
Possibile che nella nostra città non ci sia una coppia o un singolo che vuole in affidamento un bambino? Se volete vi posso fare già qualche nome!
La verità è che non si spende un euro per fare questa ricerca sulle famiglie disponibili a ll’affido di minori!

Non ci sono soldi nei Comuni?
Non è vero!

Sentite cosa dice il Rapporto del 2010 dei Ministeri di Giustizia e delle Politiche Sociali in proposito:

“[……] da queste informazioni, si desume che la spesa sociale da tempo ha assunto un’importanza crescente nei bilanci comunali, a sostegno della funzione sociale che i Comuni sono chiamati ad espletare. Nell’ultimo decennio, infatti, la funzione sociale dei Comuni si è andata irrobustendo fino ad assumere il valore del 16,6% della spesa corrente, e posizionandosi al terzo posto tra le principali voci di spesa degli Enti Locali. [……]”[1]

E ancora:
Nella relazione al 31 dicembre 2010 il Quaderno del Ministero della Ricerca Sociale 19 che parla di bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine e quindi anche di “affidamenti familiari e collocamenti in comunità”, fra le altre cose, si dice: [2]

  • i contributi medi nel 2010 erogati alle famiglie affidatarie variano da un minimo di 304 euro ad un massimo di 532 euro al mese a bambino.
  • I contributi per le comunità variano da 71 a 99 euro al giorno a bambino!

E stiamo parlando del 2010! Quanto danaro pubblico si sarebbe potuto risparmiare ogni anno solamente su questo capitolo di spesa?

E Allora ecco dove sarebbero i soldi! E queste sono solamente alcune delle informazioni che nessuno vi dice…

La Carta dei Servizi Sociali

Ma torniamo alla Carta dei servizi Sociali che riguarda gran parte dei cittadini di Mentana e non solo i minori, ma gli anziani i malati, gli indigenti, i genitori che hanno perso il lavoro e comunque  tutti coloro che hanno bisogno del Servizio Sociale e che hanno DIRITTO ad essere aiutati:

Cosa è?[3]
La legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 1861."
così recita testualmente:

1. Al fine di tutelare le posizioni soggettive degli utenti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la solidarietà sociale, d'intesa con i Ministri interessati, è adottato lo schema generale di riferimento della carta dei servizi sociali. Entro sei mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ciascun ente erogatore di servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti.

2. Nella carta dei servizi sociali sono definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Al fine di tutelare le posizioni soggettive e di rendere immediatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la carta dei servizi sociali, ferma restando la tutela per via giurisdizionale, prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti alla gestione dei servizi.

3. L'adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori delle prestazioni e dei servizi sociali costituisce requisito necessario ai fini dell'accreditamento.

A cosa serve?
            * a presentare ai cittadini tutti i servizi sociali per facilitare loro l’accesso
* ad informare il cittadino di tutti i dettagli dei Servizi erogati e quindi la descrizione particolareggiata di tutti i servizi sociali di cui l’utente  può servirsi dandogli nel contempo gli strumenti per verificarne il rispetto.
* ad informare i cittadini dei tempi e i modi in cui i servizi sono erogati
* a specificare quali sono i doveri dell’Ente erogatore dei servizi
* ad individuare gli obiettivi per il miglioramento dei servizi dell’Ente erogatore e quindi a fissarne gli standard di qualità 
* ad informare e a far partecipare gli utenti all’attività amministrativa dei servizi sociali
* a garantire i diritti degli utenti preservandoli da possibili disservizi del servizio sociale
* alla trasparenza dei tempi e nelle modalità di erogazione dei servizi sociali

I principi a cui si ispira la Carta dei Servizi Sociali
·         Principio all’ Informazione in generale
·         Principio della Tutela dei Diritti di Difesa e di Rivalsa del cittadino sull’Ente erogatore
·         Principio della Trasparenza dell’informazione
·         Principio della Partecipazione degli utenti alla formazione dei servizi
·         Principio della Continuità nell’erogazione dei servizi
·         Principio della Uguaglianza fra gli utenti e alla non discriminazione
·         Principio dell’Efficienza della pubblica amministrazione
·         Principio dell’Efficacia delle prestazioni ai cittadini
·         Principio della Riservatezza delle informazioni

E’ interessante riportare la definizione di cosa è  La Carta dei Servizi Sociali data dal Comune di Santangelo dei Lombardi:[4]  

“La Carta dei Servizi è il documento con il quale ogni ente erogatore di servizi assume una serie di impegni nei confronti della propria utenza riguardo i propri servizi’, le modalità di erogazione di questi servizi, gli standard di qualità e informa l’utente sulle modalità di tutela previste. L’introduzione della Carta dei servizi come strumento di tutela per i cittadini si ha con la
Direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994 "Principi sull’erogazione dei servizi pubblici".
Successivamente, con D.L. n.163 del 12 maggio 1995 convertito nella Legge n.273 dell’11 luglio u.s., “Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell’efficienza delle P.A.” è stata dettata la disciplina procedurale per il miglioramento della qualità dei servizi, demandando al Presidente del Consiglio dei Ministri di fissare, con proprio provvedimento, gli schemi generali di riferimento delle relative carte.
Nella Carta dei Servizi l’Ente dichiara quali servizi intende erogare, le modalità e gli standard di qualità che intende garantire e si impegna a rispettare determinati standard qualitativi e quantitativi, con l’intento di monitorare e migliorare la qualità del servizio offerto.
Di seguito alcuni dei principi fondamentali dettati dalla Direttiva e che sono alla base dell’erogazione dei servizi:
-  il principio dell’uguaglianza, per cui tutti gli utenti hanno gli stessi diritti;
-  deve essere garantita la parità di trattamento sia fra le diverse aree geografiche, sia fra le    diverse categorie o fasce di utenti;
-  i servizi devono essere erogati in maniera continua e regolare, e ove sia consentito dalla legislazione, gli utenti hanno diritto di scegliere l’ente erogatore;
-  gli utenti devono essere trattati con obiettività, giustizia ed imparzialità;
-il diritto alla partecipazione del cittadino deve essere sempre garantito, come deve essere garantita l’efficienza e l’efficacia dell’ente erogatore.
La Carta dei Servizi non è un semplice guida ma è un documento che stabilisce un “patto”, un “accordo” fra soggetto erogatore del servizio pubblico e utente basato su:
indicazione e definizione degli standard e della qualità del servizio semplificazione delle procedure anche tramite l’informatizzazione costruzione degli elementi che strutturano il pacchetto dei servizi promozione del servizio e informazione del servizio verifica del rispetto degli standard del servizio predisposizione di procedure di ascolto e customer satisfaction, di semplice comprensione e di facile utilizzazione in caso di disservizio, il diritto alla tutela esercitabile mediante lo strumento del reclamo coinvolgimento e partecipazione del cittadino-utente alla definizione del progetto”

Brevi riflessioni sulla Carta dei Servizi Sociali
Il primo comma dell’art. 13 della legge n. 328 del 2000 obbliga “ciascun ente erogatore di servizi” ad adottare “una carta dei servizi sociali” ed a “darne adeguata pubblicità agli utenti”, entro un termine da ritenersi meramente ordinatorio alla luce del tenore letterale  della norma.
Per l’individuazione degli enti obbligati soccorrono, in particolare, due disposizioni della medesima legge:
- l’art. 1, comma 5, che demanda la gestione e l’offerta dei servizi a “soggetti pubblici” e a “organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazione, enti di patronato e altri soggetti privati”;
- l’art. 6, comma 2, lett. b), che afferma la spettanza ai Comuni della “erogazione dei servizi”.
È ovvio che i Comuni, in qualità di “Enti erogatori di servizi”, siano tenuti all’adozione della Carta dei Servizi Sociali.
Infatti  leggiamo nel Decreto Legislativo del 14 marzo 2013, n. 33:
“Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione
di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.” Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 80 del 5 aprile 2013, [5]  Capo IV “Obblighi di pubblicazione concernenti le prestazioni offerte e i servizi erogati”
Art. 32
1. Le pubbliche amministrazioni pubblicano la Carta dei Servizi o il documento contenente gli standard di qualità dei servizi pubblici.

E ancora  la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 gennaio 1994 "Princìpi sull'erogazione dei servizi pubblici" Pubblicata nella G.U. 22 febbraio 1994, n. 43 sotto la voce “Informazione agli utenti” Chiarisce:
1. I soggetti erogatori assicurano la piena informazione degli utenti circa le modalità di prestazione dei servizi. In particolare:
a) rendono noto agli utenti, tramite appositi avvisi e opuscoli chiari e facilmente leggibili, le condizioni economiche e tecniche per l'effettuazione dei servizi;
b) pubblicano gli esiti delle verifiche compiute, secondo le modalità di cui al successivo paragrafo 5 di questo titolo, sul rispetto degli standard;
c) informano tempestivamente, anche mediante i mezzi di informazione, gli utenti circa ogni eventuale variazione delle modalità di erogazione del servizio;
d) curano la pubblicazione di testi in cui siano inclusi tutti gli atti che disciplinano l'erogazione dei servizi e regolano i rapporti con gli utenti. Le modificazioni che si rendono successivamente necessarie sono inserite nei testi esistenti e sono adeguatamente divulgate;
e) predispongono appositi strumenti di informazione, tramite l'attivazione di linee di comunicazione telefoniche e telematiche, di cui verificano periodicamente il buon funzionamento.
2. In ogni caso, devono essere assicurate, e periodicamente verificate, la chiarezza e la comprensibilità dei testi, oltre che la loro accessibilità al pubblico.
3. Gli utenti hanno diritto ad ottenere informazioni circa le modalità giuridiche e tecniche di espletamento dei servizi e ad accedere ai registri e agli archivi, nei modi e nei termini previsti dalle leggi e dai regolamenti in vigore.
4. Gli utenti sono informati delle decisioni che li riguardano, delle loro motivazioni e delle possibilità di reclamo e degli strumenti di ricorso avverso di esse.

Per quanto riguarda gli Standard di Qualità dei Servizi ad esempio la suddetta Direttiva così si pronuncia:
“Gli Standard sono accompagnati da una relazione illustrativa nella quale si descrivono, tra l'altro, le modalità previste per il loro conseguimento; i fattori principali esterni al soggetto erogatore e indipendenti dal suo controllo che potrebbero incidere significativamente sul conseguimento degli Standard; i metodi di valutazione utilizzati per fissare o rivedere gli Standard, con una previsione relativa alle valutazioni future. Nella relazione i soggetti erogatori determinano, altresì, gli indici da utilizzare per la misurazione o la valutazione dei risultati conseguiti; forniscono una base di comparazione per raffrontare i risultati effettivamente ottenuti con gli obiettivi previsti; descrivono gli strumenti da impiegarsi al fine di verificare e convalidare i valori misurati.”
Tuttavia, la legge non riconosce ai Comuni solo compiti di amministrazione attiva ma anche funzioni di “autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5” [art. 6, comma 2, lett. c)].
L’accreditamento costituisce un’importante chiave interpretativa per valutare la valenza che assume la Carta dei Servizi a seconda dell’ente erogatore che concretamente la adotta.
Infatti, per i Comuni la Carta dei Servizi Sociali costituisce uno strumento di informazione e di trasparenza in favore dell’utenza, e quindi di per se e solo per questo obbligatoria, per gli altri enti erogatori, da rintracciare verosimilmente tra quelli di cui al citato art. 1, comma 5, “l’adozione della carta dei servizi sociali (…) costituisce requisito necessario ai fini dell’accreditamento” (art. 13, comma 3). Inoltre, come prevede l’art. 11, comma 3, “I comuni provvedono all’accreditamento (…) e corrispondono ai soggetti accreditati tariffe per le prestazioni erogate”.
Un punto che potrebbe sembrare non chiarito dalla disciplina positiva attiene alle conseguenze della mancata adozione della Carta dei Servizi da parte dei Comuni. Posto che il diritto alle prestazioni del sistema integrato di interventi e Servizi Sociali non è attribuito dalla carta, che sembra avere una funzione ricognitiva e informativa, ma si fonda su disposizioni della stessa legge n. 328 ovvero di altre fonti legislative, rimane comunque aperto il problema di un’eventuale responsabilità del Comune per lesione di diritti dell’utenza per omessa informazione.
Sulla scorta dei principi generali, si ritiene quindi di poter ipotizzare sia una responsabilità civile per lesione di un diritto soggettivo dell’avente titolo alla prestazione, sia una responsabilità amministrativa (conseguente al riconoscimento della prima) a carico di chi non ha adempiuto all’obbligo di adottare la carta. In ogni caso, l’affermazione di responsabilità del comune per inadempimento di un obbligo lato sensu informativo dovrebbe conciliarsi con il principio generale di tendenziale inescusabilità dell’ignorantia legis. A tale ultimo riguardo, non si registrano significativi arresti giurisprudenziali. 

In parole povere quindi, nel caso in cui gli utenti che sono stati avvicinati dal Servizio Sociale di un Comune, se non sono Stati informati della presenza della Carta dei Servizi Sociali o se, peggio ancora, il Comune non aveva la suddetta Carta, se ritengono di essere stati danneggiati o aver subito un torto, possono legittimamente, a nostro avviso, richiedere i conseguenti danni.  
   
Ma è bene ricordare che non è solo il comune di Mentana dovrebbe avervi dato queste informazioni che dal 2000 non vi da e secondo la legge avrebbe dovuto darvi, ma anche la stessa assistente sociale nel momento in cui vi incontra.
Infatti il suo Codice Deontologico la obbliga.
Sentite cosa dice al Titolo III “Responsabilità dell’Assistente Sociale”
Capo I “Diritti degli utenti e dei clienti”
Art. 12 :
“Nella relazione di aiuto l’assistente sociale ha il dovere di dare, tenendo conto delle caratteristiche culturali e delle capacità di discernimento degli interessati, la più ampia informazione sui loro diritti, sui vantaggi, svantaggi, impegni, risorse, programmi e strumenti dell’intervento professionale, per il quale deve ricevere esplicito consenso, salvo disposizioni legislative e amministrative.”
           
Concludiamo ricordano che non sono i cittadini che devono andare a chiedere l’informazione, ma è il comune che deve darvela e ne deve fare pubblicità, non può tenersela nel cassetto!
Infatti Art. 1 della 328 em.149/2000 cos’ abbiamo visto recita:
“[……] ciascun ente erogatore di servizi adotta una carta dei servizi sociali ed è tenuto a darne adeguata pubblicità agli utenti.”

E infine è bene sapere che:
“Le amministrazioni, in collaborazione con gli uffici, promuovono e realizzano, in attuazione dell'art. 12, comma 4, del decreto legislativo n. 29 del 1993 (5), e sulla base delle informazioni acquisite attraverso le indagini, iniziative di comunicazione di pubblica utilità, utilizzando strumenti grafici, editoriali, audiovisivi, radiotelevisivi, telematici, multimediali, pubblicitari, ai fini di assicurare la conoscenza di normative, strutture e servizi, nonché di informare sui diritti dell'utenza nei rapporti con le amministrazioni pubbliche.[6]

Credo che per oggi ce ne sia abbastanza.
Continueremo in questi giorni a parlarvi di diritti negati, dei diritti dei vostri figli, degli anziani, dei malati, della scuola e di tanto altro.
Continueremo ad informarvi se vorrete eleggere un sindaco come Marco Benedetti al quale ho dato la mia disponibilità come "consigliere" e al quale ho però anche preventivamente detto che sarei stato con lui solamente se avessimo veramente cercato di mettere a posto il “Sociale”. Ci vogliono persone preparate tecnici che si sono formati sul campo e che non improvvisano ma che hanno studiato i problemi dei cittadini.
Il suo entusiasmo giovanile e la preparazione politica, oltre alla sua militanza, unico all’opposizione, mi ha convinto a seguirlo in questa impresa, perché di questo si parla, di un’impresa:
Mentana va rifondata e solo l’entusiasmo dei giovani come Marco e l’esperienza della maturità delle persone che hanno lavorato da anni ed hanno specifiche competenze possono sperare di cambiare in meglio le cose.
Vedete, io non sono nato a Mentana, ma ci abito da 14 anni con le mie figlie ed ho preso la casa in questa città perché mi ero innamorato della bellezza di alcuni luoghi. Quando girai l’angolo di via della Mezzaluna mi apparvero i peschi in fiore e pensai in quel momento che quella doveva essere la mia casa.
Ora molti amici mi hanno parlato di come era la nostra città, delle risorse che avevamo, dei ciliegi, degli ulivi, del vino che era di Mentana, del pane che viene cotto nei nostri forni, del nostro centro storico, unico al mondo, delle eccellenze che hanno vissuto nella nostra città. Ora forse ci sono rimasti solo i ricordi ma quelli lasciamoli a noi che siamo avanti con l’età e diamo un futuro ai nostri figli affidandoli in mani sicure.

Massimo Rosselli del Turco

Direttore dell’Istituto di Studi Parlamentari dell’Associazione Nazionale Avvocati Familiaristi I.S.P.A.




[1] Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori. Nonché del titolo VIII del libro I del Codice Civile: Pag. 202
[3] Per i riferimenti normativi ed emendamenti leggasi nella nostra collana il quaderno “Proposte ed emendamenti alle leggi per gli affidamenti nelle Comunità” Capitolo 3 “Necessità di una legge dello Stato che stabilisca i requisiti minimi essenziali ad erogare servizi socio assistenziali ”Per avere un ottimo modello di Carta dei servizi Sociali vedere quella del Comune di Porto Torres: http://www.comune.portotorres.ss.it/attachment/993/carta_dei_servizi_sociali.pdf
Vedi anche il Codice Deontologico dell’Assistente Sociale  http://www.ipsser.it/codice_deontologico_2009.pdf , Titolo IV “Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della società.” Capo I “Partecipazione e promozione del benessere sociale” N.ro 39 “L’assistente sociale deve contribuire ad una corretta e diffusa informazione sui servizi e le prestazioni per favorire l'accesso e l'uso responsabile delle risorse, a vantaggio di tutte le persone, contribuendo altresì alla promozione delle pari opportunità.”
[6] Dir.. P.C.M. 11 ottobre 1994 . “Direttiva sui princìpi per l'istituzione ed il funzionamento degli uffici per le relazioni con il pubblico” vedi: http://www.regione.calabria.it/sanita/allegati/direttiva_p.c.m._11_ottobre_1994.pdf

mercoledì 11 maggio 2016


RectaLex

La violenza delle Istituzioni


Questo tipo di violenza non è trattata con l’importanza che merita e soprattutto non è compresa fra i tipi di violenza riconosciuti dal nostro ordinamento e come tale sottovalutata.
È una violenza ancor più grave perché è perpetrata da organi istituzionali in concorso fra di loro. Spesso le vittime sono proprio i minori che ne subiscono la pericolosità.
Tipico esempio è il ricovero del minore nelle Comunità di Accoglienza con una grande superficialità nel diagnosticare “le colpe” dei genitori naturali.
In molti casi abbiamo riscontrato il concorso di molti personaggi che si autoreferenziano reciprocamente e finiscono per stilare una relazione al Tribunale dei Minorenni falsa e affrettata.
L’autorità giudiziaria, quasi sempre, prende per buona la relazione da cui scaturisce una sentenza ingiusta basata su illazioni senza prove che si definisce solamente su indizi. 
Come ebbi già a dire nella mia ultima conferenza stampa alla Camera dei Deputati [1] il 19 aprile 2016, a volte vengono fatti degli allontanamenti senza nemmeno aver conosciuto la famiglia, basandosi unicamente sulla testimonianza di vicini di casa.
I P.M. magari, virgolettano la relazione dell’assistente sociale, la inoltrano al tribunale che, come nel caso da me esposto quel giorno alla Camera, emette un’ordinanza senza aspettare nemmeno la sua relazione che nel frattempo aveva conosciuto la famiglia e che arriverà 5 giorni dopo la decisione già presa dai giudici.
La facilità con cui oggi si allontanano i minori dalla famiglia naturale e si decide della loro vita presente e futura, si concretizza in particolare con l’Art 403 del c.c. che nell’interpretazione distorta in uso permette ad un assistente sociale di allontanare dalla propria casa con l’ausilio e la violenza delle forze dell’ordine, quasi sempre impreparate a questo tipo di azione, i bambini che dovrebbero rimanere nella propria famiglia.
Ci siamo più volte chiesti anche se è l’assistente sociale che ha il compito di decidere questi allontanamenti in maniera autonoma o se è solo il mezzo.

Esaminiamo l’articolo di legge:
 “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”
Quindi si parla di “pubblica autorità” e di “organi di protezione dell’infanzia”.
Allora si dice esplicitamente che sono due soggetti differenti per cui è ovvio che non può essere uno da solo che decide ed effettua l’allontanamento. Ed è anche ovvio che non può essere l’assistente sociale che decide in quanto questi è il secondo elemento, quello che opera (“a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia”). e deve essere autorizzato dalla “pubblica autorità”, il Sindaco, che, a nostro parere, deve  anche dare l’autorizzazione per iscritto.
Oggi fa tutto l’assistente sociale che si prende una responsabilità che non le competerebbe.
Fra l’altro, a mio avviso l’Art. 403, è incostituzionale.[2]

In questi anni di lavoro nel sociale mi è capitato di vedere scritto su una relazione che era stato fatto un allontanamento di tre bambini su cinque con un 403 perché gli altri due i genitori non glieli avevano voluti consegnare! Mi chiedo che tipo di allontanamento è stato fatto!
Se fosse stato veramente un allontanamento urgente i bambini dovevano essere in uno stato di grave pericolo un pericolo continuato, i genitori dovevano essere pericolosi per loro. Quindi chi ha fatto questo allontanamento doveva assolutamente mettere in sicurezza tutti e cinque i bambini, magari anche con l’aiuto delle forze dell’ordine. Se invece ne allontani solo tre sicuramente gli altri due li hai lasciati in grave pericolo! In ogni caso l’assistente sociale ha operato nella maniera peggiore, "da procura". Ma la cosa che mi ha lasciato basito fu quella di leggere che il giudice allontanò gli altri due bambini circa 15 giorni dopo avallando l’operato del professionista e non si accorse della mostruosità che era avvenuta!
Ecco il testo in sentenza:
“Rilevato come la situazione sia nuovamente precipitata ed è preoccupante tanto che il servizio sociale disponeva l’allontanamento dei minori [……] ai sensi dell’Art. 403 c.c. [……] anche se non è stato possibile allontanare le piccole [……] perché si trovavano presso la casa dei genitori ché non hanno dato il consenso al collocamento in struttura delle bambine.” !!!

Il minore viene quindi allontanato dalla famiglia e va in affidamento, ai genitori viene limitata la loro responsabilità genitoriale .
Vediamo ora cosa dice la legge sugli affidamenti, la n.ro 184 del 1993 emendata dalla 149 del 2001[3] :
Art.1 comma 1:
“Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia.”
Art. 1 comma 2:
“ Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.”
Art.1 comma 3:
“Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'àmbito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma.”
Art.2 comma 1:
“Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.” E solo al comma 2 aggiunge :” Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.”
Art.4 comma 3:
“Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2. Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.”
Art.4 comma 4 “Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.”
Art.5 comma 2:
“Il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari [……]

Esaminiamo ora gli articoli uno per volta:

L’Art. 1 Comma 1 è oramai un principio condiviso da tutte le leggi europee e su questo non si discute e, come principio, nessuno si permette di discuterlo.
Quello che invece molte figure professionali che ruotano intorno agli affidamenti si permettono di discutere è l'interpretazione, il famoso “si ma…..” che sentiamo spesso ripetere per giustificare omissioni o addirittura reati commessi volontariamente o involontariamente o per ignoranza della legge stessa.

L’Art.1 comma 2 e l’Art.1 comma 3 sono i punti focale degli allontanamenti.
I minori non possono essere allontanati dalla propri famiglia se questa è povera e lo Stato (leggasi gli organi preposti alla loro tutela), tutti, si badi bene,  non solo gli assistenti sociali, devono aiutare la famiglia in difficoltà.
Dal Quaderno della Ricerca Sociale 19 del Ministero delle Politiche Sociali, nel paragrafo intitolato “Perché si arriva all’accoglienza in contesti diversi dalla propria famiglia di origine?” leggiamo che il 37% dei bambini viene allontanato dalla propria famiglia naturale perinadeguatezza genitoriale”, [4] un termine generico e che non dice alcunché, dando adito a qualsivoglia interpretazione, ma che tende ad aggirare proprio il nostro passaggio di legge. 
Mi spiego meglio: Dicono tutti: “non abbiamo soldi” , non abbiamo personale, non abbiamo tempo, ma nel contempo non si può allontanare un bambino da genitori poveri. Allora i genitori diventano "non idonei a vivere con i propri figli". Non è difficile capire che la povertà porta con se problemi: liti in famiglia, stress, a volte violenza, allontanamento di un genitore, separazioni ecc. Ecco quindi che la famiglia povera diventa “inadeguata” dicitura che autorizzerebbe le istituzioni ad allontanare i minori.  Ma il comma 2 dice anche che la famiglia quando è in difficoltà va aiutata e i problemi vanno prevenuti, cosa che raramente si fa e che poi determina le tragedie di bambini che vengono separati dai genitori, a volte per sempre.
Oramai siamo talmente abituati a queste tragedie che le sottovalutiamo e arriviamo al paradosso: se le istituzioni hanno notizia di una rapina giustamente prevedono l’invio di più macchine delle Forze dell’Ordine per la tutela delle persone. Se invece viene allontanato un bambino le Forze dell’Ordine aiutano la sua sottrazione. E si badi bene in entrambi i casi fanno il loro dovere, perché eseguono degli ordini; quindi non si vuole colpevolizzare chi esegue degli ordini, ma chi glieli da in maniera inappropriata e in deroga alle leggi.
L’Art.2 comma 1 prevede che il minore allontanato sia affidato a una famiglia e dice anche “preferibilmente con figli minori”

Vediamo qual è la realtà dei bambini e adolescenti fuori della famiglia d’origine al 31 dicembre 2012 distinguendoli fra percentuali in affidamento e ai servizi residenziali.[5]

% che sono in affidamento
0-2       anni     35,8%
3-5       anni     57,3%
6-10     anni     61,4%
11-14   anni     54,2%
15-17   anni     33,8%

% che sono nei Servizi Residenziali
0-2       anni     64,2%
3-5       anni     42,7%
6-10     anni     38,6%
11-14   anni     45,8%
15-17   anni     66,2%

Le tabelle si commentano da sole.
Lo stesso Ministero delle Politiche Sociali cosi scrive:
“In merito all’età degli accolti risulta che nelle fasce estreme di 0-2 anni e di 15-17 anni si
concentrano le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali – rispettivamente il 64% degli 0-2 anni e il 66% dei 15-17 anni. Se per i ragazzi più grandi, e prossimi alla maggiore età, l’accoglienza in comunità è spesso il solo intervento esperibile per rispondere alle problematicità del caso, per i bambini di 0-2 anni l’incidenza riscontata rappresenta un’evidenza, se non proprio una criticità, sulla quale riflettere in riferimento a quanto disposto dalla legge 149/01 – [……].”
Ma si è riflettuto ci chiediamo? Sicuramente no: infatti dal 2012 non ci sono più notizie Istituzionali sugli affidamenti di minori e, se vogliamo non tenere in considerazione per pudore la relazione del vecchio Garante dei Minori divulgata nel 2015, lo stesso Ministero non ha pubblicato alcunché. 
Ci chiediamo perché.

Nell’ Art.4 comma 3 si dice che nei provvedimenti “devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore.”
Nelle sentenze sono sempre indicati i motivi dell’allontanamento, ma ancora ne devo vedere una che riporti i tempi e i modi in cui l’affidatario deve operare, ne le modalità in cui le famiglie d’origine possano mantenere i rapporti con i propri figli. 
In genere queste modalità sono affidate ai servizi sociali che già, carichi di incombenze, spesso decidono in base alle loro esigenze che sono spesso influenzate da carenza di fondi, personale ecc.
In alcuni casi queste decisioni vengono lasciate alla discrezione di personale molto giovane ed inesperto concedendo loro un potere discrezionale inadeguato al lavoro che potrebbero svolgere e che può decidere della vita futura di una famiglia e dei loro figli 
Queste criticità vengono ancora una volta sottostimate: sappiamo con certezza da studi fatti a livello europeo che i bambini privati di una o entrambe le figure genitoriali  riportano spesso anche numerosi danni fisici quindi, scarso sviluppo e scarsi esiti di salute nel breve e nel lungo termine.[6] 

L’Art.4 comma 4 stabilisce che nell’ordinanza del tribunale venga scritto sia il periodo di presumibile durata dell'affidamento che  il complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine.

Il periodo presumibile della durata dell’affidamento non c’è mai, io almeno non l’ho mai visto, ma come al solito viene lasciato alla decisione del servizio sociale con tutte le criticità di cui abbiamo già parlato.
Il periodo massimo di durata dell’affidamento viene chiarito dallo stesso Ministero delle Politiche Sociali che così si esprime:
“Per quanto concerne la durata dell’accoglienza e ricordando che la legge 149/01 individua il
periodo massimo di affidamento in ventiquattro mesi - prorogabile da parte del Tribunale dei
Minorenni laddove se ne riscontri l’esigenza –, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare
da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando pari a poco meno del 60%
del totale – erano il 62,2% nel 1999, il 57,5% nel 2007, il 56% nel 2008 e il 60% nel 2011 -.” [7]
  
L’Art.5 comma 2 dovrebbe in particolare agevolare il rientro a casa del bambino favorendo i rapporti con la famiglia d'origine e aiutandola, se problematica, a risolvere le situazioni di eventuale rischio per i figli.
La realtà purtroppo e diversa. 
In genere quando un bambino finisce in affidamento etero familiare la famiglia d’origine è tenuta ben lontana dai figli e niente o ben poco si fa per agevolare un ritorno a casa del minore.
Tuttalpiù si invia quest’ultimo da uno psicologo per fargli sopportare al meglio la sua nuova situazione residenziale e mai la terapia è rivolta ad un suo rientro in famiglia. Per quanto riguarda invece i genitori vengono quasi sempre somministrati dei test per capire la loro cosiddetta “genitorialità” e spesso questi test servono a giustificare gli allontanamenti.
Molto ci sarebbe da dire anche sull’uso di questi test spessissimo inappropriati allo scopo, moltissimo ci sarebbe da dire sulle interviste che vengono fatte, soprattutto ai minori, in cui abbiamo riscontrato incredibili criticità soprattutto nell’accoglienza e il modo di intervistarli.
Non viene quasi mai fatta un’accoglienza all’intervista. Mi è capitato di aver letto in una relazione presentata alla Procura da una accreditata psichiatra che l’intervistatrice abbia delegato una sua ausiliaria all’accoglienza di una minore! 
Dalle Linee Guida inglesi in  Roberta Asperges / Giuliana Mazzoni, University of Hull, “Maltrattamento e Abuso all’Infanzia. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”
Molti bambini saranno ansiosi prima di una intervista investigativa e pochi avranno familiarità con gli aspetti formali della procedura. Pertanto è importante in questa fase cercare di costruire una vera e reciproca comprensione con il bambino, cercando così di aiutarlo a rilassarsi. Per fare ciò, lo Home Office consiglia di parlare inizialmente di eventi e di tematiche non attinenti all’investigazione. [......] I bambini, soprattutto giovani, percepiscono gli intervistatori come figure di autorità, e numerose ricerche hanno trovato che quando tali figure fanno domande il bambino si sforza di rispondere. Nello stesso modo, quando l’autorità offre interpretazioni di eventi o azioni molti bambini si dimostrano d’accordo per compiacenza (compliance). Diventa pertanto necessario che l’intervistatore non dia maggior enfasi alla sua autorità e usi nel migliore dei modi la fase del rapporto per contrastare attivamente la tendenza del bambino a rispondere per compiacere [8]  
            Per quanto riguarda il "modo" di intervistare il minore, è fondamentale come viene formulata la domanda  per avere risposte che riflettano il pensiero dell’intervistato.
La regola per l’intervista dei minori, specie se bambini, è soprattutto la “Pazienza”. Non bisogna avere mai fretta di porre loro domande, ma aspettare e rispettare i loro tempi. Quindi una domanda per volta lasciando che prima completi la risposta precedente in tranquillità. Mai riempire i tempi d’attesa intervenendo in qualsiasi modo, nemmeno facendo commenti, sia positivi che negativi o addirittura con parole inutili e irrilevanti. Bisogna saper ascoltare in silenzio facendo però attenzione affinché questo silenzio non diventi opprimente, non si crei un’atmosfera troppo pesante.

I tipi di domande sono fondalmentalmente quattro:
-           Domande “a risposta aperta
-           Domande “suggestive
-           Domande “specifiche
-           Domande “chiuse

Vanno evitate le domande suggestive e chiuse.
“ [……] Quindi le risposte alla domanda suggestiva, nella prassi, tendono ad essere determinate e influenzate molto dal modo in cui è fatta la domanda più che dalla volontà e dal ricordo dell’intervistato, quindi possono essere fuorvianti (Ceci e Bruck, 1995; Bruck, Ceci e Hembrooke, 1998; Poole e Lamb, 1998; Lamb et al., 1999; Wood e Garven, 2000; Bull, 2000; Mazzoni, 2000; Gulotta et al., 2000; Stemberg et al., 2001;Lamb et al., 2002; Krahenbuhl e Blades, 2005; Mazzoni e Ambrosio, 2003; De Cataldo”[9]

Avremo modo di parlare a lungo di altre distorsioni del sistema affidamenti di minori.
Per ora voglio concludere auspicando una disamina attenta della politica italiana sul fenomeno dell’allontanamento dei minori dalle famiglie che evidenzia, purtroppo ancora oggi, criticità inequivocabili: una situazione che possiamo definire  “a macchia di leopardo” , con enormi variazioni nel tempo e nello spazio, razionalmente inspiegabili, che stanno a definire la totale assenza di linee guida condivise.
Ovviamente questa situazione apre la porta a possibili arbitrii degli operatori, non legati a protocolli ufficiali.
L’istituzione di percorsi o linee guida d’accoglienza, devono  fornire uno strumento operativo ai professionisti dei vari servizi sociali dei Comuni, alle tante cooperative che collaborano con loro alle Regioni e a tutti gli organi istituzionali per realizzare un pensare comune, prassi concrete e condivise, in grado di dare indirizzi certi agli interventi socio-sanitari nell’ambito di tutte quelle attività preposte alla tutela e alla presa in carico di minori 
Linee guida condivise quindi, ma non solo. Alcuni potrebbero eccepire che in alcuni settori esiste una qualche condivisione, ma anche in questi casi gli operatori non sono tenuti ad osservarle perché rimangono semplici raccomandazioni e non sono codificate in leggi. Ecco quindi la necessità che siano approntati studi metanalitici che possano creare nuovi percorsi condivisi e, con quelli già condivisi, che siano cogenti per chi li deve seguire. Quindi dallo studio, alla condivisione, al progetto di legge, alla legge.

Massimo Rosselli del Turco

Delegato per la Tutela dei Diritti dell'Infanzia e l'Adolescenza della città di Mentana



Nota dell'Autore: 

Si declina ogni responsabilità per eventuali errori e/o omissioni e/o inesattezze nonché modificazioni intervenute dopo la pubblicazione della presente, non essendo una fonte ufficiale.



[2] Vedi il Quaderno n.ro 19 “Proposte ed emendamenti alle leggi  per gli affidamenti in Comunità” in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html
[4] Vedi a Pag.9 del Quaderno Ventunesimo “ Statistiche e relazioni Ministeriali sui Minori” di Massimo Rosselli del Turco” in  http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html cf.r con Quaderno della ricerca sociale 19  del ministero elle Politiche Sociali pag.12 http://www.minori.it/sites/default/files/quaderno_ricerca_sociale_19_2012.pdf
[6] Vedi http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html – Terzo Quaderno, «Conseguenze nella qualità di vita del minore allontanato dai genitori» di Massimo Rosselli del Turco, in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html cfr. «Ruolo del pediatra nell'assistenza a minori in affido etero o intra familiare», Pediatrics in review, vol. 22, n. 11 novembre 2012, Moira Szilagyi e ancora l'articolo del dottor Vittorio Vezzetti, Scientific Responsible European platform for joint custody and childhood Colibrì, and Founder International Council on shared parenting in «I danni da deprivazione genitoriale e da stress nell'infanzia»
[8] Vedi Blog Giuridico e Sociale, Quattordicesimo Quaderno  “Proposte di Linee Guida per l’intervista dei minori  in sospetto di abuso” a cura di Massimo Rosselli del Turco pag.20  in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html  cfr. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”, University of Hull di Roberta Asperges e Giuliana Mazzoni pag.10 paragrafo 5.1 “Stabilire un rapporto” in file:///C:/Users/maxrosselli/Downloads/Linee_guida_estere_maltrattamento_e_abuso%20(4).pdf
[9] Vedi Blog Giuridico e Sociale, Quattordicesimo Quaderno  “Proposte di Linee Guida per l’intervista dei minori  in sospetto di abuso” a cura di Massimo Rosselli del Turco pag.27  in http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html  cfr. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”, University of Hull di Roberta Asperges e Giuliana Mazzoni  in file:///C:/Users/maxrosselli/Downloads/Linee_guida_estere_maltrattamento_e_abuso%20(4).pdf