Intervento di Massimo
Rosselli del Turco alla Camera dei Deputati
Convegno del 13
settembre 2016
"La Famiglia problematica e il Sistema Italia
Il problema dell’allontanamento dei minori e degli affidamenti"
Il problema della “famiglia problematica” in Italia non è
trattato con l’importanza che merita e soprattutto non è trattato come
meriterebbe fino a sfociare in una vera e propria “violenza delle istituzioni”.
Questo tipo di violenza non è riconosciuta dal nostro
ordinamento e come tale sottovalutata.
È una violenza ancor più grave perché è perpetrata da organi
istituzionali in concorso fra di loro. Spesso le vittime sono proprio i minori
che ne subiscono la sua pericolosità.
Tipico esempio è il ricovero del minore portato in “Comunità di
Accoglienza” con ordinanze scaturite da relazioni stilate con una grande superficialità nel diagnosticare “le colpe” dei
genitori naturali.
L’autorità giudiziaria, quasi sempre, prende per buona la
relazione in questione da cui nasce una sentenza ingiusta basata su
illazioni senza prove che si definisce solamente su indizi.
Come ebbi già a dire nella mia ultima conferenza stampa alla
Camera dei Deputati il 19 aprile 2016, a volte vengono fatti degli
allontanamenti senza nemmeno aver conosciuto la famiglia, basandosi unicamente
sulla testimonianza di vicini di casa. I P.M. magari, virgolettano la relazione
dell’assistente sociale, la inoltrano al tribunale che, come nel caso da me
esposto quel giorno, emette un’ordinanza senza aspettare nemmeno la sua
relazione che nel frattempo aveva conosciuto la famiglia e che arriverà 5
giorni dopo la decisione già presa dai giudici.
La facilità con cui oggi si allontanano i minori dalla
famiglia naturale e si decide della loro vita presente e futura, si concretizza
spesso con l’Art 403 del c.c. che nell’interpretazione, a mio avviso distorta,
in uso, permette ad un assistente sociale di allontanare dalla propria casa con
l’ausilio delle forze dell’ordine, quasi sempre impreparate a questo tipo di
azione, i bambini che dovrebbero rimanere nella propria famiglia.
Voglio quindi a questo punto chiarire anche, e una volta per
tutte, che secondo me la legge non consente agli assistenti sociali di decidere
ex Art.403.
Questo non solo per la
tutela dei diritti dei minori, delle famiglie ma anche per la tutela legale
degli stessi assistenti sociali che, come abbiamo detto, in questo momento
decidono ed effettuano questo tipo di allontanamento.
Esaminiamo Cosa dice l’articolo
403 del codice civile:
“Quando il minore è
moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o
pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri
motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia,
lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo
alla sua protezione”
Quindi i soggetti citati per l’allontanamento sono due: la
“Pubblica Autorità” e gli “Organi di protezione dell’Infanzia”, che per
definizione sono anche e soprattutto gli assistenti sociali.
Se l’articolo di legge ha voluto distinguere i soggetti e i
secondi (gli assistenti sociali) sono solo “il mezzo” di cui si serve la
Pubblica Autorità non possono essere anche i primi, se no la legge non li
avrebbe distinti.
La Pubblica Autorità nel 403 potrebbe essere il Sindaco o il
Prefetto che delega altre persone, ma non l’assistente sociale.
Essendo, inoltre, questo allontanamento un atto
amministrativo deve anche essere autorizzato per iscritto.
Altro motivo per cui l’assistente sociale non può decidere
l’allontanamento lo riscontriamo nel suo stesso Codice Deontologico perché
l’Art.9 (Titolo II – Principi) così recita:
“Nell’esercizio delle
sue funzioni l’ Assistente Sociale non esprime giudizi di valore sulle persone
in base ai loro comportamenti.”
Quindi se l’assistente sociale decidesse e si
auto-autorizzasse di un allontanamento ex Art.403 darebbe un giudizio di merito
sull’operato delle persone da cui allontana il minore e, come abbiamo detto,
non le è consentito.
L’assistente sociale deve avvisare urgentemente la Pubblica
Autorità, essere autorizzata per iscritto e mettersi a disposizione per
effettuare l’allontanamento.
In questi anni di lavoro nel sociale mi è capitato di vedere
scritto su una relazione che era stato fatto un allontanamento di tre bambini
su cinque con un 403 perché gli altri due i genitori non glieli avevano voluti
consegnare! Mi chiedo che tipo di allontanamento è stato fatto!
Se fosse stato veramente un allontanamento urgente i bambini
dovevano essere in uno stato di grave pericolo, un pericolo continuato, i
genitori dovevano essere pericolosi per loro. Quindi chi ha fatto questo
allontanamento doveva assolutamente mettere in sicurezza tutti e cinque i
bambini, magari anche con l’aiuto delle forze dell’ordine. Se invece ne
allontani solo tre sicuramente gli altri due li hai lasciati in grave pericolo!
In ogni caso l’assistente sociale ha operato nella maniera peggiore. Ma la cosa
che mi ha lasciato basito fu quella di leggere che il giudice allontanò gli
altri due bambini circa 15 giorni dopo avallando l’operato del professionista e
non si accorse della mostruosità che era avvenuta!
Ecco il testo in sentenza:
“Rilevato come la
situazione sia nuovamente precipitata ed è preoccupante tanto che il servizio
sociale disponeva l’allontanamento dei minori [……] ai sensi dell’Art. 403 c.c.
[……] anche se non è stato possibile allontanare le piccole [……] perché si
trovavano presso la casa dei genitori ché non hanno dato il consenso al collocamento
in struttura delle bambine.” !!!
Vogliamo ulteriormente precisare che, secondo le nuove linee
guida presentate a Roma dall’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali nel 2015
nel congresso “Processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro
famiglie”, nella parte dedicata alla “regolazione dei processi di sostegno e
allontanamento del minore” , quando sono elencati gli articoli che parlano
degli elementi da tenere in considerazione così, fra l'altro, si esprimono:
Art.9
“Gli operatori che
materialmente eseguono il provvedimento di allontanamento devono essere
specializzati. È necessario prevedere un’ equipe stabile multi-professionale
per accompagnare l’evento di allontanamento, possibilmente composta da
professionisti diversi da quelli che hanno in carico il minore e la famiglia.”
Per concludere,
l’assistente sociale non può decidere di effettuare nessun tipo di allontanamento,
lo può effettuare dietro autorizzazione scritta della Pubblica Autorità ma in
maniera multidisciplinare.
Fra l’altro, a mio
avviso l’Art. 403, è incostituzionale.
A questo punto alla
famiglia viene quindi limitata la responsabilità genitoriale e i bambini
vengono dati in affidamento.
Qui mi permetterete di
essere un pò tecnico ma non se ne può fare a meno.
Vediamo ora cosa dice la legge sugli affidamenti, la n.ro 184
del 1983 emendata dalla 149 del 2001 :
Art.1 comma 1:
“Il minore ha diritto di crescere ed essere educato
nell'àmbito della propria famiglia.”
Art. 1 comma 2:
“ Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore
esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio
del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della
famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.”
Art.1 comma 3:
“Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle
proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro
autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei
familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore
di essere educato nell'àmbito della propria famiglia.[……]”
Questi articoli sono i punti focali degli allontanamenti.
Quindi i minori devono
vivere nella propria famiglia, non possono essere allontanati se questa è
povera e lo Stato (leggasi gli organi preposti alla loro tutela), tutti, si
badi bene, non solo gli assistenti
sociali, devono aiutare la famiglia in difficoltà.
Dal Quaderno della Ricerca Sociale 19 del Ministero delle
Politiche Sociali, nel paragrafo intitolato “Perché si arriva all’accoglienza
in contesti diversi dalla propria famiglia di origine” leggiamo che il 37% dei
bambini viene allontanato dalla propria famiglia naturale per “inadeguatezza
genitoriale”, un termine generico e che non dice alcunché, dando adito a
qualsivoglia interpretazione, ma che tende ad aggirare proprio il nostro
passaggio di legge.
Mi spiego meglio:
Dicono tutti: “non abbiamo soldi , non abbiamo personale, non abbiamo tempo",
ma nel contempo non si può allontanare un bambino da genitori poveri. Allora i
genitori diventano "non idonei a vivere con i propri figli". Non è
difficile capire che la povertà porta con se problemi: liti in famiglia,
stress, allontanamento di un genitore, separazioni ecc. Ecco quindi che la
famiglia povera diventa “inadeguata” dicitura che autorizzerebbe le istituzioni
ad allontanare i minori. Ma il comma 2
dice anche che la famiglia quando è in difficoltà va aiutata e i problemi vanno
prevenuti, cosa che raramente si fa e che poi determina le tragedie di bambini
che vengono separati dai genitori, a volte per sempre.
Oramai siamo talmente
abituati a queste tragedie che le sottovalutiamo e arriviamo al paradosso: se
le istituzioni hanno notizia di una rapina giustamente prevedono l’invio di più
macchine delle Forze dell’Ordine per la tutela delle persone. Se invece viene
allontanato un bambino le Forze dell’Ordine aiutano la sua sottrazione. E si
badi bene in entrambi i casi fanno il loro dovere, perché eseguono degli
ordini; quindi non si vuole colpevolizzare chi esegue degli ordini, ma chi
glieli da in maniera inappropriata e in deroga alle leggi.
L'Art.2 comma 1 della
legge sugli affidamenti così continua:
“Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare
idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi
dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori,
o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento,
l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.” E
solo al comma 2 aggiunge :” Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di
cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo
familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che
abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente
risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei
anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.”
L’Art.2 comma 1 prevede
quindi che il minore allontanato sia affidato a una famiglia e dice anche
“preferibilmente con figli minori”
Vediamo qual è la
realtà dei bambini e adolescenti fuori della famiglia d’origine al 31 dicembre
2012 nella relazione del Ministero delle
Politiche Sociali:
“In merito all’età
degli accolti risulta che nelle fasce estreme di 0-2 anni e di 15-17 anni si concentrano
le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali (comunità)
– rispettivamente il 64% degli 0-2 anni e il 66% dei 15-17 anni. Se per i
ragazzi più grandi, e prossimi alla maggiore età, l’accoglienza in comunità è
spesso il solo intervento esperibile per rispondere alle problematicità del
caso, per i bambini di 0-2 anni l’incidenza riscontrata rappresenta un’evidenza,
se non proprio una criticità, sulla quale riflettere in riferimento a quanto
disposto dalla legge 149/01 – [……].”
Ma si è riflettuto ci chiediamo? Sicuramente no: infatti dal
2012 lo stesso ministero non da più notizie sugli affidamenti di minori.
Ci chiediamo perché.
Esaminiamo adesso l’Art.4 comma 3:
“Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere
indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi
dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità
attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare
possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il
servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza,
nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente
informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si
tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2.
Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità
del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve
riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del
luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento
emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è
tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di
assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle
condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.”
In questo comma si dice
quindi che nei provvedimenti “devono essere indicate specificatamente le
motivazioni dell’allontanamento, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei
poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i
genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i
rapporti con il minore.”
Bene, nelle sentenze sono sempre indicati i motivi
dell’allontanamento, ma ancora ne devo vedere una che riporti i tempi e i modi
in cui l’affidatario deve operare, ne le modalità in cui le famiglie d’origine
possano mantenere i rapporti con i propri figli.
In genere queste modalità sono affidate ai servizi sociali
che già, carichi di incombenze, spesso decidono in base alle loro esigenze che
sono quasi sempre influenzate da carenza di fondi, personale ecc.
In alcuni casi queste decisioni vengono lasciate alla
discrezione di personale molto giovane ed inesperto concedendo loro un potere
discrezionale inadeguato al lavoro che dovrebbero svolgere e che può decidere
della vita futura di una famiglia e dei loro figli.
Queste criticità vengono ancora una volta sottostimate:
sappiamo con certezza da studi fatti a livello europeo che i bambini privati di
una o entrambe le figure genitoriali
riportano spesso anche numerosi danni fisici.
Vi assicuro che è una relazione, che fa paura!
Art.4 comma 4:“Nel provvedimento di cui al comma 3, come
abbiamo sentito, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata
dell'affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti
al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata
di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, [solo
n.d.r.] qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.”
Questo articolo di
legge stabilisce che nell’ordinanza del tribunale venga scritto sia il periodo
di presumibile durata dell'affidamento che
il complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine.
Come abbiamo sentito, il periodo presumibile della durata
dell’affidamento non c’è mai, io almeno non l’ho mai visto, ma come al solito
viene lasciato alla decisione del servizio sociale con tutte le criticità di
cui abbiamo già parlato.
Il periodo massimo di durata dell’affidamento viene chiarito
dallo stesso Ministero delle Politiche Sociali che così si esprime:
“Per quanto concerne la durata dell’accoglienza e ricordando che la
legge 149/2001 individua il periodo massimo di affidamento in ventiquattro mesi
- prorogabile da parte del Tribunale dei Minorenni laddove se ne riscontri
l’esigenza –, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due
anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando pari a poco meno del
60% del totale – erano il 62,2% nel 1999, il 57,5% nel 2007, il 56% nel 2008 e
il 60% nel 2011 -.” Dal 2011 non si parla più del problema…Ricordo che
siamo alla fine 2016.
Infine per concludere
Art.5 comma 2:
“Il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze,
su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera
di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di
provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più
idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture
del territorio e dell'opera delle associazioni familiari [……]”
Quest’articolo dovrebbe in particolare agevolare il rientro a
casa del bambino favorendo i rapporti con la famiglia d'origine e aiutandola,
se problematica, a risolvere le situazioni di eventuale rischio per i figli.
La realtà purtroppo e
diversa.
In genere quando un bambino finisce in affidamento la
famiglia d’origine è tenuta ben lontana dai figli e niente o ben poco si fa per
agevolare un ritorno a casa del minore. Tuttalpiù si invia quest’ultimo da uno
psicologo per fargli sopportare al meglio la sua nuova situazione residenziale
e, per quanto ne sappia, mai la terapia è rivolta ad un suo rientro in
famiglia. Per quanto riguarda invece i genitori, a loro vengono quasi sempre
somministrati dei test per capire la loro cosiddetta “genitorialità” e spesso
questi test servono a giustificare gli stessi allontanamenti.
Molto ci sarebbe da
dire anche sull’uso di questi test spessissimo inappropriati allo scopo,
moltissimo ci sarebbe da dire sulle interviste che vengono fatte, soprattutto
ai minori, in cui abbiamo riscontrato incredibili criticità soprattutto
nell’accoglienza e il modo di intervistarli.
Non viene quasi mai
fatta un’accoglienza all’intervista. Mi è capitato di aver letto in una
relazione presentata alla Procura da una accreditata psichiatra che
l’intervistatrice abbia delegato una sua ausiliaria all’accoglienza di una
minore!
Dalle Linee Guida
inglesi in Roberta Asperges / Giuliana
Mazzoni, University of Hull, “Maltrattamento e Abuso all’Infanzia. Un confronto
tra le linee guida per l’ascolto del minore”
“Molti bambini saranno
ansiosi prima di una intervista investigativa e pochi avranno familiarità con
gli aspetti formali della procedura. Pertanto è importante in questa fase
cercare di costruire una vera e reciproca comprensione con il bambino, cercando
così di aiutarlo a rilassarsi. Per fare ciò, lo Home Office consiglia di
parlare inizialmente di eventi e di tematiche non attinenti all’investigazione.
[......] I bambini, soprattutto giovani, percepiscono gli intervistatori come
figure di autorità, e numerose ricerche hanno trovato che quando tali figure
fanno domande il bambino si sforza di rispondere. Nello stesso modo, quando
l’autorità offre interpretazioni di eventi o azioni molti bambini si dimostrano
d’accordo per compiacenza. Diventa pertanto necessario che l’intervistatore non
dia maggior enfasi alla sua autorità e usi nel migliore dei modi la fase del
rapporto per contrastare attivamente la tendenza del bambino a rispondere per
compiacere “
Per quanto riguarda il "modo" di intervistare il minore, è
fondamentale come viene formulata la domanda
per avere risposte che riflettano il pensiero dell’intervistato.
La regola per l’intervista dei minori, specie se bambini, è
soprattutto la “Pazienza”. Non bisogna avere mai fretta di porre loro domande,
ma aspettare e rispettare i loro tempi. Quindi una domanda per volta lasciando
che prima completi la risposta precedente in tranquillità. Mai riempire i tempi
d’attesa intervenendo in qualsiasi modo, nemmeno facendo commenti, sia positivi
che negativi o addirittura con parole inutili e irrilevanti. Bisogna saper
ascoltare in silenzio facendo però attenzione affinché questo silenzio non
diventi opprimente, non si crei un’atmosfera troppo pesante.
Vanno evitate
soprattutto le domande suggestive.
“ [……] Quindi le
risposte alla domanda suggestiva, nella prassi, tendono ad essere determinate e
influenzate molto dal modo in cui è fatta la domanda più che dalla volontà e
dal ricordo dell’intervistato, quindi possono essere fuorvianti"
Per ora voglio concludere auspicando una disamina attenta
della politica italiana sul fenomeno dell’allontanamento dei minori dalle
famiglie che evidenzia, purtroppo ancora oggi, come abbiamo accennato, criticità
inequivocabili: una situazione che possiamo definire “a macchia di leopardo” , con enormi
variazioni nel tempo e nello spazio, razionalmente inspiegabili, che stanno a
definire la totale assenza di linee guida condivise.
Ovviamente questa situazione apre la porta a possibili
arbitrii degli operatori, non legati a protocolli ufficiali.
L’istituzione di percorsi o linee guida d’accoglienza,
devono fornire uno strumento operativo
ai professionisti dei vari servizi sociali dei Comuni, alle tante cooperative
che collaborano con loro alle Regioni e a tutti gli organi istituzionali per
realizzare un pensare comune, prassi concrete e condivise, in grado di dare
indirizzi certi agli interventi socio-sanitari nell’ambito di tutte quelle attività
preposte alla tutela e alla presa in carico di minori.
Linee guida condivise quindi, ma non solo. Si potrebbe
eccepire che in alcuni settori esiste una qualche condivisione, ma anche in
questi casi gli operatori non sono tenuti ad osservarle perché rimangono
semplici raccomandazioni e non sono codificate in leggi.
Ecco quindi la
necessità che siano approntati corsi di formazione e soprattutto studi
metanalitici che possano creare nuovi percorsi condivisi e, con quelli già
condivisi, che siano cogenti per chi li deve seguire.
Quindi dallo studio,
alla condivisione, al progetto di legge, alla legge.
Grazie