sabato 24 settembre 2016

Intervento di Massimo Rosselli del Turco alla Camera dei Deputati
Convegno del 13 settembre 2016

"La Famiglia problematica e il Sistema Italia Il problema dell’allontanamento dei minori e degli affidamenti


Il problema della “famiglia problematica” in Italia non è trattato con l’importanza che merita e soprattutto non è trattato come meriterebbe fino a sfociare in una vera e propria “violenza delle istituzioni”.
Questo tipo di violenza non è riconosciuta dal nostro ordinamento e come tale sottovalutata.
È una violenza ancor più grave perché è perpetrata da organi istituzionali in concorso fra di loro. Spesso le vittime sono proprio i minori che ne subiscono la sua pericolosità.
Tipico esempio è il ricovero del minore portato in “Comunità di Accoglienza” con ordinanze scaturite da relazioni stilate con una grande superficialità nel diagnosticare “le colpe” dei genitori naturali.
L’autorità giudiziaria, quasi sempre, prende per buona la relazione in questione da cui nasce una sentenza ingiusta basata su illazioni senza prove che si definisce solamente su indizi.
Come ebbi già a dire nella mia ultima conferenza stampa alla Camera dei Deputati il 19 aprile 2016, a volte vengono fatti degli allontanamenti senza nemmeno aver conosciuto la famiglia, basandosi unicamente sulla testimonianza di vicini di casa. I P.M. magari, virgolettano la relazione dell’assistente sociale, la inoltrano al tribunale che, come nel caso da me esposto quel giorno, emette un’ordinanza senza aspettare nemmeno la sua relazione che nel frattempo aveva conosciuto la famiglia e che arriverà 5 giorni dopo la decisione già presa dai giudici.
La facilità con cui oggi si allontanano i minori dalla famiglia naturale e si decide della loro vita presente e futura, si concretizza spesso con l’Art 403 del c.c. che nell’interpretazione, a mio avviso distorta, in uso, permette ad un assistente sociale di allontanare dalla propria casa con l’ausilio delle forze dell’ordine, quasi sempre impreparate a questo tipo di azione, i bambini che dovrebbero rimanere nella propria famiglia.
Voglio quindi a questo punto chiarire anche, e una volta per tutte, che secondo me la legge non consente agli assistenti sociali di decidere ex Art.403.
Questo non solo per la tutela dei diritti dei minori, delle famiglie ma anche per la tutela legale degli stessi assistenti sociali che, come abbiamo detto, in questo momento decidono ed effettuano questo tipo di allontanamento.

Esaminiamo Cosa dice l’articolo 403 del codice civile:
 “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”
Quindi i soggetti citati per l’allontanamento sono due: la “Pubblica Autorità” e gli “Organi di protezione dell’Infanzia”, che per definizione sono anche e soprattutto gli assistenti sociali.
Se l’articolo di legge ha voluto distinguere i soggetti e i secondi (gli assistenti sociali) sono solo “il mezzo” di cui si serve la Pubblica Autorità non possono essere anche i primi, se no la legge non li avrebbe distinti.
La Pubblica Autorità nel 403 potrebbe essere il Sindaco o il Prefetto che delega altre persone, ma non l’assistente sociale.
Essendo, inoltre, questo allontanamento un atto amministrativo deve anche essere autorizzato per iscritto.
Altro motivo per cui l’assistente sociale non può decidere l’allontanamento lo riscontriamo nel suo stesso Codice Deontologico perché l’Art.9 (Titolo II – Principi) così recita:
Nell’esercizio delle sue funzioni l’ Assistente Sociale non esprime giudizi di valore sulle persone in base ai loro comportamenti.”
Quindi se l’assistente sociale decidesse e si auto-autorizzasse di un allontanamento ex Art.403 darebbe un giudizio di merito sull’operato delle persone da cui allontana il minore e, come abbiamo detto, non le è consentito.
L’assistente sociale deve avvisare urgentemente la Pubblica Autorità, essere autorizzata per iscritto e mettersi a disposizione per effettuare l’allontanamento.
In questi anni di lavoro nel sociale mi è capitato di vedere scritto su una relazione che era stato fatto un allontanamento di tre bambini su cinque con un 403 perché gli altri due i genitori non glieli avevano voluti consegnare! Mi chiedo che tipo di allontanamento è stato fatto!
Se fosse stato veramente un allontanamento urgente i bambini dovevano essere in uno stato di grave pericolo, un pericolo continuato, i genitori dovevano essere pericolosi per loro. Quindi chi ha fatto questo allontanamento doveva assolutamente mettere in sicurezza tutti e cinque i bambini, magari anche con l’aiuto delle forze dell’ordine. Se invece ne allontani solo tre sicuramente gli altri due li hai lasciati in grave pericolo! In ogni caso l’assistente sociale ha operato nella maniera peggiore. Ma la cosa che mi ha lasciato basito fu quella di leggere che il giudice allontanò gli altri due bambini circa 15 giorni dopo avallando l’operato del professionista e non si accorse della mostruosità che era avvenuta!
Ecco il testo in sentenza:
Rilevato come la situazione sia nuovamente precipitata ed è preoccupante tanto che il servizio sociale disponeva l’allontanamento dei minori [……] ai sensi dell’Art. 403 c.c. [……] anche se non è stato possibile allontanare le piccole [……] perché si trovavano presso la casa dei genitori ché non hanno dato il consenso al collocamento in struttura delle bambine.” !!!
Vogliamo ulteriormente precisare che, secondo le nuove linee guida presentate a Roma dall’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali nel 2015 nel congresso “Processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie”, nella parte dedicata alla “regolazione dei processi di sostegno e allontanamento del minore” , quando sono elencati gli articoli che parlano degli elementi da tenere in considerazione così, fra l'altro, si esprimono:
Art.9
“Gli operatori che materialmente eseguono il provvedimento di allontanamento devono essere specializzati. È necessario prevedere un’ equipe stabile multi-professionale per accompagnare l’evento di allontanamento, possibilmente composta da professionisti diversi da quelli che hanno in carico il minore e la famiglia.”
Per concludere, l’assistente sociale non può decidere di effettuare nessun tipo di allontanamento, lo può effettuare dietro autorizzazione scritta della Pubblica Autorità ma in maniera multidisciplinare.
Fra l’altro, a mio avviso l’Art. 403, è incostituzionale.

A questo punto alla famiglia viene quindi limitata la responsabilità genitoriale e i bambini vengono dati in affidamento.

Qui mi permetterete di essere un pò tecnico ma non se ne può fare a meno.

Vediamo ora cosa dice la legge sugli affidamenti, la n.ro 184 del 1983 emendata dalla 149 del 2001 :

Art.1 comma 1:
“Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia.”
Art. 1 comma 2:
“ Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.”
Art.1 comma 3:
“Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'àmbito della propria famiglia.[……]”

Questi articoli  sono i punti focali degli allontanamenti.
Quindi i minori devono vivere nella propria famiglia, non possono essere allontanati se questa è povera e lo Stato (leggasi gli organi preposti alla loro tutela), tutti, si badi bene,  non solo gli assistenti sociali, devono aiutare la famiglia in difficoltà.
Dal Quaderno della Ricerca Sociale 19 del Ministero delle Politiche Sociali, nel paragrafo intitolato “Perché si arriva all’accoglienza in contesti diversi dalla propria famiglia di origine” leggiamo che il 37% dei bambini viene allontanato dalla propria famiglia naturale per “inadeguatezza genitoriale”, un termine generico e che non dice alcunché, dando adito a qualsivoglia interpretazione, ma che tende ad aggirare proprio il nostro passaggio di legge.
Mi spiego meglio: Dicono tutti: “non abbiamo soldi , non abbiamo personale, non abbiamo tempo", ma nel contempo non si può allontanare un bambino da genitori poveri. Allora i genitori diventano "non idonei a vivere con i propri figli". Non è difficile capire che la povertà porta con se problemi: liti in famiglia, stress, allontanamento di un genitore, separazioni ecc. Ecco quindi che la famiglia povera diventa “inadeguata” dicitura che autorizzerebbe le istituzioni ad allontanare i minori.  Ma il comma 2 dice anche che la famiglia quando è in difficoltà va aiutata e i problemi vanno prevenuti, cosa che raramente si fa e che poi determina le tragedie di bambini che vengono separati dai genitori, a volte per sempre.
Oramai siamo talmente abituati a queste tragedie che le sottovalutiamo e arriviamo al paradosso: se le istituzioni hanno notizia di una rapina giustamente prevedono l’invio di più macchine delle Forze dell’Ordine per la tutela delle persone. Se invece viene allontanato un bambino le Forze dell’Ordine aiutano la sua sottrazione. E si badi bene in entrambi i casi fanno il loro dovere, perché eseguono degli ordini; quindi non si vuole colpevolizzare chi esegue degli ordini, ma chi glieli da in maniera inappropriata e in deroga alle leggi.

L'Art.2 comma 1 della legge sugli affidamenti così continua:
“Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.” E solo al comma 2 aggiunge :” Ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.”

L’Art.2 comma 1 prevede quindi che il minore allontanato sia affidato a una famiglia e dice anche “preferibilmente con figli minori”
Vediamo qual è la realtà dei bambini e adolescenti fuori della famiglia d’origine al 31 dicembre 2012 nella relazione del  Ministero delle Politiche Sociali:
“In merito all’età degli accolti risulta che nelle fasce estreme di 0-2 anni e di 15-17 anni si concentrano le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali (comunità) – rispettivamente il 64% degli 0-2 anni e il 66% dei 15-17 anni. Se per i ragazzi più grandi, e prossimi alla maggiore età, l’accoglienza in comunità è spesso il solo intervento esperibile per rispondere alle problematicità del caso, per i bambini di 0-2 anni l’incidenza riscontrata rappresenta un’evidenza, se non proprio una criticità, sulla quale riflettere in riferimento a quanto disposto dalla legge 149/01 – [……].”
Ma si è riflettuto ci chiediamo? Sicuramente no: infatti dal 2012 lo stesso ministero non da più notizie sugli affidamenti di minori.
Ci chiediamo perché.

Esaminiamo adesso l’Art.4 comma 3:
“Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2.
Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 o 2, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.”

In questo comma si dice quindi che nei provvedimenti “devono essere indicate specificatamente le motivazioni dell’allontanamento, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore.”
Bene, nelle sentenze sono sempre indicati i motivi dell’allontanamento, ma ancora ne devo vedere una che riporti i tempi e i modi in cui l’affidatario deve operare, ne le modalità in cui le famiglie d’origine possano mantenere i rapporti con i propri figli.
In genere queste modalità sono affidate ai servizi sociali che già, carichi di incombenze, spesso decidono in base alle loro esigenze che sono quasi sempre influenzate da carenza di fondi, personale ecc.
In alcuni casi queste decisioni vengono lasciate alla discrezione di personale molto giovane ed inesperto concedendo loro un potere discrezionale inadeguato al lavoro che dovrebbero svolgere e che può decidere della vita futura di una famiglia e dei loro figli.
Queste criticità vengono ancora una volta sottostimate: sappiamo con certezza da studi fatti a livello europeo che i bambini privati di una o entrambe le figure genitoriali  riportano spesso anche numerosi danni fisici.
Se vorrete saperne di più su questi danni potete consultare il quaderno n.ro 3 del mio blog (http://affidamentiminorili.blogspot.it/)
Vi assicuro che è una relazione, che fa paura!

Art.4 comma 4:“Nel provvedimento di cui al comma 3, come abbiamo sentito, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, [solo n.d.r.] qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.”

Questo articolo di legge stabilisce che nell’ordinanza del tribunale venga scritto sia il periodo di presumibile durata dell'affidamento che  il complesso di interventi volti al recupero della famiglia d'origine.
Come abbiamo sentito, il periodo presumibile della durata dell’affidamento non c’è mai, io almeno non l’ho mai visto, ma come al solito viene lasciato alla decisione del servizio sociale con tutte le criticità di cui abbiamo già parlato.
Il periodo massimo di durata dell’affidamento viene chiarito dallo stesso Ministero delle Politiche Sociali che così si esprime:
Per quanto concerne la durata dell’accoglienza e ricordando che la legge 149/2001 individua il periodo massimo di affidamento in ventiquattro mesi - prorogabile da parte del Tribunale dei Minorenni laddove se ne riscontri l’esigenza –, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti risultando pari a poco meno del 60% del totale – erano il 62,2% nel 1999, il 57,5% nel 2007, il 56% nel 2008 e il 60% nel 2011 -.” Dal 2011 non si parla più del problema…Ricordo che siamo alla fine 2016.

Infine per concludere
Art.5 comma 2:
“Il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari [……]”
Quest’articolo dovrebbe in particolare agevolare il rientro a casa del bambino favorendo i rapporti con la famiglia d'origine e aiutandola, se problematica, a risolvere le situazioni di eventuale rischio per i figli.
La realtà purtroppo e diversa.
In genere quando un bambino finisce in affidamento la famiglia d’origine è tenuta ben lontana dai figli e niente o ben poco si fa per agevolare un ritorno a casa del minore. Tuttalpiù si invia quest’ultimo da uno psicologo per fargli sopportare al meglio la sua nuova situazione residenziale e, per quanto ne sappia, mai la terapia è rivolta ad un suo rientro in famiglia. Per quanto riguarda invece i genitori, a loro vengono quasi sempre somministrati dei test per capire la loro cosiddetta “genitorialità” e spesso questi test servono a giustificare gli stessi allontanamenti.
Molto ci sarebbe da dire anche sull’uso di questi test spessissimo inappropriati allo scopo, moltissimo ci sarebbe da dire sulle interviste che vengono fatte, soprattutto ai minori, in cui abbiamo riscontrato incredibili criticità soprattutto nell’accoglienza e il modo di intervistarli.
Non viene quasi mai fatta un’accoglienza all’intervista. Mi è capitato di aver letto in una relazione presentata alla Procura da una accreditata psichiatra che l’intervistatrice abbia delegato una sua ausiliaria all’accoglienza di una minore!

Dalle Linee Guida inglesi in  Roberta Asperges / Giuliana Mazzoni, University of Hull, “Maltrattamento e Abuso all’Infanzia. Un confronto tra le linee guida per l’ascolto del minore”
Molti bambini saranno ansiosi prima di una intervista investigativa e pochi avranno familiarità con gli aspetti formali della procedura. Pertanto è importante in questa fase cercare di costruire una vera e reciproca comprensione con il bambino, cercando così di aiutarlo a rilassarsi. Per fare ciò, lo Home Office consiglia di parlare inizialmente di eventi e di tematiche non attinenti all’investigazione. [......] I bambini, soprattutto giovani, percepiscono gli intervistatori come figure di autorità, e numerose ricerche hanno trovato che quando tali figure fanno domande il bambino si sforza di rispondere. Nello stesso modo, quando l’autorità offre interpretazioni di eventi o azioni molti bambini si dimostrano d’accordo per compiacenza. Diventa pertanto necessario che l’intervistatore non dia maggior enfasi alla sua autorità e usi nel migliore dei modi la fase del rapporto per contrastare attivamente la tendenza del bambino a rispondere per compiacere
            Per quanto riguarda il "modo" di intervistare il minore, è fondamentale come viene formulata la domanda  per avere risposte che riflettano il pensiero dell’intervistato.
La regola per l’intervista dei minori, specie se bambini, è soprattutto la “Pazienza”. Non bisogna avere mai fretta di porre loro domande, ma aspettare e rispettare i loro tempi. Quindi una domanda per volta lasciando che prima completi la risposta precedente in tranquillità. Mai riempire i tempi d’attesa intervenendo in qualsiasi modo, nemmeno facendo commenti, sia positivi che negativi o addirittura con parole inutili e irrilevanti. Bisogna saper ascoltare in silenzio facendo però attenzione affinché questo silenzio non diventi opprimente, non si crei un’atmosfera troppo pesante.
Vanno evitate soprattutto le domande suggestive.
“ [……] Quindi le risposte alla domanda suggestiva, nella prassi, tendono ad essere determinate e influenzate molto dal modo in cui è fatta la domanda più che dalla volontà e dal ricordo dell’intervistato, quindi possono essere fuorvianti"

Per ora voglio concludere auspicando una disamina attenta della politica italiana sul fenomeno dell’allontanamento dei minori dalle famiglie che evidenzia, purtroppo ancora oggi, come abbiamo accennato, criticità inequivocabili: una situazione che possiamo definire  “a macchia di leopardo” , con enormi variazioni nel tempo e nello spazio, razionalmente inspiegabili, che stanno a definire la totale assenza di linee guida condivise.
Ovviamente questa situazione apre la porta a possibili arbitrii degli operatori, non legati a protocolli ufficiali.
L’istituzione di percorsi o linee guida d’accoglienza, devono  fornire uno strumento operativo ai professionisti dei vari servizi sociali dei Comuni, alle tante cooperative che collaborano con loro alle Regioni e a tutti gli organi istituzionali per realizzare un pensare comune, prassi concrete e condivise, in grado di dare indirizzi certi agli interventi socio-sanitari nell’ambito di tutte quelle attività preposte alla tutela e alla presa in carico di minori.
Linee guida condivise quindi, ma non solo. Si potrebbe eccepire che in alcuni settori esiste una qualche condivisione, ma anche in questi casi gli operatori non sono tenuti ad osservarle perché rimangono semplici raccomandazioni e non sono codificate in leggi.
Ecco quindi la necessità che siano approntati corsi di formazione e soprattutto studi metanalitici che possano creare nuovi percorsi condivisi e, con quelli già condivisi, che siano cogenti per chi li deve seguire.
Quindi dallo studio, alla condivisione, al progetto di legge, alla legge.
Grazie


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