Cassazione, gli incontri protetti impediscono
principio bigenitoralità del figlio
By
-
20 Dicembre 2020
3597
https://www.psicologiagiuridica.eu/cassazione-gli-incontri-protetti-impediscono-principio-bigenitoralita-del-figlio/2020/12/20/
Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud.
25-11-2020) 16-12-2020, n. 28723, Pres. Genovese, Rel. Caradonna
5649-17509796c-cass-16-12-2020-n-28723
9.2 Ciò posto, questa Corte di
legittimità ha più volte affermato che, nell’interesse superiore del minore, va
assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità da intendersi quale presenza comune dei
genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine
di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di
cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione (Cass., 8 aprile 2019, n.
9764; Cass., 23 settembre 2015, n. 18817; Cass., 22 maggio 2014, n. 11412).
Tale orientamento trova riscontro nella giurisprudenza della Corte EDU, che,
chiamata a pronunciarsi sul rispetto della vita familiare di cui all’art. 8
CEDU, pur riconoscendo all’autorità giudiziaria ampia libertà in materia di
diritto di affidamento di un figlio di età minore, ha precisato che è
comunque necessario un rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari”,
ovvero quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e
sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del
diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui
all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, onde scongiurare il
rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno
dei genitori (Corte EDU, 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia).
La Corte EDU, quindi, invita le Autorità nazionali ad adottare tutte le misure
atte a mantenere i legami tra il genitore e i figli, affermando che “per un
genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della
vita familiare” (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, CEDU 2002) e che “le
misure interne che lo impediscono costituiscono una ingerenza nel diritto
protetto dall’art. 8 della Convenzione” (K. E T. c. Finlandia, n. 25702/94,
CEDU 2001).
I giudici di Strasburgo, inoltre, hanno precisato che, in un quadro di
osservanza della frequentazione tra genitore e figlio, gli obblighi positivi da
adottarsi dalle autorità degli Stati nazionali, per garantire effettività della
vita privata o familiare nei termini di cui all’art. 8 della Convenzione EDU,
non si limitano al controllo che il bambino possa incontrare il proprio
genitore o avere contatti con lui, ma includono l’insieme delle misure
preparatorie che, non automatiche e stereotipate, permettono di raggiungere
questo risultato, nella preliminare esigenza che le misure deputate a
ravvicinare il genitore al figlio rispondano a rapida attuazione, perché il
trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni
tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui (Corte EDU, 29
gennaio 2013, Lombardo c. Italia).
In particolare, nella pronuncia da ultimo richiamata, la Corte EDU ha affermato
che era stato violato l’art. 8 della Convenzione da parte dello Stato italiano,
in un caso in cui le autorità giudiziarie, a fronte degli ostacoli opposti
dalla madre affidataria, ma anche dalla stessa figlia minorenne, a che il padre
esercitasse effettivamente e con continuità il diritto di visita, non si erano
impegnate a mettere in atto tutte le misure necessarie a mantenere il legame
familiare tra padre e figlia minore, attraverso un concreto ed effettivo
esercizio del diritto di visita nel contesto di una separazione legale tra i
genitori.
Nello specifico, i giudici Europei hanno messo in evidenza che quelle autorità si
erano limitate reiteratamente e con formule stereotipate a confermare i propri
provvedimenti, nonché a prescrivere l’intervento dei servizi sociali, cui erano
richieste di volta in volta informazioni e delegata una generica funzione di
controllo, così determinandosi il consolidamento di una situazione di fatto
pregiudizievole per il padre, mentre avrebbero potuto rapidamente adottare
misure specifiche per il ripristino della collaborazione tra i genitori e dei
rapporti tra il padre e la figlia, anche avvalendosi della mediazione dei
servizi sociali.
9.3 Tanto premesso in punto di principi giurisprudenziali applicabili nel caso
in esame, la Corte di appello di Firenze, all’esito della consulenza tecnica
d’ufficio disposta al fine di valutare la capacità genitoriale della madre e
la possibilità di ripresa dei rapporti del padre con il figlio, con motivazione
praticamente assente, dando acritica conferma alla motivazione del giudice di primo
grado e senza tenere in alcun conto le critiche mosse dal padre con l’atto di
impugnazione, ha ritenuto l’adeguatezza della capacità genitoriale della madre
e ha affermato che non era necessario, nè opportuno disporre l’affidamento del
minore ai servizi Sociali e che, al fine di consentire di ipotizzare una
ripresa dei rapporti padre-figlio, appariva sufficiente dare mandato ai Servizi
Sociali di (OMISSIS). Rileva questo Collegio, tenendo anche conto della
evidente conflittualità esistente tra i genitori, che non consentiva di
effettuare una prognosi positiva in relazione alla possibilità di soluzioni
diverse concordate, che manca del tutto una specifica motivazione in ordine
alle eventuali ragioni che hanno indotto la Corte di merito ad escludere una
frequentazione più assidua con il padre, che ha piuttosto disposto, peraltro a
seguito di una espressa richiesta del M. e previa un’adeguata preparazione del
minore e del padre stesso, incontri osservati una volta al mese con l’ausilio
dei servizi sociali, ossia ad escludere una effettiva realizzazione del
principio di bigenitorialità del minore, in funzione dei suoi bisogni di
crescita equilibrata.
La Corte, inoltre, omette del tutto di prendere in esame quale fatto decisivo
della controversia la condotta “oppositiva” della madre, quale risulterebbe dai
fatti documentali introdotti nel giudizio dal padre del minore, su cui non
svolge alcuna considerazione, pur trattandosi di una condotta gravemente lesiva
del diritto del minore alla bigenitorialità nè evidenzia le ragioni di incapacità del
padre di prendersi cura del figlio, mancando nel contempo di apprezzare, avuto
riguardo alla posizione del genitore collocatario, che tra i requisiti di
idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle
relazioni parentali con l’altro genitore a tutela del diritto del figlio alla
bigenitorialità e alla crescita equilibrata e sana. Ancora, i giudici di merito
non hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte del figlio e
sono venuti meno all’obbligo di verificare, in concreto, l’esistenza dei
denunciati comportamenti volti all’allontanamento fisico e affettivo del figlio
minore dall’altro genitore, potendo il giudice di merito, a tal fine,
utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia, ivi
compreso l’ascolto del minore, e anche le presunzioni (desumendo eventualmente
elementi anche dalla presenza, ove esistente, di legame “peculiari” tra il
figlio e uno dei genitori).
Tali comportamenti, infatti, ove accertati, sicuramente pregiudicherebbero
il diritto del figlio alla bigenitorialità e ad una sua crescita equilibrata e
serena.
Questa Corte, al riguardo, ha avuto occasione di osservare che, in tema di
affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice,
nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le
capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione
determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenuto conto, in base
ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i
propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, nonché della
personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente
sociale e familiare che è in grado di offrire al minore (Cass., 23 settembre
2015, n. 18817, citata).