MOZIONE PARLAMENTARE
Da presentare al Governo Italiano per affrontare il grave problema degli affidamenti dei minori e la loro colloczione nelle strutture a ciclo residenziale
A cura
di
Massimo Rosselli del Turco e Carlo Priolo
OGGETTO:
figli separati dai genitori e collocati in strutture a ciclo
residenziale - case famiglia.
40.000
minori
– 250.000 tra genitori, parenti, amici separati dai figli
Al
Sig. Presidente del
Consiglio
dei Ministri
On.
Dott. Paolo Gentiloni
Al
Sig. Ministro degli Interni
On.
Dott. Domenico Minniti
Al
Sig. Ministro della Giustizia
On.
Dott. Andrea Orlando
Alla
Sig.ra Ministra della Sanità
On.
Dott.ssa Beatrice Lorenzin
Alla
Sig.ra Ministra dei Rapporti
con
il Parlamento
On.
Dott.ssa Anna Finocchiaro
Roma
PROPOSTA
DI MOZIONE PARLAMENTARE
CONTRO
LA ILLEGITTIMA SEPARAZIONE DEI FIGLI DAI GENITORI
VISTO
La
Costituzione
riconosce al minore vari diritti, ed in particolare:
- l'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo in quanto tale: esso si riferisce anche ai minori. Tale articolo, infatti, si applica indipendentemente dall'età, dal sesso e dalla cittadinanza;
- l'art. 3 riconosce il diritto del minore ad un regolare processo evolutivo: è fondamentale diritto del minore il formarsi in modo armonioso e completo e quindi il ricevere prestazioni materiali ed apporti educativi che lo mettano in grado di crescere;
- l'art. 30, stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli. Pertanto, considerando che per il bambino la formazione sociale più importante è costituita dal nucleo parentale, una prima garanzia del diritto all'educazione è rappresentata dal dovere imposto ai genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, indipendentemente dal fatto che siano uniti in matrimonio, e che lo stesso rapporto di filiazione sia formalmente accertato;
- l'art. 31 protegge, oltre alla maternità, anche l'infanzia e la gioventù;
- l'art. 34 attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana. Tale norma trova scarsa applicazione, mentre, per la sua portata generale, la sua applicazione sarebbe assai utile per la tutela sociale, istituzionale e giudiziaria dei bambini, come diritto alla rimozione di tutte le cause che possano turbare la sua crescita.
Anche
se il legislatore costituzionale non ha delineato un compiuto statuto
dei diritti del minore, è importante comunque rendersi conto che la
carta costituzionale può essere interpretata in modo più elastico
di fronte alle sempre nuove necessità della vita, riconoscendo in
essa il
più generale principio del favor
minoris nel
progetto di promozione e tutela dei diritti del minore.
La
"Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea",
adottata a Nizza il 7-8 dicembre 2000 da parte del Consiglio
Europeo,
all'art.
24
enuclea i
diritti del bambino:
- I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e maturità;
- In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente;
- Ogni bambino ha diritto di intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.
Importante
punto di riferimento normativo per la tutela dei minori e del loro
benessere psicologico
e fisico è la Convenzione
ONU
sui Diritti dell'Infanzia
approvata il 20 Novembre 1989 e ratificata in Italia con Legge
n. 176 del 27 maggio 1991
(entrata in vigore il 12 giugno 1991) con la quale sono stati
definiti in maniera compiuta i diritti dei bambini. Questo strumento
mette in evidenza non solo la necessità di rispettare
la personalità del
minore, ma anche quella di agire attivamente per offrirgli aiuto
e assistenza, in particolare nei casi in cui ne ha bisogno, data la
sua condizione di maggiore fragilità e vulnerabilità.
Secondo
la definizione fornita dal Consiglio
d’Europa
nel 1978, il maltrattamento “si concretizza negli atti e nelle
carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla
loro integrità corporea, al
loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale,
le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine
fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di un
terzo”.
Nel
1999 la Consulta sulla prevenzione dell’abuso sui bambini
dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità
ha
indicato la seguente definizione: “l’abuso o il maltrattamento
sull’infanzia è rappresentato da tutte le forme di cattivo
trattamento fisico e/o affettivo,
abuso sessuale, incuria o trattamento negligente nonché sfruttamento
sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale
alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del
bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o
potere”. Come sottolineato nel rapporto dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, “per maltrattamento
psicologico
si intende una relazione emotiva caratterizzata da ripetute e
continue pressioni psicologiche, ricatti affettivi, indifferenza,
rifiuto, denigrazione e svalutazioni che danneggiano o inibiscono lo
sviluppo di competenze cognitivo-emotive fondamentali quali
l’intelligenza, l’attenzione, la percezione, la memoria.”
Articoli
del codice civile
Titolo
IX
Della
responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio
Capo
I
Dei
diritti e doveri del figlio
Art.
315. (1)
Stato
giuridico della filiazione.
Tutti
i figli hanno lo stesso stato giuridico.
(1)
L'articolo che recitava: "Doveri
del figlio verso i genitori.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa." è stato così sostituito dall'art. 1, L. 10 dicembre 2012, n. 219.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa." è stato così sostituito dall'art. 1, L. 10 dicembre 2012, n. 219.
Art.
315-bis. (1)
Diritti
e doveri del figlio.
Il
figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito
moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue
inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il
figlio ha diritto di crescere in
famiglia
e di
mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il
figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età
inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato
in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il
figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione
alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito,
al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
(1)
Articolo aggiunto dall’art. 1, L.
10 dicembre 2012, n. 219.
Art.
316.
Responsabilità
genitoriale. (1)
Entrambi
i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di
comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni
naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo
stabiliscono la residenza abituale del minore.
In
caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei
genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i
provvedimenti che ritiene più idonei.
Il
giudice, sentiti i genitori e disposto l'ascolto del figlio minore
che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove
capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più
utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il
contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a
quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a
curare l'interesse del figlio.
Il
genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità
genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori
del matrimonio, è fatto dai genitori, l'esercizio della
responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.
Il
genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila
sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del
figlio.
(1)
Articolo così sostituito dall'art. 39, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Rapporti
con gli ascendenti. (1)
Gli
ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i
nipoti minorenni.
L'ascendente
al quale è impedito l'esercizio di tale diritto può ricorrere al
giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano
adottati i provvedimenti più idonei nell'esclusivo interesse del
minore. Si applica l'articolo 336, secondo comma.
(1)
Articolo così sostituito dall'art. 42, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Nomina
di un curatore speciale. (1)
In
tutti i casi in cui i genitori congiuntamente, o quello di essi che
esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, non possono
o non vogliono compiere uno o più atti di interesse del figlio,
eccedenti l'ordinaria amministrazione, il giudice, su richiesta del
figlio stesso, del pubblico ministero o di
uno dei parenti che vi abbia interesse,
e sentiti i genitori, può nominare al figlio un curatore speciale
autorizzandolo al compimento di tali atti.
(1)
Articolo così modificato dall'art. 45, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Decadenza
dalla responsabilità genitoriale sui figli. (2)
Il
giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità
genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa
inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del
figlio. (3)
In
tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare
l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero
l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del
minore. (1)
(1)
Comma così modificato dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.
(2) Rubrica così modificata dall'art. 50, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Comma così modificato dall'art. 50, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Rubrica così modificata dall'art. 50, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Comma così modificato dall'art. 50, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Art.
332.
Reintegrazione
nella responsabilità genitoriale. (1)
Il
giudice può reintegrare nella responsabilità genitoriale il
genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali
la decadenza è stata pronunciata, è escluso ogni pericolo di
pregiudizio per il figlio. (2)
(1)
Rubrica così modificata dall'art. 51, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così modificato dall'art. 51, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così modificato dall'art. 51, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Art.
333.
Condotta
del genitore pregiudizievole ai figli.
Quando
la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo
alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare
comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le
circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche
disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero
l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del
minore. (1)
Tali
provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.
(1)
Comma così modificato dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.
Procedimento.
I
provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su
ricorso dell'altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e,
quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del
genitore interessato.
Il
tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e
sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l'ascolto del figlio
minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore
ove capace di discernimento. Nei casi in cui il provvedimento è
richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito. (2)
In
caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche
d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio.
Per
i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore
sono assistiti da un difensore [,
anche a spese dello
Stato
nei casi previsti dalla legge].
(1)
(1)
Comma aggiunto dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.Successivamente le
parole tra parentesi sono state abrogate dal D.Lgs. 30 maggio 2002,
n. 113 e dal D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115.
(2) Comma così sostituito dall'art. 52, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così sostituito dall'art. 52, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Ascolto
del minore. (1)
Il
minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore
ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale
o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono
essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in
contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il
giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento
motivato.
L'ascolto
è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri
ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del
procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del
minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a
partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono
proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio
dell'adempimento.
Prima
di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura
del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è
redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del
minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.
(1)
Articolo inserito dall'art. 53, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Art.
337.
Vigilanza
del giudice tutelare. (1)
Il
giudice tutelare deve vigilare sull'osservanza delle condizioni che
il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della responsabilità
genitoriale e per l'amministrazione dei beni.
(1)
Articolo così modificato dall'art. 54, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Cfr.
la formula "Ricorso
al giudice tutelare ex art. 337 c.c."
tratta da FormularioCivile.it.
Capo
II
Esercizio
della responsabilità genitoriale a seguito di separazione,
scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità
del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli
nati fuori del matrimonio.
Art.
337-bis.
Ambito
di applicazione. (1)
In
caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili,
annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai
figli nati fuori del matrimonio si applicano le disposizioni del
presente capo.
(1)
Articolo inserito dall'art. 55, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Provvedimenti
riguardo ai figli. (1)
Il
figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione,
istruzione e assistenza morale da entrambi e di
conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con
i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Per
realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di
cui all'articolo 337-bis, il
giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo
riferimento all'interesse morale e materiale di essa.
Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino
affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i
figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro
presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il
modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla
cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non
contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i
genitori. Adotta
ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso
di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei
genitori, l'affidamento
familiare.
All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole
provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare,
anche d'ufficio. A tal fine copia
del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico
ministero, al giudice tutelare.
La
responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le
decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione,
all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale
del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle
capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.
Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria
amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino
la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non
si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà grave; detto
comportamento anche al fine della modifica delle modalità di
affidamento.
Salvo
accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei
genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale
al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il
principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L'assegno
è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro
parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove
le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non
risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un
accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto
della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
(1)
Articolo inserito dall'art. 55, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Art.
337-quater.
Affidamento
a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso. (1)
Il
giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei
genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento
all'altro sia contrario all'interesse del minore.
Ciascuno
dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento
esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il
giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al
genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del
minore previsti dal primo comma dell'articolo 337-ter. Se la domanda
risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il
comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei
provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma
l'applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile.
Il
genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa
disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della
responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle
condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente
stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono
adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono
affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione
ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano
state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
(1)
Articolo inserito dall'art. 55, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Art.
337-quinquies.
Revisione
delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli. (1)
I
genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle
disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione
dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle
eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del
contributo.
(1)
Articolo inserito dall'art. 55, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Poteri
del giudice e ascolto del minore. (1)
Prima
dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui
all'articolo 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o
d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'ascolto del
figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età
inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si
omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle
condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede
all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore o
manifestamente superfluo.
Qualora
ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il
loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui
all'articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di
esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con
particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale
dei figli.
(1)
Articolo inserito dall'art. 55, comma 1, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. n. 154,
a decorrere dal 7 febbraio 2014.
Vista
la Legge
8 novembre 2000, n. 3
“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali”, finalizzata a promuovere interventi
sociali, assistenziali e sociosanitari che garantiscono un
aiuto
concreto
alle persone e alle famiglie in difficoltà;
Considerato
che la legge pone tra gli scopi quello della valorizzazione e
sostegno delle responsabilità familiari:
il
sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosce e
sostiene il
ruolo peculiare delle famiglie,
nonché, valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia
nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita
quotidiana. Ne consegue che il compito delle ASSISTENTI SOCIALI deve
obbligatoriamente concorrere a sostenere
ed aiutare concretamente figli e genitori
astenendosi da esprimere giudizi, opinioni di condanna, formulare
pareri su punizioni e sanzioni, ma impegnarsi quotidianamente per la
conciliazione e la soluzione dei problemi e non moltiplicare i
conflitti.
I
servizi costituiscono una fonte particolarmente qualificata perché
hanno lo scopo istituzionale del sostegno al disagio delle famiglie e
dei minori, GLI servizi sociali e sanitari hanno la
possibilità e
il
dovere di intervento istituzionale sui i minorenni con attività
concrete e devono fornire la prova del compimento del loro agire.
I
servizi sociali di fronte ad una situazione di pregiudizio attuale o
di rischio possibile, devono approntare gli interventi di competenza
a livello della prevenzione,
educazione
familiare
e proporre colloqui
socio psicologici,
operando per acquisire l’adesione dei genitori e del minore stesso
a tali interventi.
OGNI
ASCOLTO EFFETTUATO DALLE ASSISTENTI SOCIALI DEVE
ESSERE REGISTRATO
PER CONSENTIRE IL CONTROLLO SUL LORO OPERATO E COSTITUIRE UNA DIFESA
PER IL MINORE E I GENITORI.
L'affidamento
del minore a chi, almeno temporaneamente,
possa proteggerlo: il provvedimento è quello previsto dall'art.
2, della legge n. 184 del 1983.
L'autorità
si rivolge ai servizi sociali per ottenere l'indicazione di persone o
istituti idonei ad accogliere il minore e, di regola, li incarica
dell'esecuzione del provvedimento: su tali provvedimenti e sulle
condizioni del minore collocato, l’autorità e i servizi sociali
hanno l'obbligo di riferire al più presto al Tribunale per i
minorenni (art. 9, L. 4.5.1983, n. 184). Venuto così a conoscenza
della disposizione provvisoria, il Tribunale per i minorenni
provvederà in modo definitivo pronunciando ai sensi degli artt. 330,
333 e 336, ovvero degli 2 artt. 4 e 10, L. 4.5.1983, n. 184, sempre
che - trascorso il pericolo - il minore non debba essere
semplicemente ricondotto ai genitori.
E’
QUESTO IL BARICENTRO
DEL FENOMENO DELLA SEPARAZIONE DEI FIGLI DAI GENITORI.
IL
SERVIZIO SOCIALE COMUNALE E PER ESSO L’ASSITENTE SOCIALE CHE DEVE
RIFERIRE AL GIUDICE MINORILE NON PUO’ LIMITARSI A DICHIARARE
L’ABBANDONO DEL MINORE O UNA CONDIZIONE DI DEGRADO O UNA SITUAZIONE
DI DISAGIO ESISTENZIALE.
L’ASSISTENTE
SOCIALE HA IL DOVERE DI SVOLGERE UNA ACCURATA
E DOCUMENTATA INDAGINE,
RACCOGLIENDO FONTI DI PROVA INOPPUGNABILI, FRA QUESTE PRIVILEGIARE LA
REGISTRAZIONE DEGLI
INCONTRI AUDIO-VIDEO
(BASTA IL TEL. CELLULARE DI SERVIZIO) ED HA IL DOVERE DI SVOLGERE UN
PRIMO IMMEDIATO INTERVENTO
DI VERO E PROPRIO PRONTO SOCCORSO
AVVALENDOSI DEI MEZZI A DISPOSIZIONE ANCOR PRIMA DI RIVOLGERSI AL
GIUDICE MINORILEIN MODO DA ASSOLVERE ALL’OPERA DI PREVENZIONE CHE
LA NORMATIVA CONSENTE.
La
legge sulle adozioni, n. 184 del 1983, delinea una serie di istituti
che trovano applicazione quando «la famiglia non è in grado di
provvedere alla crescita e all'educazione del minore» (art. 1). In
particolare, nel titolo relativo all'affidamento
del minore, l'articolo 2
della legge 184/1983 stabilisce che «Il
minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo,
nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi
dell'articolo 1, è
affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una
persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento,
l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha
bisogno. Ove non sia
possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito
l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in
mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia
sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui
stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza».
L'articolo
4 della legge 184/1983 specifica che «l'affidamento
familiare è disposto dal servizio
sociale locale,
previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la
responsabilità genitoriale, ovvero
dal tutore,
sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore
di età inferiore, in considerazione della sua capacità di
discernimento.
Il
giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il
provvedimento con decreto.
Ove
manchi l'assenso dei genitori esercenti la responsabilità
genitoriale o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si
applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile».
NELLA
REALTA’ IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DECIDE SULLA BASE DI UNA
SINTETICA COMUNICAZIONE PROVENIENTE DAI SERVIZI SOCIALI O DA UNA
ANNOTAZIONE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA CHE HA RACCOLTO LA DENUNCIA DI
UN PADRE, DI UNA MADRE, DI UN PARENTE ACCECATO DALLA RABBIA, SPINTO
DALL’IRA, EMOTIVAMENTE PROVATO DAL CONFLITTO CHE REGOLARMENTE SI
INSTAURA CON LA FINE DELL’UNIONE FAMILIARE.
IL
PUBBLICO MINISTERO MINORILE, ANCHE DATO IL CARICO DI LAVORO, DA’
PER SCONTATO QUANTO RIPORTATO NELLA SEGNALAZIONE O NELLA ANNOTAZIONE
ED AVVIA IL PROCEDIMENTO MINORILE CHE SOVENTE HA DA SUBITO ESITI
NEFASTI PER IL MINORE E IL GENITORE.
CON
ESTREMA FACILITA’ IL FIGLIO VIENE COLLOCATO PRESSO UNA RESIDENZA A
CICLO RESIDENZIALE (CASA FAMIGLIA) CON DANNI FISICI E MORALI
IRREVERSIBILI PER IL MINORE IN QUANTO VIENE SRADICATO DAL SUO MONDO
PER RITROVARSI IN UNA REALTA’ CHE NON GLI APPARTIENE E CHE E’
PEGGIORE DELLA PERMANENZA DEL BAMBINO IN UN AMBIENTE FAMILIARE
CONFLITTUALE.
NELLA
MAGGIOR PARTE DEI CASI IL MINORE E’ SEPARATO DAI GENITORI PER
FUTILI MOTIVI O CONDOTTE DI LIEVE ENTITA’.
IL
TENTATIVO DI PROTEGGERLO FALLISCE MISERAMENTE.
L'affidamento
familiare cessa
con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato
l'interesse del minore,
quando sia venuta meno la
situazione di difficoltà temporanea della famiglia d'origine
che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso
rechi pregiudizio al minore.
Nel
capo relativo alla dichiarazione di adottabilità, l'articolo 8 della
legge 184/1983 prescrive che siano dichiarati in stato di
adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale
si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione
di abbandono perché
privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei
parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non
sia dovuta a causa
di forza maggiore di carattere transitorio.
La
situazione di abbandono
sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche
quando i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o
privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento
familiare». Peraltro, l'articolo 9 della legge 184/1983 riconosce a
chiunque la «facoltà di segnalare all'autorità pubblica situazioni
di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati
di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica
necessità debbono riferire al più presto al procuratore della
Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui il
minore si trova
sulle condizioni di ogni minore in
situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del
proprio ufficio».
Ricevuta
la segnalazione, il presidente del Tribunale provvede all'immediata
apertura di un procedimento relativo allo stato di abbandono del
minore. Dispone immediatamente, all'occorrenza, tramite i servizi
sociali locali o gli organi di pubblica sicurezza, più approfonditi
accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore,
sull'ambiente in cui ha vissuto e vive ai fini di verificare se
sussiste lo stato di abbandono. Il tribunale può disporre in ogni
momento e fino all'affidamento preadottivo ogni opportuno
provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, ivi compresi
il collocamento temporaneo presso una famiglia
o una comunità di tipo familiare, la sospensione della
responsabilità genitoriale dei genitori sul minore, la sospensione
dell'esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore
provvisorio. Si applicano, anche in questo caso, le norme di cui agli
articoli 330 e seguenti del codice civile.
Il
codice civile, d’altronde, richiede che i provvedimenti riguardo
alla prole siano assunti con esclusivo
riferimento all’interesse morale e materiale di essa.
Da parte sua il cod. civ. ben recepisce i principi sanciti dalla
Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, che fa
riferimento al
preminente e prioritario interesse del minore e ad uno sviluppo
armonico ed equilibrato della sua personalità.
NELLA
STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI (40.000 BAMBINI RINCHIUSI - I NUMERI
NON SONO OPINIONI) LA REALTA’ REGISTRA L’ESATTO CONTRARIO DELLE
FINALITA’ DECLAMATE DALLA NORMA.
VIENE
SISTEMATICAMENTE PERSEGUITO IL CONTRARIO DEL FINE DICHIARATO.
IL
MINORE SI TROVA NELL’IMMEDIATEZZA DEL PROVVEDIMENTO CHE LO
ALLONTANA DAI GENITORI IN UN MONDO A LUI STRANIERO, VIVE IN
CONDIZIONI DI DEGRADO RISPETTO AL QUELLE GODUTE NELLA CASA FAMILIARE
CON UNA DRASTICA RIDUZIONE DEL TENORE DI VITA TENUTO DURANTE LA
PERMANENZA NELLA CASA FAMILIARE CON I GENITORI, IN VIOLAZIONE
DELL’ART.
147
C.C.:
DIRITTO DEI FIGLI AL MANTENIMENTO, ISTRUZIONE, EDUCAZIONE.
Volendo
provare a generalizzare il concetto di “esclusivo
interesse morale e materiale”
della prole, ci si dovrebbe richiamare alla necessità che il
minore possa godere di uno sviluppo compiuto ed armonico della sua
personalità, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a
soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche, al di là
ed al di sopra di interessi diversi (e, magari, contrapposti) quali
potrebbero essere talora quelli dei genitori5,
allo scopo di ridurre al massimo, entro i limiti di una situazione
comunque traumatica, i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo
familiare.
La
valutazione di tale interesse deve in ogni caso essere riferito “...a
quel minore, inserito in quella situazione
concreta”,
con diretto ed immediato riferimento alla particolare fattispecie,
“…alla
vicenda umana di ciascun minore,
alla
sua sensibilità particolare di individuo”.
Spetterà al Giudice trovare la soluzione aderente alla specificità
della situazione sottoposta al suo esame, realizzata attraverso una
scelta coerente e ponderata, fondata su concreti elementi acquisiti.
Va
da sé che qualora le circostanze concrete consiglino una soluzione
alternativa all’affido condiviso e all’affidamento esclusivo, pur
in assenza di una disposizione espressa sul tema, si dovrà applicare
il dettato dell’art. 6, comma VIII, L. 898/70, ovvero disporre
l’affidamento
familiare a un nucleo diverso da quello naturale, per arrivare – ma
solo come soluzione di emergenza – ai Servizi Sociali.
Né
sono ravvisabili ragioni per escludere l’invocabilità dell’art.
2, L. 184/83, articolo avente il preciso scopo di introdurre
nell’ordinamento in modo organico un sistema di affidamento di
minori a famiglie estranee ai genitori naturali laddove i genitori
non siano idonei a tenere con sé il figlio, senza che a loro carico
emergano circostanze tali da pervenire a provvedimenti ablativi della
potestà.
Ecco
dunque che quando non appare nell’interesse del minore
l’affidamento a uno o all’altro genitore (ed escluso, ovviamente
e in prima analisi, l’affido condiviso), si potrà disporre
l’affidamento presso terzi: ciò non vuol dire, necessariamente, un
allontanamento dai genitori naturali (il ruolo principale e più
efficace dovrebbero continuare ad espletarlo i genitori, nel limite
del possibile), ma
la volontà di inserire il minore in una realtà dove possa
fronteggiare con la più ampia serenità possibile le problematiche
derivanti dalla crisi coniugale dei genitori.
Il
collocamento dei figli presso una terza persona e, in estrema
ipotesi, in un istituto di educazione costituisce tuttavia una
misura di carattere eccezionale
che può essere adottata solo allorquando entrambi i genitori abbiano
dimostrato un’assoluta deficienza morale e una totale inidoneità
educativa,
quando non è al momento opportuno o proficuo per la serena
evoluzione, la formazione della corretta personalità ed il loro
armonico sviluppo psicofisico l’affidamento del ragazzo a uno o
entrambi i genitori, quando
nessuno dei due sia allo stato idoneo a realizzare compiutamente
l’interesse morale e materiale del minore.
LA
PRIMA SOLUZIONE SARÀ, OVVIAMENTE, L’AFFIDAMENTO
A STRETTI PARENTI DEL MINORE, QUALI I NONNI E GLI ZII,
SU RICHIESTA DELLE PARTI CHE RIFIUTINO L’AFFIDAMENTO DELLA PROLE O
QUANDO SI CONSTATI L’INIDONEITÀ DI ENTRAMBI A SVOLGERE VALIDAMENTE
LA FUNZIONE EDUCATIVA.
Tuttavia,
nella maggioranza dei casi non viene adottato l’affido agli stretti
parenti, ma
viene privilegiata la scelta della collocazione nella casa famiglia,
con lo scopo di depotenziare le resistenze dei genitori o del
genitore e del minore che non vogliono accettare la separazione.
Anche
la soluzione del collocamento presso una terza persona, da preferirsi
al ricovero in un istituto di educazione, sebbene si tratti di
parenti o di persona con la quale il minore ha un rapporto
significativo, deve comunque essere adottata in presenza di GRAVI
MOTIVI,
come la comprovata inadeguatezza dei genitori a garantire una idonea
educazione ai figli.
Solo
se non sussiste la possibilità di affidare il minore a una terza
persona dovrà prendersi in considerazione l’affidamento presso un
istituto di educazione, soluzione di carattere eccezionale, ad
esempio per mancanza dei parenti, o per inidoneità anche di questi
ultimi: il Giudice in tal caso potrà rivolgersi ai Servizi Sociali,
“misura
di carattere eccezionale, alla quale deve farsi luogo soltanto
qualora RICORRANO
GRAVI MOTIVI E NON SIA POSSIBILE AFFIDARLI A TERZI,
cioè
quando vi è una vera e propria impossibilità materiale di
addivenire a una diversa soluzione a favore dell’uno o dell’altro
dei genitori, in quanto entrambi abbiano rivelato un’assoluta
deficienza morale e totale inidoneità all’opera di cura e di
educazione dei figli”.
In
tal caso verrà assegnata al Servizio Sociale la funzione di
“inserirsi”
nel rapporto tra il minore e i genitori, a cui si chiederà un
atteggiamento collaborativo: un intervento non tanto sulla famiglia
del minore, quanto a
fianco della
stessa, sempre nell’ottica di perseguire l’interesse morale e
materiale del figlio.
La
temporaneità dei provvedimenti riguardanti la prole farà sì che
sarà
sempre salva la verifica, in
ogni momento, della modificazione della situazione,
senza escludere una eventuale proroga del periodo di affido a terzi
del minore.
Con
l'istituto dell'affidamento è possibile da una parte tutelare
l'interesse diretto del minore di crescere ed essere educato in
maniera corretta, dall'altro, si offre alle famiglie in condizioni di
vita di degrado e di rischiosa indigenza un sostegno finalizzato a
superare la temporanea difficoltà.
La
tutela del diritto del minore alla famiglia si spinge fino alla
determinazione della dichiarazione di adottabilità.
L'art. 8 della Legge n. 149/01 recita che sono dichiarati in stato di adottabilità dal Tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono, perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio o da condizioni di insufficienza patrimoniale ed in questo caso il Comune deve provvedere senza ritardo a fornire tutto il sostegno necessario a cominciare dalla assegnazione di un alloggio comunale.
A tal proposito chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore e dove detta accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
L'omissione
della segnalazione può comportare l'inidoneità ad ottenere
l'affidamento familiare o adottivo e l'incapacità all'ufficio
tutelare. Anche i genitori che affidino stabilmente a chi non sia
parente entro il quarto grado per un periodo non inferiore a sei mesi
devono segnalarlo al Procuratore della Repubblica. In caso contrario
incorrono nel rischio di un procedimento di accertamento della
capacità genitoriale ex Art. 330 codice civile.
La Legge sull'adozione attribuisce particolare rilievo al diritto alla continuità affettiva dei bambini in affido familiare. Nello specifico, qualora durante l'affido ricorrano i requisiti per l'adozione e la famiglia affidataria chieda di voler adottare il minore, il Tribunale per i minorenni, nel decidere sull'adozione, tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra questi e la famiglia affidataria.L'importanza delle relazioni socio affettive sono preservate anche nel caso in cui il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in adozione o in affidamento ad altra famiglia.
A
tal fine, il Giudice tiene conto delle valutazioni documentate dai
servizi sociali, ascoltando il minore che abbia compiuto 12 anni o
anche di età inferiore se capace di discernimento.
Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e di aiuto disposti dalle istituzioni, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui lo stesso abbia bisogno.
Ove non sia possibile l'affidamento presso una famiglia o una persona singola, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza il più vicino possibile alla famiglia di provenienza. Per i bambini di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo in una comunità di tipo familiare.L'affidamento familiare del bambino è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso dato dai genitori esercenti la potestà (la responsabilità genitoriale) ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto 12 anni e anche il minore di età più piccola in considerazione della sua capacità di discernimento.
Ove
manca il consenso dei genitori esercenti la responsabilità
genitoriale o del tutore, provvede il
Tribunale per i minorenni del circondario ove risiede
il minore.
L'affidamento
familiare cessa
con il provvedimento del tribunale che lo ha disposto, valutato
l'interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di
difficoltà temporanea della famiglia d'origine.
Tale
periodo non può superare la durata di 24
mesi
ed è prorogabile dal Tribunale per i Minorenni qualora la
sospensione dell'affidamento familiare rechi pregiudizio al minore.
Con
la Legge
173/2015 si
è dato rilievo alla continuità delle relazioni affettive del minore
con la famiglia affidataria.
Per
evitare, che il legame affettivo tra il bambino e gli affidatari
debba essere spezzato, la nuova legge introduce nel tessuto
della Legge
184/1983 alcune
norme (o ne modifica altre) che danno attuazione al principio della
continuità dei rapporti consolidatisi durante il periodo
dell'affidamento, quando ciò corrisponde all'interesse del minore.
Infatti,
il comma
5-bis dell'art. 4, L. 184/1983 dispone
che se «durante un prolungato periodo di affidamento» il minore è
dichiarato adottabile, e la famiglia affidataria, avendo i requisiti
richiesti dall'articolo 6, chiede di adottarlo, il tribunale «tiene
conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e
duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria»;
mentre il nuovo comma 5-ter
dell'art. 4, L. 184/1983 prevede
che «è
comunque tutelata la continuità delle positive relazioni
socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento»
anche quando il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia
adottato da altra famiglia. Il comma 5-quater
dispone che il Giudice, ai fini della decisione di cui ai commi 5-bis
e 5-ter (di cui sopra), tiene
conto anche delle valutazioni documentate dai servizi sociali,
ascoltato il minore che ha compiuto 12 anni, o anche di età
inferiore se capace di discernimento.
L'art.
5, comma 1, L. 184/1983 viene
modificato nella parte finale, in quanto si stabilisce che «
l'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere
convocati a pena di nullità nei procedimenti» riguardanti la sorte
del minore, rafforzando, con la previsione della nullità, la
posizione di coloro che si prendono cura del bambino.
Nell'art. 25, L. 184/1983 viene introdotto il comma 1-bis, che estende le regole del procedimento adottivo anche all'ipotesi del prolungato periodo di affidamento.
Infine, l'art. 44, comma 1, L. 184/1983 viene modificato in modo tale da prevedere che l'adozione in casi particolari del minore orfano di padre e di madre possa essere chiesta da chi abbia con esso un rapporto stabile e duraturo «anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento».
Nell'art. 25, L. 184/1983 viene introdotto il comma 1-bis, che estende le regole del procedimento adottivo anche all'ipotesi del prolungato periodo di affidamento.
Infine, l'art. 44, comma 1, L. 184/1983 viene modificato in modo tale da prevedere che l'adozione in casi particolari del minore orfano di padre e di madre possa essere chiesta da chi abbia con esso un rapporto stabile e duraturo «anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento».
La
discrezionalità e i poteri
d’ufficio
attribuiti al giudice procedente
sono stati da sempre riconosciuti nell’ordinamento, stante la
necessità di tutelare l’interesse del minore, e l’ampia clausola
di chiusura, ora trasposta nell’art. 337 bis c.c.,
nella parte in cui è previsto che il giudice possa adottare ogni
altro provvedimento relativo alla prole, è disposizione in bianco
suscettibile di essere riempita di diversi contenuti a seconda delle
concrete necessità di tutela della prole.
Tale
ampio potere conosce comunque dei
limiti,
in quanto sia le convenzioni internazionali (cfr. art.
8 Convenzione dei diritti dell’uomo), sia le norme interne
(cfr. artt.
315 bis c.c. e art. 1 l. n.
184/1983), sanciscono il diritto del minore di crescere ed
essere educato nell’AMBITO
DELLA PROPRIA FAMIGLIA.
Pertanto, l’affidamento a terzi o all’ente territoriale deve
essere considerato SCELTA
ULTIMA,
alla quale ricorrere nei casi di conclamata incapacità genitoriale e
quando non vi sia possibilità di individuare soluzioni all’interno
della famiglia allargata.
Nel
suo concreto atteggiarsi l’affidamento a terzi può assumere
diverse connotazioni. Si può ricorrere all’affidamento dei minori
ad ascendenti o parenti, scelta da ritenere privilegiata alla luce
delle disposizioni contenute nella l. n. 184/1983
che nella disciplina dell’affidamento familiare prevede un
deciso favor nei
confronti dei parenti entro il quarto grado che, qualora accolgano il
minore nella propria abitazione, sono esonerati dall’obbligo di
darne segnalazione al Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale per i minorenni (art. 9, comma 4), obbligo invece gravante
su soggetti estranei alla cerchia parentale o sui responsabili di
enti. Il favor nei
confronti dei membri della famiglia allargata si desume altresì
dall’art. 337 ter c.c. che
stabilisce il diritto del minore di mantenere, nel caso di
dissoluzione del rapporto affettivo tra i genitori, un rapporto
equilibrato e continuativo non solo con ciascuno di essi ma con
gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
L’affidamento
a terzi o al servizio sociale può assumere diversa natura a seconda
del contesto in cui venga adottato: rientrano in tale ambito le
misure adottate ex art.
337 ter c.c. nei
procedimenti di affidamento dei figli nati sia nel matrimonio sia al
di fuori del vincolo coniugale; i provvedimenti emessi ex artt.
330 o 333 c.c. a seguito di pronunce di sospensione
e/o di decadenza dalla responsabilità genitoriale; i provvedimenti
di affidamento familiare di cui alla legge n. 184/1983.
Diversa
è la natura giuridica dell’affidamento al servizio sociale,
di cui all’art. 25 del r.d.l. n. 1404/1934, che ha
funzione amministrativa di intervento in presenza di difficoltà del
minore.
Il D.LGS. n. 154/2013,
nel novellare la materia della filiazione, ha previsto all’art.
337 ter c.c.,
che disciplina i provvedimenti relativi all’esercizio della
responsabilità genitoriale nell’ambito dei procedimenti di
separazione, divorzio o relativi a figli nati fuori del matrimonio
(norma applicabile, ex art.
337 bis c.c.,
anche ai procedimenti di annullamento, nullità del matrimonio, e a
quelli di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio),
che il giudice nel disporre misure concernenti l’affidamento dei
figli possa adottare «ogni altro provvedimento relativo alla prole,
ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il
minore ad uno dei genitori l’affidamento familiare».
Già
nell’originaria formulazione dell’ art. 155 c.c. era
prevista la possibilità che il giudice della separazione, in
presenza di gravi motivi, ordinasse il collocamento della prole
presso terzi, disposizione abrogata dalla l. n. 54/2006 (che
ha introdotto l’affidamento condiviso), ma ritenuta comunque
vigente dalla giurisprudenza, attraverso l’applicazione analogica
dell’art. 6 l. n. 898/1970 in materia di divorzio che
prevedeva la possibilità di disporre l’affidamento a terzi (Cass.,
10 dicembre 2010, n.24996). Con il riordino della normativa in
materia di filiazione attuato dal d.lgs. n. 154/2013,
la nuova formulazione dell’art. 337 ter c.c. prevede
espressamente la possibilità di ricorrere all’affidamento
familiare anche nell’adottare provvedimenti di affidamento dei
minori nell’ambito di qualunque procedura di cui all’art.
337 bis c.c..
RILEVATO
CHE
IL
SISTEMA DELLA GIUSTIZIA MINORILE registra dati quantitativi di alto
allarme per la tenuta del tessuto sociale e per l’ordine pubblico,
nonché per l’esistenza di minori e genitori:
40.000
bambini collocati nelle case famiglia, 250.000
genitori, parenti, amici separati dalle decisioni dei giudici
minorili, dalle relazioni delle assistenti sociali, delle psicologhe
forensi, dei tutori e curatori speciali.
Al
centro del sistema le case famiglia che beneficiano di entrate di
OLTRE DUE MILIARDI L’ANNO
e dove i bambini separati dai genitori vengono tenuti a volte in
condizioni degradate e comunque viene reciso
il vitale e naturale rapporto affettivo con i genitori,
violando le leggi
biologiche della relazione figli genitori scritta nel DNA di ognuno
di noi.
Il
sistema favorisce le case famiglia, luoghi di illegittimo distacco
dai genitori biologici, dove sovente si valorizza l’aspetto
patrimoniale della accoglienza, penalizzando
i rapporti affettivi dei minori con la famiglia e con i parenti,
dissimulando di accogliere i bambini che soffrono perché i genitori
non vanno più d’accordo, giovandosi delle liti familiari.
Il
sistema della giustizia minorile è un organismo che comprende una
serie di variabili, che possono essere tutte convergenti in offesa
dei diritti dei minori, sottoposti ad oggettivo disinteresse da parte
di tutti gli attori della tragedia del distacco dai genitori, vittime
sacrificali, dove dominano le decisioni dei giudici minorili
sostenute da relazione e pareri di assistenti sociali, psicologhe
forensi, tutori e curatori speciali sovente redatte con
superficialità, con una dose di manifesta inconferenza, debordando
dal perimetro di competenza, con assenza di conoscenze specifiche del
singolo caso, lasciando spazio a incaute generalizzazioni che sono
una vittoria precaria sulla infinità e complessità del dato
empirico.
Sostengono
incautamente i giudici minorili di “tutelare
i figli dalle manipolazioni dei genitori possessivi”.
Una
affermazione che si ripete da decenni per la maggior parte dei
procedimenti aperti nei Tribunali per i minorenni in tutta Italia e
che rappresenta
la prova granitica della disfunzionale applicazione delle norme nel
tentativo di conciliare diritto e psicologia,
quest’ultima spesso applicata nelle reali vicende umane con troppa
immediatezza e con metodologie ed operazioni ascientifiche.
Inoltre,
le psicologhe
forensi,
quelle che vengono incaricate dai giudici minorili, non potrebbero
pronunciare diagnosi che sono di competenza del medico (psichiatra e
neurologo), con conseguenze a volte perniciose per la sofferenza ed
il dolore che possono causare a figli e genitori. Non a caso il
Parlamento sta abolendo i Tribunali per i minorenni.
Un
mondo vuoto, generalizzazioni precarie, un mercato di parole prive di
significato lontane dalle sofferenze delle persone, ma ricco per gli
interessi professionali di incauti consulenti tecnici senza scienza e
coscienza, nominati dal giudice minorile per farsi assistere su
materie che non conosce. Giudizi affrettati, condanne perentorie che
offendono la scienza dell’anima ed alimentano l’effimero
prestigio di questi professionisti della pseudopsicologia, arroganti
e spesso incapaci di fornire un vero sostegno a chi ha bisogno più
preoccupati ad addebitare colpe ora ad un genitore ora ad un altro
con traballanti accuse e sanzioni afflittive, quando dovrebbero
operare per fornire un “aiuto” per favorire la conciliazione e la
pacificazione tra genitori e non moltiplicare i conflitti. Si
fregiano di medagliette e titoli di incerto valore accademico per la
tranquillità del giudice minorile, che può irrogare condanne e
sanzioni, garantito dagli esperti che ha nominato ben conoscendo il
disvalore delle perizie. Una cittadella di psicologhe prét à
porter, con pochi saperi e tanta voglia di emergere per le ragioni
del reddito, incuranti delle sorti delle vittime sottoposte ad un
doppio processo: quello delle psicologhe e quello del Giudice, una
ingiustizia al quadrato. Sono sempre le stesse, una etnia autoctona
nata nei Tribunali per i minorenni, che hanno trovato una miniera
d’oro discettando sul nulla: spazi di ascolto, percorso di sostegno
alla genitorialità, conflitto di lealtà, rapporto fusionale ed
ancora: sindrome di Munchausen, PAS (sindrome di alienazione
parentale), pericolo futuro psicopatologico ed altri imprecisati
disturbi psicologici frutto della psicologia creativa di queste
consulenti abituate alla redazione delle perizie con il metodo del
copia/incolla. Abolita la legge e decretata la legge dei giudizi
sommari diluendo diritto e pseudopsicologia, danno ingresso nei
giudizi a pettegolezzi, impressioni, opinioni, antipatie, simpatie,
arbitrarie valutazioni, tutto quel variegato lessico del pressappoco:
alienazione, simbiosi, conflitto di lealtà, mancata collaborazione,
ostruzionismo, rischio futuro psicopatologico, assenza di spazi di
ascolto, impedimento al sostegno della genitorialità.
I
DANNATI SONO I BAMBINI CHE NESSUNO ASCOLTA E TUTELA E TRAGICAMENTE LE
LORO PICCOLE ENERGIE DI RESISTENZA SI CONSUMANO NEL DOLORE E NELLA
DISPERAZIONE. L’ORRORE NASCE PER GLI EFFETTI DEVASTANTI SUI MINORI,
CHE DOVREBBERO PROTEGGERE E DI CUI DIVERSAMENTE MOLTIPLICANO LE
SOFFERENZE.
Qualsiasi
difesa è vana, viene semplicemente ignorata, non si sa come
fronteggiare il giudizio del giudice minorile supportato dalle
perizie delle psicologhe forensi, se supinamente ingraziandosi il
giudicante o contestandolo, ma in questo caso viene messa in pericolo
la condizione del minore che è il destinatario finale del
provvedimento afflittivo.
Particolarmente
offensivo per la dignità dei genitori riguarda la figura
dell’”educatore”
molto utilizzata negli ultimi anni dai giudici minorili.
L’educatore
viene autorizzato ad effettuare una vera e propria invasione
nella privacy
della casa familiare e dei componenti la famiglia (entrambi i
genitori, solo madre, solo padre, oltre ascendenti e parenti) per
insegnare a madri e padri come si deve fare il genitore, quali siano
le prescrizioni da adottare, quali le forme e i modi educativi, le
cure e l’educazione che devono essere impartite ai figli per
ottenere il parere positivo ad esercitare il ruolo di genitore. Se il
parere risulta negativo il genitore ritenuto carente si deve
sottoporre ad un percorso di sostegno alla genitorialità, meglio
conosciuto come psicoterapia, sempre secondo l’insegnamento
dell’educatore.
Basterebbe
applicare scrupolosamente l’art. 8 del CEDU
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
ARTICOLO
8 Diritto al rispetto
della vita privata e familiare
1.
Ogni persona ha diritto al
rispetto della
propria vita privata e familiare,
del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2.
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio
di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e
costituisca una misura che, in una società democratica, è
necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al
benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla
prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o
alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Giova
per completezza e per valutare il gap
incolmabile tra la situazione reale dell’universo minorile
collocato nelle case famiglia e sottoposto ai rigori illegali del
sistema minorile ed i diritti dei minori scritti nei codici e nei
trattati sovranazionali ed anche nella normativa regionale che
dispone sui requisiti strutturali per le case famiglia e sulle
prestazioni che devono essere offerte ai minori ospiti.
LA
COSTANTE DISAPPLICAZIONE DELLA NORMATIVA REGIONALE SULLE STRUTTURE A
CICLO RESIDENZIALE
La
caduta verticale della condizione psicofisica del minore a causa
delle condizioni alloggiative, alimentari, nutrizionali, relazionali,
ambientali vissute nelle case famiglia è ascrivibili ad una serie di
condotte disfunzionali, quando volutamente violative di detta
normativa.
La
deliberata interruzione dei rapporti affettivi dei minori con i
genitori, che rappresenta il riferimento più importante per il
bambino, appare una azione marcatamente offensiva delle prerogative
del minore con condotte trasgressive dei diritti genitoriali, nonché
dei diritti umani e civili scritti nella Costituzione e nei codici.
L’inottemperanza
della
normativa regionale uniforme nelle varie Regioni d’Italia viene
sistematicamente disattesa nelle
strutture
a ciclo residenziale c.d. case famiglia, che ospitano i minori
sottratti ai genitori.
La
normativa regionale pone quale
prioritario obiettivo il ritorno del minore nella propria casa
affidato ai propri genitori tanto
che la casa famiglia è aperta agli stessi genitori, ai parenti ed a
tutto il mondo delle relazioni e dell’ambiente territoriale che ha
caratterizzato la vita del minore. Tant’è che è prevista la
elaborazione di una carta
dei servizi
ed un registro
per le visite,
come pure sono anche previsti brevi periodi di frequenza nella casa
coniugale.
CARATTERISTICHE
DELLE STRUTTURE
Le
strutture a ciclo residenziali per
minori
indicate nelle leggi regionali prestano servizi finalizzati ad
interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi
della famiglia sulla base di un piano personalizzato
educativo-assistenziale.
Le
strutture residenziali sono di tipo familiare o a carattere
comunitario e consentono l’accoglienza di minori, anche disabili,
che temporaneamente o per situazioni di emergenza non possono
permanere presso il nucleo familiare, e per i quali non è possibile
altra forma di accoglienza e di sostegno educativo. Si considerano
come luoghi accoglienti dove gli interventi di operatori competenti
in costante collaborazione con i servizi territoriali sono
finalizzati a
far “star bene” il minore accolto, affinché egli venga il
prima possibile restituito ad un percorso di vita ordinario e
“normale”.
L’inserimento
nelle strutture residenziali ha i seguenti obiettivi:
-
rientro
nella propria famiglia di origine;
-
affidamento familiare;
-
adozione;
-
raggiungimento dell’autonomia, con la maggiore età, nel caso che
nessuna delle tre ipotesi precedenti sia percorribile.
CARTA
DEI SERVIZI SOCIALI
Ogni
struttura adotta LA CARTA DEI SERVIZI SOCIALI, nella quale sono
indicati, fra l’altro, i criteri per l’accesso, le modalità di
funzionamento della struttura, le tariffe praticate, con
l’indicazione delle prestazioni ricomprese.
Nel
rispetto di quanto contenuto nella “Dichiarazione
dei diritti del fanciullo”
nella Carta dei servizi sociali sono previsti i seguenti punti:
Modalità
di funzionamento della struttura
finalità
e caratteristiche della struttura;
orari
dei pasti;
regole
della vita comunitaria;
organizzazione
delle attività, con riferimento alla presenza delle varie figure
professionali;
indicazione
dei servizi e delle opportunità presenti nella comunità locale e
territoriale;
modalità
di partecipazione dell’ospite alla organizzazione della vita
comunitaria;
funzionamento
della struttura garantito per l’intero arco dell’anno;
assistenza
tutelare diurna e notturna.
REQUISITI
STRUTTURALI
Localizzazione
Le
strutture per minori sono ubicate in centri abitati, o nelle loro
vicinanze, facilmente raggiungibili con l’uso di mezzi pubblici o
con mezzi di trasporto privati messi a disposizione dalla struttura,
comunque in modo tale da permettere la partecipazione
degli utenti alla vita sociale del territorio,
l’accesso ai servizi territoriali e facilitare
le visite agli ospiti delle strutture.
Le
strutture sono dotate di spazi destinati ad attività collettive e di
socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da letto.
La distribuzione degli spazi garantisce l’autonomia individuale, la
fruibilità e la
privacy.
Gli
spazi abitativi si configurano come spazi di quotidianità che
contribuiscono a rendere l’ambiente confortevole e familiare.
Esattamente il contrario di quanto avviene nella realtà per
continuare nell’illegalità a gestire ed incassare le retta pagate
dai comini.
LINEE
GUIDA DEL COMITATO DEI MINISTRI DEL CONSIGLIO D'EUROPA
per
una giustizia a misura di bambino
“un
sistema
giudiziario a misura di minore
protegge il giovani dalle difficoltà, si assicura che ABBIANO
VOCE IN CAPITOLO, TIENE IN DEBITA CONSIDERAZIONE LE LORO PAROLE …”
“ di essere consultato ed ascoltato nei
procedimenti
che coinvolgono e lo riguardano. In particolare si dovrebbe dare il
giusto riconoscimento alle opinioni del minore” .”! dovrebbe
essere riconosciuto il dovuto peso ai loro punti di vista e alle loro
opinioni” .. I MINORI DOVREBBERO
ESSERE
TRATTATI CON ATTENZIONE, SENSIBILITÀ, E RISPETTO NEL CORSO DI
QUALSIASI PROCEDIMENTO O CAUSA, PRESTANDO PARTICOLARE ATTENZIONE ALLA
LORO SITUAZIONE PERSONALE, AL LORO BENESSERE, AI LORO BISOGNI
SPECIFICI E NEL PIENO RISPETTO DELLA LORO INTEGRITÀ FISICA E
PSICOLOGICA” ...”I MINORI DOVREBBERO ESSERE CONSIDERATI CLIENTI
A PIENO TITOLO CON I LORO DIRITTI,
e
gli avvocati che li rappresentano dovrebbero farsi portavoce della
loro opinione” ...diritto
di essere ascoltato e di ESPRIMERE LA PROPRIA OPINIONE ..”..
dovrebbero essere utilizzate e considerate come prove ammissibili le
tecniche di assunzione
quali registrazioni audio o video” ...dovrebbero
essere redatti e utilizzati verbali di audizione..” ...le
dichiarazioni
e le prove di un minore non dovrebbero mai essere presunte
invalide o inattendibili
per
il solo motivo dell'età”...l'articolo 3 della Convenzione Europea
sull'esercizio del diritto dei minori (serie dei trattati europei n.
160) combina il diritto di essere ascoltato..
i
minori hanno il diritto di esprimere la loro opinione liberamente,
senza pressioni e manipolazioni” ...per
ovvie
ragioni si dovrebbero prendere accordi specifici per la raccolta di
prove specialmente di
minori vittime di reati … permettere
di testimoniare via audio, video o mediante collegamento tv, deporre
una testimonianza dinanzi agli esperti prima
del
processo, e
evitare il contatto visivo o di altro di tipo tra la vittima ed il
presunto colpevole (linee guida 68) ...come
si è già
precisato
l'età non dovrebbe essere un ostacolo al diritto del minore di
partecipare pienamente al procedimento giudiziario.
Secondo
la linea guida 73 non
si dovrebbe presumere che le loro testimonianze siano invalide o
inaffidabili semplicemente in ragione delle loro età”.
I
DIRITTI DEI MINORI
"La
nostra epoca è caratterizzata da un approfondito sentimento
dell'infanzia inteso come coscienza che la tenera età è uno stadio
molto importante della vita nello sviluppo dell'uomo; che il bambino
è una persona umana con esigenze fondamentali da appagare; che ogni
minore ha caratteristiche proprie che vanno rispettate e non
violentate.
Nelle
epoche precedenti il bambino era considerato una "speranza
d'uomo", che poteva avere delle aspettative ma non dei diritti:
in altri termini la condizione infantile veniva percepita come una
condizione imperfetta per cui il bambino non era considerato un
essere umano, titolare di diritti autonomi. Un cardinale francese del
XVII secolo definì la condizione infantile come "la più vile
ed abietta", mentre uno scrittore del '700 affermò che
l'infanzia è "la vita di una bestia".
Solo
alla fine del secolo scorso ed all'inizio di quello attuale, le
scienze umane, - psicologia, pedagogia, sociologia - posero in
rilievo il tema dell'infanzia e dei suoi bisogni non appagati. Con
ritardo si cominciò, quindi, a parlare di diritti del minore:
infatti in un primo tempo furono imposti dei doveri dell'adulto verso
l'infanzia e successivamente a questa vennero riconosciuti diritti in
modo autonomo ed esclusivo. Diritti che non solo devono essere
rispettati dall'adulto, ma devono essere da costui anche
concretamente attuati."
La
storia della legislazione a tutela dei minori fa la sua prima
apparizione negli Stati Uniti alla fine dell'800. Per due volte (nel
1874 e nel 1890) dei minori maltrattati e picchiati dai genitori
furono salvati soltanto grazie all'intervento della società per la
protezione degli animali, poiché soltanto comparando il minore ad un
animale era possibile assicurargli protezione. A seguito di questi
episodi, cominciarono a nascere i primi statuti tesi a proteggere i
minori, e nel 1899 nacque il primo Tribunale per i Minorenni.
In
Italia, il primo progetto di legge minorile venne varato solo
all'inizio di questo secolo, nel 1909. In seguito, con legge n. 1404
del 1934, fu istituito il Tribunale per i Minorenni.
È
interessante fare una panoramica delle dichiarazioni emesse da organi
europei ed internazionali, onde rilevare quanti diritti sono
compiutamente già previsti e statuiti da organismi sopranazionali.
a)
I diritti dei minori nelle dichiarazioni internazionali
Un
primo tentativo di individuare in maniera organica alcuni diritti del
fanciullo venne fatto nel 1925 in sede di Assemblea Generale della
Società delle Nazioni a
Ginevra,
che, promulgando la "Dichiarazione dei diritti del fanciullo",
approvò i seguenti cinque principi:
- il fanciullo deve essere messo in grado di svilupparsi dal punto di vista materiale e spirituale;
- il fanciullo che ha fame deve essere nutrito, il fanciullo ammalato deve essere curato, il fanciullo ritardato deve essere stimolato, il fanciullo fuorviato deve essere recuperato, l'orfano e l'abbandonato devono essere soccorsi;
- il fanciullo deve essere il primo ad essere soccorso in caso di bisogno;
- il fanciullo deve essere messo in grado di guadagnare; la sua vita deve essere protetta contro ogni sfruttamento;
- il fanciullo deve essere allevato nel sentimento che le sue migliori qualità devono essere poste al servizio dei suoi fratelli.
Tale
documento, sebbene insufficiente in quanto mancante di un vero e
proprio riconoscimento dei diritti del fanciullo, ha avuto il pregio
di affermare in modo solenne ed impegnativo, per tutti gli stati
membri, che il bambino va considerato a tutti gli effetti un essere
umano, e come tale va tutelato.
Successivamente,
il 10 Dicembre 1948, l'Assemblea Generale dell'ONU approvò la
"Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo", che
afferma, in linee generali, la necessità di una particolare
protezione per l'infanzia (art. 25 comma 2) e il diritto di ogni
persona ad una educazione diretta a promuoverne il pieno sviluppo
(art. 26 comma 2).
Ancora
il 20 Novembre 1959, l'Assemblea Generale dell'ONU approvò la
"Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo". Nel Preambolo
della Dichiarazione è riportato: "Considerato che il fanciullo,
a causa della sua immaturità fisica ed intellettuale ha bisogno di
particolare protezione e di cure speciali, compresa una adeguata
protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita; ... Considerato
che l'umanità ha il dovere di dare al fanciullo il meglio di se
stessi, l'Assemblea Generale proclama la presente Dichiarazione dei
diritti del fanciullo affinché esso abbia una infanzia felice e
possa godere, nell'interesse suo e di tutta la società, dei diritti
e delle libertà che vi sono enunciati; invita i genitori, gli uomini
o le donne in quanto singoli, come anche le organizzazioni non
governative, le autorità locali e i governi nazionali a riconoscere
questi diritti ..."
Tra
i principi fondamentali si rilevano i seguenti:
n.
2: "il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e
godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge ed altri
provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e
normale sul piano fisico, intellettuale e morale, spirituale e
sociale, in condizioni di libertà e dignità";
n.
4: "... il fanciullo ha diritto ad una alimentazione, ad un
alloggio, a svaghi e a cure mediche adeguate";
n.
6: "il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua
personalità, ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per
quanto possibile, crescere sotto le cure e le
responsabilità
dei genitori e, in ogni caso in un atmosfera d'affetto e di sicurezza
materiale e morale..."
n.
7: "il fanciullo ha diritto ad una educazione ..."
n.
9: "il fanciullo deve essere protetto contro ogni forma di
negligenza, di crudeltà e di sfruttamento."
Alcuni
autori sostengono che tali Dichiarazioni non erano vincolanti né per
gli Stati e i loro organi, né per i cittadini: ma la loro rilevanza
non si esauriva comunque su un piano esclusivamente morale, avendo
effetti significativi anche sul piano giuridico. I principi
solennemente riconosciuti come validi dalla comunità delle genti, e
riaffermati come doverosi per le Nazioni ed i cittadini, rendevano
espliciti valori che dovevano essere già insiti nei sistemi
giuridici e così orientavano il legislatore e l'interprete del
diritto, imponendo prassi che non potevano essere in contrasto con
essi.
Secondo
altri autori, invece, le Dichiarazioni di principi emanate
dall'assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno valore giuridico in
quanto la loro inosservanza ha conseguenze anche all'interno dello
Stato italiano. Infatti, la Costituzione prevede all'art. 10, comma
1, che "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute." La Corte
Costituzionale, con sentenza del 23 novembre 1967, n. 120, ha
implicitamente affermato che atti internazionali come la
Dichiarazione dei diritti dell'uomo hanno natura di norme
generalmente riconosciute e quindi sono automaticamente recepite
dalla legislazione statale.
Sulla
base di questo embrionale statuto dei diritti dei minori, nel 1989 fu
elaborata la "Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia"
approvata il 20 Novembre 1989 e ratificata in Italia con L. 27 maggio
1991 n. 176 (entrata in vigore il 12 giugno 1991) con cui sono stati
dettagliati, revisionati ed ampliati i diritti del minore. A
differenza della Dichiarazione del 1959, per sua natura non
vincolante, i principi e le norme della Convenzione, tramite la legge
di ratifica, sono divenuti parte integrante del diritto interno.
Questa
Convenzione mette in evidenza non solo la necessità di rispettare la
personalità del minore, ma anche quella di agire attivamente per
offrire al minore un aiuto e un'assistenza particolare, data la sua
condizione di maggiore fragilità e vulnerabilità.
Nel
Preambolo della Convenzione si legge testualmente che "gli Stati
parti della presente Convenzione, considerando che, in conformità
con i principi proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, il
riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della
famiglia umana,
nonché l'eguaglianza e il carattere inalienabile dei loro diritti
sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace nel
mondo ... Rammentando che nella Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo, le Nazioni unite hanno proclamato che l'infanzia ha
diritto ad un aiuto ed un'assistenza particolari ... Riconoscendo che
il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua
personalità, deve crescere in un ambiente con un clima familiare di
felicità, di amore e comprensione ... Tenendo presente che, come
indicato nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo del 20 novembre
1959, il fanciullo a causa della sua mancanza di maturità fisica ed
intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi
compresa una protezione legale appropriata prima e dopo la nascita
... Riconoscendo l'importanza della cooperazione internazionale per
il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i
paesi ... hanno convenuto quanto segue...".
La
Convenzione elenca poi specificatamente i singoli diritti dei
fanciulli, ed in particolare:
- il diritto innato alla vita (art. 6);
- il diritto ad un nome e alla registrazione anagrafica (art. 7);
- il diritto a conservare l'identità, la nazionalità, il nome e le relazioni familiari (art. 8);
- il diritto a non essere separato dai genitori, salvo che tale separazione sia nell'interesse superiore del fanciullo (art. 9);
- il diritto a formarsi una propria opinione (art. 12); alla libertà di espressione (art. 13), alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 14);
- il diritto al godimento dei più alti livelli raggiungibili di salute fisica e mentale (art. 24);
- il diritto ad un livello di vita sufficientemente adeguato a garantire il suo sviluppo fisico, spirituale, mentale, morale e sociale (art. 27);
- il diritto all'educazione (art. 28);
- il diritto al riposo, allo svago ed al gioco (art. 31);
- il diritto ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e da qualsiasi tipo di lavoro rischioso (art. 32);
- il diritto ad essere protetto contro l'uso illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope;
- il diritto ad essere protetto contro ogni forma di sfruttamento sessuale e violenza sessuale (art. 34);
- il diritto a non essere sottoposto a tortura, o a trattamenti e punizioni crudeli, inumani o degradanti (art. 37)
- il diritto a non partecipare a conflitti armati se di età tra i quindici e i diciotto (art. 38);
- il diritto al recupero fisico e psicologico ed al reinserimento sociale nel caso in cui egli sia vittima di qualsiasi forma di negligenza, di sfruttamento, di sevizie, di tortura o di qualsiasi altra forma di trattamento e punizione crudele (art. 39).
La
Convenzione sottolinea, inoltre, quando a certi diritti dei fanciulli
corrispondano dei doveri in prima persona a carico dei genitori, e,
laddove via sia mancanza o impossibilità da parte di questi di agire
come richiesto, in forma sussidiaria da parte dello Stato. È dunque
necessario, per meglio intendere la portata dei doveri dei genitori e
degli organi pubblici nei confronti dell'infanzia, tener presente le
dichiarazioni di principio oltre ai patti ed alle convenzioni che
hanno ad oggetto la tutela dell'infanzia.
b)
I diritti dei minori nei trattati europei
Un
altro impulso alla tutela dei diritti del fanciullo viene anche dagli
organismi europei, quali il Consiglio d'Europa ed il Parlamento
Europeo. Tali organismi si sono attivati promuovendo,
rispettivamente, la Raccomandazione n°R (79) della protezione dei
bambini contro i maltrattamenti, (approvata il 13 settembre 1979 dal
Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa), la Raccomandazione n°R
(85) sulla violenza in famiglia (approvata il 26 marzo 1985 dal
Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa) e la Risoluzione del
maltrattamento dei bambini (approvata dal Parlamento Europeo il 17
gennaio 1986).
Sono
inoltre da segnalare le seguenti convenzioni:
- Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1959, e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848;
- Convenzione europea sull'adozione dei minori, adottata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata con legge 22 maggio 1974, n. 357;
- Convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, approvata in Lussemburgo il 20 maggio 1980 e ratificata con legge 15 gennaio 1994, n. 64;
- Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione dei minori a carattere internazionale, adottata a L'Aja il 25 ottobre 1980 e ratificata con legge 15 gennaio 1994, n. 64;
- Convenzione europea sul rimpatrio dei minori, adottata all'Aja il 28 maggio 1970, ratificata con legge 30 giugno 1975, n. 396;
- Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale;
- Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, anche se ad oggi ancora non ratificata.
Di
grande interesse è anche la "Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione Europea", adottata a Nizza il 7-8 dicembre 2000 da
parte del Consiglio Europeo, che all'art. 24 enuclea i diritti del
bambino:
- I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e maturità;
- In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente;
- Ogni bambino ha diritto di intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.
Sebbene
la Carta sia un atto interno del Consiglio Europeo e non sia
vincolante per gli stati membri, è tuttavia importante riconoscere
che, almeno sul piano programmatico, gli organi dell'Unione Europea
hanno fissato una serie di principi che dovrebbero essere comuni a
tutti gli stati dell'Unione, e che riguardano principalmente il
singolo (artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17,
18, 19, 20, 21, 26), la parità tra uomini e donne (e dunque dei
coniugi, art. 23) la famiglia (art. 7 e 9), il fanciullo (art. 24) e
non ultimi gli anziani (art. 25).
c)
I diritti dei minori nella Costituzione Italiana
Per
quanto riguarda l'Italia, nella nostra Costituzione, entrata in
vigore nel 1948, sono tracciate con sufficiente precisione i diritti
costituzionali del minore, considerato non più come oggetto dei
diritti degli adulti e neppure come essere incapace e indifeso da
proteggere, bensì come soggetto di diritti, cittadino in formazione.
La
Costituzione riconosce al minore vari diritti, ed in particolare:
- l'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo in quanto tale: esso si riferisce anche ai minori. Tale articolo, infatti, si applica indipendentemente dall'età, dal sesso e dalla cittadinanza;
- l'art. 3 riconosce il diritto del minore ad un regolare processo evolutivo: è fondamentale diritto del minore il formarsi in modo armonioso e completo e quindi il ricevere prestazioni materiali ed apporti educativi che lo mettano in grado di crescere;
- l'art. 30, stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli. Pertanto, considerando che per il bambino la formazione sociale più importante è costituita dal nucleo parentale, una prima garanzia del diritto all'educazione è rappresentata dal dovere imposto ai genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, indipendentemente dal fatto che siano uniti in matrimonio, e che lo stesso rapporto di filiazione sia formalmente accertato;
- l'art. 31 protegge, oltre alla maternità, anche l'infanzia e la gioventù;
- l'art. 34 attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana. Tale norma trova scarsa applicazione, mentre, per la sua portata generale, la sua applicazione sarebbe assai utile per la tutela sociale, istituzionale e giudiziaria dei bambini, come diritto alla rimozione di tutte le cause che possano turbare la sua crescita.
Anche
se il legislatore costituzionale non ha delineato un compiuto statuto
dei diritti del minore, è importante comunque rendersi conto che la
carta costituzionale può essere interpretata in modo più elastico
di fronte alle sempre nuove necessità della vita, riconoscendo in
essa il più generale principio del favor
minoris nel
progetto di promozione e tutela dei diritti del minore.
In
Italia, le norme civilistiche in materia di minori hanno avuto un
grande passo avanti a seguito della legge sull'adozione speciale del
1967 e della riforma del diritto di famiglia, con cui si è data
attuazione ai principi innovatori contenuti nella Costituzione.
Infatti, la vera nascita del bambino quale cittadino a tutti gli
effetti avviene nel 1967 con la legge sull'adozione speciale (l. 5
giugno 1967, n. 431), sostituita poi dalla l. 4 maggio 1983 n. 184.
Tali leggi hanno spostato il centro dell'attenzione dall'adulto al
minore, che diventa dunque titolare di diritti autonomi. L'attuazione
di queste leggi richiede due nuovi orientamenti culturali: passare
dalla cultura della riparazione a quella della prevenzione e passare
dalla cultura dei bisogni a quella dei diritti.
È
indubbio che, sia sul piano civile che penale, siano state approvate
molte leggi a tutela dell'infanzia e del minore (ad esempio quella
sulla pedofilia e sullo sfruttamento sessuale), e che particolare
attenzione deve essere data ai pericoli a cui il minore può essere
esposto proprio all'interno della famiglia.
Dal
punto di vista penalistico, l'ordinamento giuridico ha formulato
alcuni articoli volti alla tutela dei minori, ed in particolare
l'abuso di mezzi di correzione e di disciplina (art. 571 c.p.) ed i
maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.). Restano inoltre
applicabili ai vari fatti di violenza i reati di lesioni (artt. 582 e
583 c.p.), di percosse (art. 581 c.p.), di ingiuria (art. 594 c.p.),
di violenza privata (art. 610 c.p.) e di minaccia (art. 612 c.p.).
Anche se nessuno di questi è dedicato esclusivamente ai minori,
ciascuno potrà essere invocato per tutelare uno di quei diritti
inviolabili tutelati dalla norma anche a favore di minori.
La
legge penale, infatti, guarda al fenomeno della violenza fisica o
morale in danno dei fanciulli tutelando l'interesse dell'intera
collettività ad evitare le distorsioni e i danni recati allo
sviluppo della personalità, e quindi prevedendo le pene del carcere
o della multa solo per i fatti che più immediatamente pregiudicano
tale interesse. La legge civile, invece, si occupa più direttamente
dei rapporti tra gli individui, reagendo alle violazioni di regole
dettate spesso in modo elastico e generale mediante strumenti diversi
dalla pena. Manca però una norma espressa che vieti l'uso della
violenza nei confronti dei figli, a differenza di quanto avviene, ad
esempio, in Svezia. A tal proposito, la legge svedese del 22 maggio
1979, n. 122, modificando l'art. 3 del capitolo II del codice dei
rapporti tra genitori e figli, ha stabilito che, con effetto dal 1°
luglio 1979, "il bambino non può essere sottoposto a punizioni
corporali, né ad altri trattamenti offensivi."
Tuttavia
va notato che non potrà mai esserci una tutela adeguata dei diritti
del minore, se essa sarà soltanto giudiziaria. È necessario in
primis una
tutela da parte della collettività, come tutela sociale per la vita
di tutti i giorni. È necessario il rispetto dei diritti soprattutto
da parte delle fondamentali agenzie educative e protettive, delle
istituzioni e degli organi di Stato. La tutela dei minori contro la
violenza intra ed extrafamiliare è un dovere che grava su tutti i
consociati, in quanto il minore è veramente un essere indifeso, e
l'intervento del giudice molto spesso arriva troppo tardi.
RITENUTO
CHE
LA
DIFESA DEI MINORI È UN ATTO DOVUTO
E DEVE ESSERE SVELATA LA REALTÀ DELLA CONDIZIONE DI QUESTI MINORI
SEPARATI DAI GENITORI E COLLOCATI NELLE CASE FAMIGLIA CHE HA
RAGGIUNTO UNA DIMENSIONE ED UN VOLUME DI SOFFERENZA MOLTO
PREOCCUPANTE PER LA TENUTA DEL TESSUTO SOCIALE E DELL’ORDINE
PUBBLICO.
La
verità sul sistema della collocazione illegittima di minori nelle
c.d. strutture protette chiuse ai controlli e alla trasparenza
dovuta,
atteso che enti
privati gestiscono denaro pubblico,
deve essere indagata con strumenti efficienti anche costituendo una
commissione
d’inchiesta parlamentare con
effettive possibilità di indagine e con la nomina di esperti
autorizzati ad entrare nelle case famiglia per un controllo ad ampio
raggio anche sui conti delle entrate e delle uscite.
L’affidamento
dei minori a soggetti privati collocati in case famiglia, meglio
strutture a ciclo residenziale o strutture protette o altre
denominazioni come l’accattivante “accoglienza”, possono celare
situazioni di grande disagio e sofferenza dei minori ospitati, come
pure abusi ed illegalità, che non possono essere curati e vigilati
in modo standardizzato, uguale per tutti gli ospiti, ma le
prestazioni devono essere personalizzate attraverso un esame
approfondito della singole situazioni che hanno comportato la
separazione del minore dai genitori e la collocazione nella struttura
a ciclo residenziale.
SI
CHIEDE
al
Governo ed in particolare al Presidente del Consiglio dei Ministri ed
ai Ministri indicati in epigrafe di assumere immediatamente, in
attesa di una modifica delle normativa di riferimento, un opportuno
provvedimento che possa interrompere le situazioni abuso e di
illegalità dovute alla pericolosa, irragionevole e controindicata
separazione dei figli dai genitori
e drasticamente ridurre e limitare questo fenomeno che ha raggiunto
una dimensione allarmante, dilatando il volume del dolere e della
sofferenza.
In
particolare si chiede che venga:
- garantito il diritto dei minori di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti ed evitare assolutamente che il minore venga separato dai genitori, salvo gravi reati che devono essere accertati dalla Autorità Inquirente con la irrogazione di misure cautelari e con condanne anche a seguito del processo di 1° grado di giudizio, abiurando nettamente quelle motivazioni inconferenti che attualmente consento illecitamente di allontanare i figli dai genitori, creado situazioni di gravi lesioni alla libertà individuali e offese ai diritti delle persone con ricadute dannose sullo sviluppo fisico e psichico del minore.
- ridotta la discrezionalità e i poteri d’ufficio attribuiti al giudice procedente;
- assicurato che in caso di sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori il minore deve essere esclusivamente affidato agli ascendenti ed ai parenti di ciascun ramo genitoriale;
- valutato l'interesse del minore a restare nella famiglia di origine anche in caso di sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Le assistenti sociali e gli altri consulenti nominati dal giudice minorile dovranno supportare, anche quotidianamente, il figlio e i genitori con incontri e colloqui per favorire la conciliazione e ripristinare condizioni di normalità, senza che il minore venga allontanato dal posto dove ha vissuto;
- assicurato il servizio di assistenza preventiva ed educativa per impedire situazioni di disagio educativo, culturale e sociale finalizzato a riequilibrare le relazioni familiari investite da conflitti e litigi;
- tutelato il diritto del minore ad avere pari condizioni di poter crescere nel contesto ambientale nel quale è nato ed ha formato i suoi primi anni di vita che non possono essere cancellati, come pure frequentazione e socializzazione nell’ambito scolastico di vicinanza nel territorio di appartenenza, eliminando tutti gli ostacoli anche quelli procurati dalle condotte di un genitore pregiudizievoli per il proprio figlio;
-
avviato eventualmente un percorso di sostegno per le figure che hanno
avuto in affidamento temporaneo il minore temporaneamente allontanato
dai genitori biologici, al fine del
reinserimento del minore nella famiglia
di origine,
della
riorganizzazione della relazione con la famiglia di origine per
rispondere alle esigenze
biologiche del rapporto affettivo nativo
del minore con il nucleo familiare, compresi ascendenti e parenti.