lunedì 26 settembre 2016

Abstract provvisorio dello studio “Genitori è bello", 

il manuale di autoaiuto per i genitori.

Il manuale fa parte della mia collana Giuridica e Sociale "I Libri Verdi"e prevediamo la pubblicazione verso fine ottobre.2016

 “C’è un solo modo per educare i figli ed è alla felicità”

Genitori è bello è un manuale di autoaiuto che si rivolge ai genitori, a coloro cioè che sono chiamati a svolgere il “mestiere” più difficile e più bello del mondo, con il proposito di suggerire indicazioni utili a superare le mille difficoltà che inevitabilmente e quotidianamente incontrano.
Per quanto paradossale possa sembrare, nella nostra società nessuno si preoccupa di fornire ai genitori un adeguato sostegno, un’adeguata conoscenza dei problemi che incontreranno, adeguati strumenti teorici e soprattutto pratici per superare tali problemi, in altre parole per aiutarli a svolgere il compito più difficile.
Nonostante l’ambizioso obiettivo che il manuale si prefigge lo stile espositivo è semplice e diretto, di grande impatto emotivo, grazie al ricorso a espressioni simboliche e a illustrazioni vignettistiche che lo rendono il primo manuale a fumetti per genitori.
La prima parte affronta fondamentali argomenti legati alle dinamiche genitore-figlio in modo metaforico e quindi immediatamente assimilabile, argomenti quali le maschere del genitore e i suoi cinque poteri.
Nella seconda parte si parla dell’aspetto complementare alle maschere genitoriali, costituito dai volti nascosti dei figli.
La terza parte affronta quindi in modo concreto e pratico il complesso tema della comunicazione tra genitori e figli, ciò che nel corso del tempo va plasmando – nel bene e nel male – la relazione tra loro: la comunicazione deve, infatti, essere considerata una sorta di volante della relazione, ciò che le imprime una certa direzione.
La quarta parte tratta poi delle cinque regole per educare alla felicità, regole che costituiscono il nocciolo del metodo di sostegno alla genitorialità.
Nella quinta parte vengono forniti alcuni strumenti fondamentali per il genitore, che riguardano la variabile più potente quanto invisibile dell’intero processo educativo: la visione del mondo. 
Attraverso la propria visione del mondo il genitore trasmette quelle convinzioni e quei valori che rappresentano la struttura portante della mente del figlio, ciò che gli permetterà di adattarsi con maggiore o minore successo alla realtà, soprattutto sociale.
Infine, la sesta ed ultima parte raccoglie le domande più frequenti che i genitori pongono agli esperti dell’educazione, offrendo possibili risposte sul piano pratico.

Di seguito riporto l’indice provvisorio:

Indice

Il “mestiere” più difficile e più bello del mondo

Prima parte
Le maschere dei genitori

1.1 Le maschere dei genitori
1.2. Disponibilità: il potere di soddisfare i bisogni
1.3. Autorità: il potere di porre le regole e di farle rispettare
1.4. Comprensione: il potere di accettare gli errori
1.5. Forza d’animo: il potere di affrontare i momenti difficili
1.6. Riconoscimento: il potere di vedere tuo figlio come un individuo

Seconda parte
I volti nascosti dei bambini

2.1. I volti nascosti dei bambini
2.2. Il bambino spaventato
2.3. Il bambino abbandonato
2.4. Il bambino colpevole
2.5. Il bambino inadeguato
2.6. Il bambino invaso
2.7. Il bambino invisibile
2.8. Il bambino disorientato
2.9. Il bambino arrabbiato

Terza parte
La comunicazione tra genitori e figli

3.1. Perché la comunicazione è così importante?
3.2. Ciò che rende la relazione tra genitori e figli “buona” o “cattiva”
3.3. I messaggi che creano una cattiva relazione
3.4. I messaggi improntati al “Non è vero!”
3.5. I messaggi improntati al “Non è giusto!”
3.6. La comunicazione libera dai conflitti
3.7. Disciplina e regole, premi e punizioni
3.8. Minacce, ricatti e ritorsioni
3.9. Definire gli obiettivi al positivo
3.10. Come affrontare la rabbia
3.11. Il bilancio della giustizia

Quarta parte
Le cinque regole per educare alla felicità

4.1. Prima regola: soddisfare i bisogni
4.2. Seconda regola: offrire comprensione
4.3. Terza regola: educare al benessere
4.4. Quarta regola: facilitare scelta e decisione
4.5. Quinta regola: favorire una visione del mondo in linea con il benessere

Quinta parte
Alcuni utili strumenti

5.1. Le due bussole
5.2. Il colino e il setaccio
5.3. La più preziosa delle risorse

Sesta parte
Domande e risposte

6.1. Le domande più frequenti
6.2. Il bambino tiranno

È giunto il momento di salutarci …

domenica 25 settembre 2016

I "Libri Verdi” della nostra collana Giuridica e Sociale

Dopo il mio primo Manuale, scritto in collaborazione con lo psicoterapeuta dr. Stefano Boschi di Bologna, della mia collana Giuridica e Sociale “I Libri Verdi”, dal titolo “L’Intervista con l’Assistente Sociale”, che ha inteso dare alcuni consigli pratici e rendere gli utenti edotti di come si devono correttamente comportare, quali sono i loro diritti e i loro doveri nella circostanza di un primo confronto con l’Assistente Sociale, sono di prossima pubblicazione altri quattro manuali.: “Didattica ed Educazione”, rivolto principalmente alle famiglie e agli insegnanti, “Il Manuale di auto-aiuto per i genitori”, che parla del giusto rapporto che si deve istaurare fra genitori e figli, “Il supporto alla Genitorialità”, rivolto agli addetti ai lavori del settore psicologico e infine il manuale “Il lavoro Istituzionale rivolto alla famiglia con minore a rischio” scritto per tutti gli operatori che, in ambito istituzionale, si occupano della famiglia problematica (Assistenti Sociali, Ctu, Ctp, Educatori, Giudici ecc.). Questo per evitare una volta per tutte  che i professionisti del settore incorrano in  errori che sono purtroppo ancora molto, troppo comuni nel nostro paese, dove solo lentamente, con fatica e tra mille ostacoli si va diffondendo la consapevolezza di come debba essere una corretta modalità di intervento.
Il secondo, manuale che, verrà stampato a breve e, come abbiamo avrà per titolo “Didattica ed Educazione”, è rivolto alla famiglia e alla scuola, considerati elementi di un insieme inscindibile per un semplice quanto fondamentale motivo: si tratta dei due pilastri su cui si regge l’educazione.
Se questa educazione è il processo che plasma la società di domani i suoi indiscussi agenti sono i genitori e gli insegnanti, i quali dovrebbero interagire in modo sinergico all’interno di una reciproca collaborazione, a tutto vantaggio del processo educativo del bambino. Soprattutto se consideriamo le scuole elementari, l’insegnante trasmette non solo nozioni ma modella la mente stessa dei suoi allievi, trasmettendo anche un modo di elaborare tali nozioni e con esso anche una visione delle cose, delle realtà, dei rapporti tra le persone, di se stessi come esseri umani.
Chi intende separare la didattica dall’educazione rischia perciò non solo di fare della cattiva educazione ma anche della cattiva didattica. Per altri versi occorre anche considerare che il metodo didattico oggi diffuso nelle scuole non si rivela il più efficace nello stimolare la motivazione allo studio e nel favorire l’apprendimento.
Questo accade perché la didattica attuale non tiene in debito conto le acquisizioni della ricerca nei settori della psicologia, delle neuroscienze, della cibernetica, della comunicazione, delle dinamiche relazionali alla luce della teoria generale dei sistemi e di quella che è stata definita ingegneria motivazionale.
Dal canto loro, spesso i genitori si trovano a gestire i problemi che insorgono dallo scarso rendimento scolastico dei figli, come se fosse loro compito stimolare un maggiore impegno in tal senso.
In questi casi i genitori ricevono una sorta di delega di responsabilità, finendo per vivere la scuola come una fonte di problemi che vanno ad aggiungersi a quelli legati al lavoro e alla quotidianità.
Ciò quando la scuola, in particolare quella elementare a tempo pieno, viene vista come il provvidenziale “parcheggio” del figlio ancora piccolo, il quale trova un luogo sicuro dove attendere che i genitori terminino la loro giornata di lavoro.
Quando poi i figli ritornano in famiglia, dopo una giornata in cui si sono sentiti costretti a restare seduti per ore (spesso con insufficienti spazi dedicati alla ricreazione, come a volte accade nella scuola media inferiore), portano con sé una cospicua carica di frustrazione nonché di ansia, legata quest’ultima a verifiche e interrogazioni.
Nel momento in cui l’adolescente si confronta con i genitori questa situazione rischia di essere vissuta come una sorta di preludio a quella lavorativa futura, che lo impegnerà in un lavoro affatto stimolante e per niente creativo, che potrà risultare in qualche modo e misura alienante.
È soprattutto in questa fascia di età che lo studente può rivelarsi alquanto riluttante ad impegnarsi nell’attività scolastica, contribuendo così ad aumentare le difficoltà e i problemi dei genitori.
Il risultato complessivo di tutto ciò può essere il progressivo scollamento tra famiglia e scuola, che trova terreno fertile nello scarso investimento, sul piano delle iniziative istituzionali, che la seconda attua sulla prima.
Bisogna anche considerare che in età più precoce possono insorgere le diverse forme di DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) a rivelare un sottostante disagio familiare così come le carenze del metodo didattico, fattori che in questi casi si trovano a convergere.
L’intento è proporre agli insegnanti alcuni suggerimenti pratici atti per favorire una maggiore efficacia del metodo didattico rendendo al contempo i genitori partecipi di tali possibili innovazioni, nella speranza che aiutino a promuoverle all’interno della scuola.
Centro focale di questo secondo manuale è la consapevolezza che l’efficace insegnamento richiede un ruolo partecipativo dell’alunno, invece di rientrare negli angusti canoni comportamentali e di pensiero in cui la scuola attuale sembra per molti versi costringerlo.
L’impronta autoritaria che anacronisticamente sopravvive nella nostra scuola rischia di oscurare il suo inequivocabile obbiettivo istituzionale, rappresentato dal binomio insegnamento-apprendimento.
L’obbiettivo dello studente, piuttosto che risultare l’apprendimento e la conoscenza, diventa spesso evitare i brutti voti, le note, i rimproveri degli insegnanti, i compiti per punizione, la bocciatura e i rimproveri dei genitori. Tutto questo, rischia di soffocare la sua naturale, genuina quanto insopprimibile tendenza alla conoscenza e alla curiosità  tipica del bambino e dell’adolescente.
I cosiddetti limiti della scuola istituzionale al comportamento dello studente sopravanza la possibilità che sono loro offerte in termini di atteggiamento attivo, creatività, iniziativa e soprattutto piacere della scoperta. Spesso la scuola sembra ridursi, se non identificarsi, con il non muoversi troppo,  il non parlare, il non distrarsi mentre l’insegnante spiega, il non disturbare la lezione e via dicendo.
La cosiddetta disciplina rischia di essere vissuta dall’allievo come fine a se stessa, impostata dall’esterno, l’inopportuno sostituto di una genuina motivazione, diversamente di quanto ad esempio accade nel caso dello sportivo, per il quale la sua attività rappresenta  il mezzo per raggiungere i risultati desiderati e realizzare i propri sogni.
La comunicazione quindi con lo studente mettendolo al centro della didattica.
Primo, essenziale passaggio per insegnare  è quello di aver ben presente l’interazione con l’allievo che, oltre ad essere sentito va assolutamente ascoltato. La differenza non è poca ma fondamentale: “Per la lingua italiana ascoltare e sentire sono verbi di significato diverso. Il sentire non richiede un atto di volontà: è un fenomeno di fisica acustica. L’ ascoltare richiede qualcosa di diverso. Comporta accettare di entrare in relazione con l’altro, recepire e comprendere ciò che vuole esprimere e comunicarci: con le parole, con un’espressione del viso, del corpo, e perché no, col silenzio. Ascoltare significa disponibilità ad accogliere l’altro e a modificare le nostre opinioni, lasciandoci “fecondare” da nuovi contenuti e significati. L’ascolto, nel tema che stiamo trattando, ha come soggetto attivo il minore ed è strumento per raccogliere il suo pensiero, la sua opinione e i suoi desideri all’interno della sua vicenda scolastica.
Dice Campbell (1979) “La comunicazione è la trasmissione di idee, emozioni, atteggiamenti e atti da una persona all’altra”
Noi quindi percepiamo i messaggi che ci vengono trasmessi principalmente attraverso una comunicazione non verbale (“come”) e solamente per un 10% con le parole.(“che cosa”).
L’insegnante quindi deve capire che se si vuole relazionare con lo studente deve avere ben presente che la comunicazione ha un valore di processo interattivo e non unidirezionale.
Il comportamento dello studente e di tutti noi non ha un suo opposto, quindi non è possibile non comunicare ma ogni volta che comunichiamo con una persona anche nel silenzio noi mandiamo messaggi e sosteniamo un comportamento che ci relaziona con la persona che abbiamo difronte. Quindi riceviamo sempre un’informazione sulla nostra relazione reciproca. Ma la comunicazione non verbale ha bisogno per essere completa di potersi riferire ad un contesto in cui si attua, allo spazio-tempo in cui ci si scambiano le informazioni ed anche alle circostanze, ai momenti storici e psicologici in cui avviene questo interscambio.
Quindi Insegnare alla bellezza dello studio, non alla noia e alla paura della punizione, comunicare con lo studente nella maniera  giusta e ascoltarlo non sentirlo.
Il bambino e l’adolescente al centro della didattica.
Il manuale si conclude con la citazione di alcune righe di un bellissimo libro, Il piccolo principe, che ho letto tanti anni fa e che tutti dovremmo leggere, dove viene descritto “Il Bambino che non riconosciamo”
Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato “Storie vissute della natura”, vidi un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa nell’atto di inghiottire un animale.
C’era scritto: “I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla.
Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede”.
Meditai a lungo sulle avventure della jungla.  E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno.
Il mio disegno numero uno. Era così: (Disegno della pancia di un boa)
Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. Ma mi risposero: “ Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?” . Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi. […..] Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore. […..] I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta. […..] Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino.
Ma l’opinione che avevo di loro non è molto migliorata. Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato.
Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna,  mi rispondeva: “E’ un cappello”.  E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle.
Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.”

Tutti i manuali saranno distribuiti gratuitamente e il primo, come si sta programmando  per il secondo, e si spera anche per gli altri in programmazione, sono stampati grazie alla sponsorizzazione dei deputati di “Alternativa Libera” Massimo Artini, Marco Baldassarre, Eleonora Bechis, Samuele Segoni e Tancredi Turco.

Nei nostri incontri previsti in tutte le regioni con le famiglie italiane, di cui il prossimo appuntamento, come sapete, è programmato a Bologna il 30 di Settembre, i manuali stampati verranno distribuiti alle singole persone che ne faranno richiesta e alle associazioni che tutelano i diritti della famiglia e dei minori.

sabato 24 settembre 2016

Intervento di Massimo Rosselli del Turco alla Camera dei Deputati
Convegno del 13 settembre 2016

"La Famiglia problematica e il Sistema Italia Il problema dell’allontanamento dei minori e degli affidamenti


Il problema della “famiglia problematica” in Italia non è trattato con l’importanza che merita e soprattutto non è trattato come meriterebbe fino a sfociare in una vera e propria “violenza delle istituzioni”.
Questo tipo di violenza non è riconosciuta dal nostro ordinamento e come tale sottovalutata.
È una violenza ancor più grave perché è perpetrata da organi istituzionali in concorso fra di loro. Spesso le vittime sono proprio i minori che ne subiscono la sua pericolosità.
Tipico esempio è il ricovero del minore portato in “Comunità di Accoglienza” con ordinanze scaturite da relazioni stilate con una grande superficialità nel diagnosticare “le colpe” dei genitori naturali.
L’autorità giudiziaria, quasi sempre, prende per buona la relazione in questione da cui nasce una sentenza ingiusta basata su illazioni senza prove che si definisce solamente su indizi.
Come ebbi già a dire nella mia ultima conferenza stampa alla Camera dei Deputati il 19 aprile 2016, a volte vengono fatti degli allontanamenti senza nemmeno aver conosciuto la famiglia, basandosi unicamente sulla testimonianza di vicini di casa. I P.M. magari, virgolettano la relazione dell’assistente sociale, la inoltrano al tribunale che, come nel caso da me esposto quel giorno, emette un’ordinanza senza aspettare nemmeno la sua relazione che nel frattempo aveva conosciuto la famiglia e che arriverà 5 giorni dopo la decisione già presa dai giudici.
La facilità con cui oggi si allontanano i minori dalla famiglia naturale e si decide della loro vita presente e futura, si concretizza spesso con l’Art 403 del c.c. che nell’interpretazione, a mio avviso distorta, in uso, permette ad un assistente sociale di allontanare dalla propria casa con l’ausilio delle forze dell’ordine, quasi sempre impreparate a questo tipo di azione, i bambini che dovrebbero rimanere nella propria famiglia.
Voglio quindi a questo punto chiarire anche, e una volta per tutte, che secondo me la legge non consente agli assistenti sociali di decidere ex Art.403.
Questo non solo per la tutela dei diritti dei minori, delle famiglie ma anche per la tutela legale degli stessi assistenti sociali che, come abbiamo detto, in questo momento decidono ed effettuano questo tipo di allontanamento.

Esaminiamo Cosa dice l’articolo 403 del codice civile:
 “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”
Quindi i soggetti citati per l’allontanamento sono due: la “Pubblica Autorità” e gli “Organi di protezione dell’Infanzia”, che per definizione sono anche e soprattutto gli assistenti sociali.
Se l’articolo di legge ha voluto distinguere i soggetti e i secondi (gli assistenti sociali) sono solo “il mezzo” di cui si serve la Pubblica Autorità non possono essere anche i primi, se no la legge non li avrebbe distinti.
La Pubblica Autorità nel 403 potrebbe essere il Sindaco o il Prefetto che delega altre persone, ma non l’assistente sociale.
Essendo, inoltre, questo allontanamento un atto amministrativo deve anche essere autorizzato per iscritto.
Altro motivo per cui l’assistente sociale non può decidere l’allontanamento lo riscontriamo nel suo stesso Codice Deontologico perché l’Art.9 (Titolo II – Principi) così recita:
Nell’esercizio delle sue funzioni l’ Assistente Sociale non esprime giudizi di valore sulle persone in base ai loro comportamenti.”
Quindi se l’assistente sociale decidesse e si auto-autorizzasse di un allontanamento ex Art.403 darebbe un giudizio di merito sull’operato delle persone da cui allontana il minore e, come abbiamo detto, non le è consentito.
L’assistente sociale deve avvisare urgentemente la Pubblica Autorità, essere autorizzata per iscritto e mettersi a disposizione per effettuare l’allontanamento.
In questi anni di lavoro nel sociale mi è capitato di vedere scritto su una relazione che era stato fatto un allontanamento di tre bambini su cinque con un 403 perché gli altri due i genitori non glieli avevano voluti consegnare! Mi chiedo che tipo di allontanamento è stato fatto!
Se fosse stato veramente un allontanamento urgente i bambini dovevano essere in uno stato di grave pericolo, un pericolo continuato, i genitori dovevano essere pericolosi per loro. Quindi chi ha fatto questo allontanamento doveva assolutamente mettere in sicurezza tutti e cinque i bambini, magari anche con l’aiuto delle forze dell’ordine. Se invece ne allontani solo tre sicuramente gli altri due li hai lasciati in grave pericolo! In ogni caso l’assistente sociale ha operato nella maniera peggiore. Ma la cosa che mi ha lasciato basito fu quella di leggere che il giudice allontanò gli altri due bambini circa 15 giorni dopo avallando l’operato del professionista e non si accorse della mostruosità che era avvenuta!
Ecco il testo in sentenza:
Rilevato come la situazione sia nuovamente precipitata ed è preoccupante tanto che il servizio sociale disponeva l’allontanamento dei minori [……] ai sensi dell’Art. 403 c.c. [……] anche se non è stato possibile allontanare le piccole [……] perché si trovavano presso la casa dei genitori ché non hanno dato il consenso al collocamento in struttura delle bambine.” !!!
Vogliamo ulteriormente precisare che, secondo le nuove linee guida presentate a Roma dall’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali nel 2015 nel congresso “Processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie”, nella parte dedicata alla “regolazione dei processi di sostegno e allontanamento del minore” , quando sono elencati gli articoli che parlano degli elementi da tenere in considerazione così, fra l'altro, si esprimono:
Art.9
“Gli operatori che materialmente eseguono il provvedimento di allontanamento devono essere specializzati. È necessario prevedere un’ equipe stabile multi-professionale per accompagnare l’evento di allontanamento, possibilmente composta da professionisti diversi da quelli che hanno in carico il minore e la famiglia.”
Per concludere, l’assistente sociale non può decidere di effettuare nessun tipo di allontanamento, lo può effettuare dietro autorizzazione scritta della Pubblica Autorità ma in maniera multidisciplinare.
Fra l’altro, a mio avviso l’Art. 403, è incostituzionale.

A questo punto alla famiglia viene quindi limitata la responsabilità genitoriale e i bambini vengono dati in affidamento.

Qui mi permetterete di essere un pò tecnico ma non se ne può fare a meno.

Vediamo ora cosa dice la legge sugli affidamenti, la n.ro 184 del 1983 emendata dalla 149 del 2001 :

Art.1 comma 1:
“Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia.”
Art. 1 comma 2:
“ Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.”
Art.1 comma 3:
“Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'àmbito della propria famiglia.[……]”

Questi articoli  sono i punti focali degli allontanamenti.
Quindi i minori devono vivere nella propria famiglia, non possono essere allontanati se questa è povera e lo Stato (leggasi gli organi preposti alla loro tutela), tutti, si badi bene,  non solo gli assistenti sociali, devono aiutare la famiglia in difficoltà.
Dal Quaderno della Ricerca Sociale 19 del Ministero delle Politiche Sociali, nel paragrafo intitolato “Perché si arriva all’accoglienza in contesti diversi dalla propria famiglia di origine” leggiamo che il 37% dei bambini viene allontanato dalla propria famiglia naturale per “inadeguatezza genitoriale”, un termine generico e che non dice alcunché, dando adito a qualsivoglia interpretazione, ma che tende ad aggirare proprio il nostro passaggio di legge.
Mi spiego meglio: Dicono tutti: “non abbiamo soldi , non abbiamo personale, non abbiamo tempo", ma nel contempo non si può allontanare un bambino da genitori poveri. Allora i genitori diventano "non idonei a vivere con i propri figli". Non è difficile capire che la povertà porta con se problemi: liti in famiglia, stress, allontanamento di un genitore, separazioni ecc. Ecco quindi che la famiglia povera diventa “inadeguata” dicitura che autorizzerebbe le istituzioni ad allontanare i minori.  Ma il comma 2 dice anche che la famiglia quando è in difficoltà va aiutata e i problemi vanno prevenuti, cosa che raramente si fa e che poi determina le tragedie di bambini che vengono separati dai genitori, a volte per sempre.
Oramai siamo talmente abituati a queste tragedie che le sottovalutiamo e arriviamo al paradosso: se le istituzioni hanno notizia di una rapina giustamente prevedono l’invio di più macchine delle Forze dell’Ordine per la tutela delle persone. Se invece viene allontanato un bambino le Forze dell’Ordine aiutano la sua sottrazione. E si badi bene in entrambi i casi fanno il loro dovere, perché eseguono degli ordini; quindi non si vuole colpevolizzare chi esegue degli ordini, ma chi glieli da in maniera inappropriata e in deroga alle leggi.

L'Art.2 comma 1 della legge sugli affidamenti così continua:
“Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.” E solo al comma 2 aggiunge :” Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.”

L’Art.2 comma 1 prevede quindi che il minore allontanato sia affidato a una famiglia e dice anche “preferibilmente con figli minori”
Vediamo qual è la realtà dei bambini e adolescenti fuori della famiglia d’origine al 31 dicembre 2012 nella relazione del  Ministero delle Politiche Sociali:
“In merito all’età degli accolti risulta che nelle fasce estreme di 0-2 anni e di 15-17 anni si concentrano le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali (comunità) – rispettivamente il 64% degli 0-2 anni e il 66% dei 15-17 anni. Se per i ragazzi più grandi, e prossimi alla maggiore età, l’accoglienza in comunità è spesso il solo intervento esperibile per rispondere alle problematicità del caso, per i bambini di 0-2 anni l’incidenza riscontrata rappresenta un’evidenza, se non proprio una criticità, sulla quale riflettere in riferimento a quanto disposto dalla legge 149/01 – [……].”
Ma si è riflettuto ci chiediamo? Sicuramente no: infatti dal 2012 lo stesso ministero non da più notizie sugli affidamenti di minori.
Ci chiediamo perché.

Esaminiamo adesso l’Art.4 comma 3:
“Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2.
Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.”

In questo comma si dice quindi che nei provvedimenti “devono essere indicate specificatamente le motivazioni dell’allontanamento, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore.”
Bene, nelle sentenze sono sempre indicati i motivi dell’allontanamento, ma ancora ne devo vedere una che riporti i tempi e i modi in cui l’affidatario deve operare, ne le modalità in cui le famiglie d’origine possano mantenere i rapporti con i propri figli.
In genere queste modalità sono affidate ai servizi sociali che già, carichi di incombenze, spesso decidono in base alle loro esigenze che sono quasi sempre influenzate da carenza di fondi, personale ecc.
In alcuni casi queste decisioni vengono lasciate alla discrezione di personale molto giovane ed inesperto concedendo loro un potere discrezionale inadeguato al lavoro che dovrebbero svolgere e che può decidere della vita futura di una famiglia e dei loro figli.
Queste criticità vengono ancora una volta sottostimate: sappiamo con certezza da studi fatti a livello europeo che i bambini privati di una o entrambe le figure genitoriali  riportano spesso anche numerosi danni fisici.
Se vorrete saperne di più su questi danni potete consultare il quaderno n.ro 3 del mio blog (http://affidamentiminorili.blogspot.it/)
Vi assicuro che è una relazione, che fa paura!

Art.4 comma 4:“Nel provvedimento di cui al comma 3, come abbiamo sentito, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, [solo n.d.r.] qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.”

Questo articolo di legge stabilisce che nell’ordinanza del tribunale venga scritto sia il periodo di presumibile durata dell'affidamento che  il complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine.
Come abbiamo sentito, il periodo presumibile della durata dell’affidamento non c’è mai, io almeno non l’ho mai visto, ma come al solito viene lasciato alla decisione del servizio sociale con tutte le criticità di cui abbiamo già parlato.
Il periodo massimo di durata dell’affidamento viene chiarito dallo stesso Ministero delle Politiche Sociali che così si esprime:
Per quanto concerne la durata dell’accoglienza e ricordando che la legge 149/2001 individua il periodo massimo di affidamento in ventiquattro mesi - prorogabile da parte del Tribunale dei Minorenni laddove se ne riscontri l’esigenza –, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando pari a poco meno del 60% del totale – erano il 62,2% nel 1999, il 57,5% nel 2007, il 56% nel 2008 e il 60% nel 2011 -.” Dal 2011 non si parla più del problema…Ricordo che siamo alla fine 2016.

Infine per concludere
Art.5 comma 2:
“Il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari [……]”
Quest’articolo dovrebbe in particolare agevolare il rientro a casa del bambino favorendo i rapporti con la famiglia d'origine e aiutandola, se problematica, a risolvere le situazioni di eventuale rischio per i figli.
La realtà purtroppo e diversa.
In genere quando un bambino finisce in affidamento la famiglia d’origine è tenuta ben lontana dai figli e niente o ben poco si fa per agevolare un ritorno a casa del minore. Tuttalpiù si invia quest’ultimo da uno psicologo per fargli sopportare al meglio la sua nuova situazione residenziale e, per quanto ne sappia, mai la terapia è rivolta ad un suo rientro in famiglia. Per quanto riguarda invece i genitori, a loro vengono quasi sempre somministrati dei test per capire la loro cosiddetta “genitorialità” e spesso questi test servono a giustificare gli stessi allontanamenti.
Molto ci sarebbe da dire anche sull’uso di questi test spessissimo inappropriati allo scopo, moltissimo ci sarebbe da dire sulle interviste che vengono fatte, soprattutto ai minori, in cui abbiamo riscontrato incredibili criticità soprattutto nell’accoglienza e il modo di intervistarli.
Non viene quasi mai fatta un’accoglienza all’intervista. Mi è capitato di aver letto in una relazione presentata alla Procura da una accreditata psichiatra che l’intervistatrice abbia delegato una sua ausiliaria all’accoglienza di una minore!

Dalle Linee Guida inglesi in  Roberta Asperges / Giuliana Mazzoni, University of Hull, “Maltrattamento e Abuso all’Infanzia. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”
Molti bambini saranno ansiosi prima di una intervista investigativa e pochi avranno familiarità con gli aspetti formali della procedura. Pertanto è importante in questa fase cercare di costruire una vera e reciproca comprensione con il bambino, cercando così di aiutarlo a rilassarsi. Per fare ciò, lo Home Office consiglia di parlare inizialmente di eventi e di tematiche non attinenti all’investigazione. [......] I bambini, soprattutto giovani, percepiscono gli intervistatori come figure di autorità, e numerose ricerche hanno trovato che quando tali figure fanno domande il bambino si sforza di rispondere. Nello stesso modo, quando l’autorità offre interpretazioni di eventi o azioni molti bambini si dimostrano d’accordo per compiacenza. Diventa pertanto necessario che l’intervistatore non dia maggior enfasi alla sua autorità e usi nel migliore dei modi la fase del rapporto per contrastare attivamente la tendenza del bambino a rispondere per compiacere
            Per quanto riguarda il "modo" di intervistare il minore, è fondamentale come viene formulata la domanda  per avere risposte che riflettano il pensiero dell’intervistato.
La regola per l’intervista dei minori, specie se bambini, è soprattutto la “Pazienza”. Non bisogna avere mai fretta di porre loro domande, ma aspettare e rispettare i loro tempi. Quindi una domanda per volta lasciando che prima completi la risposta precedente in tranquillità. Mai riempire i tempi d’attesa intervenendo in qualsiasi modo, nemmeno facendo commenti, sia positivi che negativi o addirittura con parole inutili e irrilevanti. Bisogna saper ascoltare in silenzio facendo però attenzione affinché questo silenzio non diventi opprimente, non si crei un’atmosfera troppo pesante.
Vanno evitate soprattutto le domande suggestive.
“ [……] Quindi le risposte alla domanda suggestiva, nella prassi, tendono ad essere determinate e influenzate molto dal modo in cui è fatta la domanda più che dalla volontà e dal ricordo dell’intervistato, quindi possono essere fuorvianti"

Per ora voglio concludere auspicando una disamina attenta della politica italiana sul fenomeno dell’allontanamento dei minori dalle famiglie che evidenzia, purtroppo ancora oggi, come abbiamo accennato, criticità inequivocabili: una situazione che possiamo definire  “a macchia di leopardo” , con enormi variazioni nel tempo e nello spazio, razionalmente inspiegabili, che stanno a definire la totale assenza di linee guida condivise.
Ovviamente questa situazione apre la porta a possibili arbitrii degli operatori, non legati a protocolli ufficiali.
L’istituzione di percorsi o linee guida d’accoglienza, devono  fornire uno strumento operativo ai professionisti dei vari servizi sociali dei Comuni, alle tante cooperative che collaborano con loro alle Regioni e a tutti gli organi istituzionali per realizzare un pensare comune, prassi concrete e condivise, in grado di dare indirizzi certi agli interventi socio-sanitari nell’ambito di tutte quelle attività preposte alla tutela e alla presa in carico di minori.
Linee guida condivise quindi, ma non solo. Si potrebbe eccepire che in alcuni settori esiste una qualche condivisione, ma anche in questi casi gli operatori non sono tenuti ad osservarle perché rimangono semplici raccomandazioni e non sono codificate in leggi.
Ecco quindi la necessità che siano approntati corsi di formazione e soprattutto studi metanalitici che possano creare nuovi percorsi condivisi e, con quelli già condivisi, che siano cogenti per chi li deve seguire.
Quindi dallo studio, alla condivisione, al progetto di legge, alla legge.
Grazie