Progetto di legge
Massimo Rosselli del Turco - Stefano Boschi – Carlo Priolo
“Modifiche alla legge del 4 Maggio 184/1983 già emendata
dalla legge 28 marzo 149/2001 e dalla legge 28 maggio
173/2015”
Abolizione del Titolo I e Titolo I bis della legge 184/1983
emendata dalla legge 149/2001 e dalla Legge 173/2015
Presentazione
La
situazione a cui oggi siamo di fronte in materia di affidamenti è analoga a
quella del medico che, di fronte al paziente il quale lamenta un dolore al
braccio, ne prescrive l’amputazione senza aver prima tentato altre forme di
terapia.
Se
in ambito medico non si ragiona né si agisce in questo modo per quale motivo lo
si dovrebbe fare nel caso dei disturbi della relazione che caratterizzano la
famiglia o il rapporto genitore-figlio disfunzionali?
Di
fronte alla disfunzionalità della famiglia il giudice, di regola consigliato
dai Servizi sociali e supportato dalle consulenze tecniche, spesso decide di
frantumare la famiglia, come se questa fosse una soluzione o, appunto, una
terapia.
In
ambito istituzionale oggi le problematiche familiari sono trattate, di fatto,
come veri e propri reati piuttosto che per quello che sono, ossia forme di
patologia della relazione, qualcosa quindi di cui le istituzioni dovrebbero prendersi
cura come fa il Sistema Sanitario Nazionale nel caso delle malattie del corpo e
dei disturbi della mente.
Sarebbe
alquanto strano se una persona traumatizzata o in preda ad una crisi psicotica
fosse condotta davanti al giudice piuttosto che all’ospedale!
A
rendere ancor più paradossale la situazione attuale va poi annotato il fatto che,
anche nei casi in cui non si osservino comportamenti ascrivibili ad un qualche
reato, le problematiche familiari sono spesso “sanzionate” come se fossero tali.
Si
raggiunge poi il culmine dell’assurdità se pensiamo che i provvedimento vanno
nella direzione della “reclusione” del minore all’interno delle comunità di
tipo familiare o di accoglienza, che nella realtà dei fatti oltre che della
regolamentazione spesso sono istituti all’interno dei quali si attua un vero e
proprio “regime carcerario”.
Lo
si può tranquillamente affermare nel momento in cui il minore:
· viene
separato dai genitori contro la propria volontà
· non
gli è permesso di uscire né può decidere tornare a casa
· non
può ricevere o effettuare visite o telefonate dai e ai genitori.
A questo punto viene da chiedersi
per quale motivo e in base a quali suoi bisogni viene, di fatto, sottoposto ad
un trattamento analogo alla detenzione!?
Una
paradossale differenza in favore del detenuto è che il periodo di reclusione
viene deciso dal giudice al momento della condanna e può essere abbreviato
dalla buona condotta, mentre il periodo di permanenza del minore non viene
necessariamente definito (anche se al massimo giunge fino a 18 anni).
Dato
che le comunità gestiscono un giro di denaro molto consistente, potrebbe essere
loro interesse prolungare al massimo il periodo in cui il minore viene
ospitato.
Pur
essendo private le comunità costituiscono perciò il perno non solo istituzionale
ma prima di tutto economico dell’attuale sistema degli affidamenti, che
dovrebbe essere preposto alla tutela del minore e del suo sereno sviluppo
quando in realtà genera situazioni profondamente traumatiche e difficilmente
recuperabili.
Se
si cercasse di definire con grande esattezza l’ambito di discrezionalità del
giudice in materia di affidamento alle comunità si incapperebbe in un problema
difficilmente risolvibile se legato al reato di maltrattamento, nel momento in
cui tale reato dovrebbe essere precisato sul piano psicologico.
Ci
si troverebbe nella reale impossibilità di descrivere, in modo esaustivo, i
casi di reale maltrattamento da tutti gli altri, i casi in cui sarebbe
legittimo e realmente indicato ricollocare il minore in comunità in quanto
necessario per il suo reale benessere.
Per
quanto concerne le comunità di accoglienza per minori si vuole passare
fattivamente dal principio della “tutela del minore”, che ha favorito il
verificarsi di situazioni devastanti per tanti minori, alla “tutela del sistema
relazionale”, che si tratti della famiglia di origine al completo o del
rapporto genitore-figlio.
Non
si può, infatti, tutelare il minore se non si tutela ciò di cui egli ha
primariamente (se si escludono le necessità biologiche) bisogno, ossia buone
relazioni con i genitori: sarebbe altrimenti come pensare che una pianta possa
crescere sana e forte in mancanza della buona terra in cui affondare le proprie
radici.
Il
nocciolo di tale progetto è quindi la possibilità di ridefinire sul piano
operativo il ruolo delle comunità, da “di tipo familiare” a “di consulenza per
la famiglia”.
Ciò
implica che l’obiettivo sia ricucire il tessuto relazionale lacerato se non
prima di tutto tra i genitori almeno tra ognuno dei genitori e il figlio, ciò
di cui questi ha fondamentalmente bisogno per continuare il suo sereno e
normale sviluppo.
Il
perseguimento di tale obiettivo appare affidato allo psicologo appositamente specializzato
nel lavoro sul sistema familiare all’interno delle comunità, il che è avvenuto
attraverso un percorso di specializzazione-formazione continua in “Consulenza
Familiare di Comunità”.
Tale
modello di intervento rappresenta il fulcro di tutto il progetto giacché
stabilisce uno standard qualitativo improntato ai criteri di efficacia e di
efficienza e ci riferiremo da questo momento in avanti allo psicologo in tal
senso specializzato usando il termine “Operatore”.
L’Operatore
avrà il compito di realizzare concretamente ed operativamente il passaggio dal
principio “se c’è un problema in famiglia allora separa i genitori dai figli”,
che sembra oggi dominante tra i giudici che si occupano di tutela del minore a
quello “se c’è un problema in famiglia allora offri la cura necessaria per
modificare il suo assetto disfunzionale”.
Troppo
spesso dimentichiamo che il tribunale è il luogo dove, per definizione, le
relazioni sono le peggiori e diventa paradossale pensare di tutelare il minore
peggiorando la relazione tra i genitori, come inevitabilmente avviene con
l’intervento giuridico, o separando i figli dagli stessi genitori.
L’obiezione
che potrebbe è, a questo punto, che le comunità esistenti offrono già la
consulenza dello psicologo e quando serve di un neuropsichiatra infantile così
come dell’educatore, e che portano già avanti progetti di recupero della
genitorialità.
Il
punto è che oggi l’azione di queste figure appare, alla prova dei fatti,
allineata con il vecchio principio di “se c’è un problema in famiglia allora
separa i genitori dai figli”, dato che:
· nelle
comunità i figli sono, di fatto, separati dai genitori
· spesso
l’intervento psicologico così come quello educativo è soltanto un proforma o
non rispecchiando alcun protocollo operativo predefinito o non aderendo ai
criteri di efficacia e di efficienze dell’intervento o non promuovendo un
effettivo riavvicinamento tra genitori e figli
· data
la natura del contratto che caratterizza l’attività delle comunità nessuno ha
attualmente facoltà di effettuare un sopraluogo per verificare le reali
condizioni dei minori, il che si traduce in una mancanza di controllo che
espone inevitabilmente il minore a qualsiasi forma di condizione e di
trattamento, che possono rivelarsi più o meno adeguate ai suoi bisogni
· genitori
e figli sono a volte privati della possibilità non solo di incontrarsi ma anche
di telefonarsi e di avere una qualsiasi altra forma di contatto diretto
· spesso
la permanenza nella comunità non è a termine e non è, di fatto, finalizzata al
recupero della famiglia e della genitorialità, se non prelude addirittura alla
definitiva rottura del rapporto con i genitori come nel caso dell’adozione.
Se si vuole invertire questa
tragica tendenza, certamente incompatibile con l’idea di un Paese civile, occorre
investire in modo cospicuo sull’intervento rivolto al sistema familiare e al
rapporto genitore-figlio, in grado di operare una radicale ristrutturazione
delle modalità e delle finalità che caratterizzano le comunità di accoglienza
minorili attualmente esistenti.
Tale
figura può realizzare concretamente il principio secondo il quale “se c’è un problema
in famiglia allora attua l’intervento necessario al suo riassetto”, valendosi
delle seguenti condizioni.
1. L’Operatore
non dipende economicamente, e per lo svolgimento della sua attività
professionale, dalla comunità giacché è retribuito da altri enti (Regioni) pur utilizzando la comunità come
fondamentale strumento per realizzare i suoi obiettivi professionali volti al
cambiamento migliorativo della funzionalità familiare o del rapporto
genitori-figlio.
2. L’Operatore
attua un progetto a termine volto al recupero delle relazioni familiari o del
rapporto genitori-figlio, progetto che prevede il lavoro con il minore e i suoi
genitori e che appare, finalizzato al ripristino del più alto livello di
adattamento relazionale possibile; una volta che il progetto è stato portato a
termine con successo il minore assieme ai suoi genitori vengono congedati dalla
comunità.
3. L’Operatore
svolge anche il ruolo di “regista” nei confronti delle altre figure
professionali che operano all’interno della comunità, quali l’educatore, il
neuropsichiatra infantile, il logopedista, il nutrizionista, coordinando il
loro intervento a seconda delle necessità.
4. L’Operatore
caratterizza con il proprio intervento ogni comunità determinandone l’omologazione
a prescindere dalle precedenti distinzioni, giacché ciò che importa è la
finalità che non può che essere il ripristino delle migliori relazioni
familiari o parentali possibile.
I punti di forza di tale progetto
appaiono i seguenti:
·
integrazione armonica tra giurisprudenza
e psicologia finalizzata alla tutela del minore
·
azione riparativa nei confronti della
famiglia disfunzionale, della genitorialità, delle condizioni del minore con
particolare riguardo al piano relazionale
·
trasformazione del malcontento sempre
più diffuso nella popolazione dei genitori in soddisfazione nei confronti delle
istituzioni che si occupano dei loro figli
·
riqualificazione delle comunità di
accoglienza minorile da “comunità di tipo familiare” a “Comunità di Consulenza per
la Famiglia”, il che si accompagnerebbe ad un incremento delle entrate nel
momento in cui la comunità viene utilizzata per gli interventi sulla famiglia e
sulla genitorialità piuttosto che esclusivamente o prevalentemente nelle
situazioni estreme di grande disfunzionalità
·
riqualificazione degli psicologi che
attualmente lavorano all’interno delle comunità e opportunità di impiego altri (in
Italia abbiamo circa un terzo degli psicologi di tutta Europa, di cui gran
parte si trovano senza impiego)
·
diminuzione drastica dei futuri costi
sociali legati a questioni di salute pubblica e al disadattamento sociale, le
cui basi (stando ad un’ampia letteratura scientifica) sono create dai problematiche
infantili di natura relazionale
·
opportunità di ristrutturare l’intero
settore sociale riguardante la tutela del minore, vista la centralità del ruolo
delle comunità minorili nel panorama istituzionale globale della presa in
carico del minore stesso.
Conclusioni
La
comunità rappresenta oggi il punto cruciale di tutta l’attività istituzionale
sociale legata ai minori, in particolare agli affidamenti, il punto in cui
confluiscono gran parte degli interventi da parte dei Servizi Sociali, del
Tribunale minorile, del giudice che si occupa di problematiche familiari.
Attorno
alle comunità vengono ad agglomerarsi le numerose problematiche che
caratterizzano una situazione ormai insostenibile, che condensa un crescente
malcontento e una serie interminabile di anomalie, per non dire di atti
illegittimi, da parte delle stesse istituzioni.
La
soluzione che appare la più elegante è ristrutturare la funzione della comunità
rendendola il luogo dove la famiglia o quel che ne rimane possono ricevere la
cura necessaria al ripristino dei rapporti di cui il minore ha disperato
bisogno, dato che il suo sviluppo psichico, emotivo, cognitivo di quelli si
nutre.
Questa
soluzione può mettere tutti d’accordo: sgrava i tribunali ordinari da un
compito che non compete loro, ossia decidere come ripristinare le sorti della
famiglia disfunzionale, rende superflui i tribunali minorili, solleva i Servizi
Sociali da una funzione alla quale non sono preposti, rivaluta infine le
comunità come luogo virtuoso con la possibilità che vedano addirittura
aumentare il loro giro d’affari; in ultimo, soddisfa realmente il bisogno dei
minori e delle loro famiglie.
La
comunità possono, inoltre, diventare il luogo di promozione della cultura della
famiglia, in cui si fa informazione, si favorisce la crescita personale sul
piano della genitorialità e della bigenitorialità, si formano operatori e, in
prima battuta, il luogo in cui si lavora fattivamente per risolvere le
problematiche familiari, un virtuoso esempio per il resto d’Europa.
TITOLO I
Princìpi generali
Art. 1
1 – Il Minore ha
diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia naturale.
Nessun Minore può essere allontanato dal o dai genitori naturali salvo le
disposizioni della presente legge.
2 – Il diritto di cui al comma precedente è assicurato senza
distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione, nel rispetto
della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi
fondamentali dell'ordinamento e non è sostituibile da soluzioni alternative
salvo le disposizioni della presente legge.
3 – Se i genitori o i parenti fino al quarto grado sono impossibilitati
a frequentare i propri figli, o volontariamente vogliono rinunciarci, per il
diritto del minore a vivere nella propria famiglia il tribunale dovrà comunque trovare
una soluzione idonea per ovviare a questa impossibilità attraverso la “Comunità
di Consulenza per la Famiglia” (CCF).
4 – Se il minore rifiuta di incontrare uno dei genitori o un
ascendente fino al quarto grado, sarà immediatamente approntato un progetto volto
al recupero dei rapporti all’interno del “sistema relazionale”: con tale espressione
si deve intendere sia la famiglia di origine al completo sia un solo genitore assieme
al figlio. Al progetto di recupero dovranno partecipare i due genitori, se
presenti, e il minore: se uno dei due genitori che non vorrà partecipare
perderà almeno temporaneamente la responsabilità genitoriale.
Art. 2
1 – Sono abolite
le attuali “Comunità di tipo familiare” e istituita le “Comunità di Consulenza per
la Famiglia” (CCF).
2 – Le comunità che attualmente ospitano minori devono
provvedere entro 12 mesi alla loro trasformazione da “Comunità di tipo
familiare” in Comunità di Consulenza per la Famiglia.
3 – Il minore che ha superato l’età di 12 anni o che sia
ritenuto particolarmente maturo da un Tribunale, privo di ogni riferimento
familiare o genitoriale e che non intende lasciare la Comunità di Consulenza
per la Famiglia dovrà comunque essere affidato ad una famiglia o ad un parente
fino al quarto grado.
4 – I Comuni dovranno entro sei mesi provvedere alla selezione
e all’istruzione di famiglie affidatarie. L’albo sarà permanente e il numero
delle famiglie affidatarie disponibili non potrà mai scendere sotto la soglia del
rapporto di 1/10.000 abitanti. Per ogni frazione numerica il numero delle
famiglie va calcolato per eccesso.
5 – Le Regioni, nell'àmbito delle proprie competenze e sulla
base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato,
regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard
minimi dei servizi e dell'assistenza di tipo residenziale che devono essere forniti
dalle Comunità di Consulenza per la Famiglia.
Art. 3
1 – È istituito il
percorso di specializzazione-formazione continua in “Consulenza Familiare di Comunità”
(CFC), un protocollo di intervento basato su innovative tecniche di comunicazione
e su strategie di cambiamento rapido, volte a sciogliere i nodi relazionali
esistenti e a creare e mantenere buone relazioni all’interno del sistema
relazionale, obiettivo funzionale alla riprese del sano e normale sviluppo del
minore all’interno del sistema relazionale.
2 –I corsi sono attivare a livello nazionale e saranno
gestiti da un unico “Ente di specializzazione e formazione continua”
appositamente istituito al fine di garantire uno standard qualitativo operativo
improntato ai più elevati criteri di efficacia e di efficienza.
3 – Gli psicologi e gli psicoterapeuti che già lavorano
presso le attuali comunità e intendono continuare a prestare la loro opera
presso la Comunità di Consulenza per la Famiglia. A tali professionisti che di
seguito ci si riferirà con il termine “Operatori”, sono obbligati, a
prescindere dalla scadenza del contratto in essere, a seguire il corso di specializzazione
e formazione continua di cui al comma 1 e 2.
4 – L’Operatore non dovrà essere in uno stato di incompatibilità
con la Comunità di Consulenza per la Famiglia in cui lavora. Il rappresentante della
Comunità è responsabile di eventuali deroghe improprie.
5 – Il minore viene accolto dalla Comunità di Consulenza per
la Famiglia nel momento in cui l’Operatore ne stabilisce la necessità in
funzione del recupero del sistema relazionale originario o dell’affidamento ad
un altro. Nessun altro soggetto è legittimato a decidere in tal senso.
Ciò potrà avvenire in seguito a: 1) la richiesta da parte di
uno o di entrambi i genitori che si rivolgono ai Servizi Sociali; 2) in seguito
all’incarico conferito dal giudice nel caso di denunce da parte di uno, di
entrambi i genitori o da parte di terze persone.
6 – Le Comunità di Consulenza per la Famiglia non potranno
ospitare a qualsiasi titolo minori “non accompagnati”, il che significa che il
minore dovrà mantenere il contatto con il o con i genitori secondo le modalità
stabilite dall’Operatore, decisione che sarà basata su: 1) la situazione che
connota il sistema relazionale; 2) il progetto di recupero del sistema
relazionale stabilito dall’Operatore.
7 – All’interno della Comunità di consulenza per la Famiglia
l’Operatore è prima di tutto chiamato a valutare la funzione genitoriale al
fine di: 1) continuare a lavorare sul sistema relazionale con il fine di
ricucire il tessuto relazionale lacerato, nel caso in cui ritenga vi sia la
possibilità di un sufficiente recupero del sistema relazionale; 2) procedere verso
l’affidamento del minore ad una famiglia affidataria in caso contrario (come ad
esempio in presenza di gravi disturbi del comportamento che si dimostrano
refrattari ad ogni forma di intervento).
8 – Nel caso in cui l’Operatore valuti opportuno procedere verso
l’affidamento del minore ad una famiglia affidataria e il minore si trovasse temporaneamente
privo di un sistema relazionale idoneo, così come di un parente fino al quarto
grado a cui essere affidato, lo stesso minore sarà affidato ad una famiglia
preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola in grado di
assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni
affettive di cui egli ha bisogno.
9 – Nel caso in cui il minore fosse affidato ad una famiglia
affidataria l’Operatore valuterà poi se e come è opportuno che continui ad intrattenere
rapporti con il o i genitori, tenendo sempre conto del fatto che il rapporto
interno con il o i genitori, quello di natura psichica, non sarà mai
cancellato.
10 – I Comuni di residenza delle attuali Comunità di tipo
familiare dovranno provvedere entro dodici mesi a trovare e a istruire le
famiglie che avranno in affidamento e in domiciliazione i minori che non hanno
genitori o i cui genitori non vogliano occuparsi di loro.
11 – L’assegnazione alle famiglie affidatarie, così come la
loro idoneità dovranno essere obbligatoriamente monitorati dall’Operatore.
12 – L’Operatore in qualità di “regista” dell’intervento coordina le figure professionali
che operano all’interno della Comunità di Consulenza per la Famiglia quali l’Educatore
professionale, il Pedagogista e il Neuropsichiatra Infantile, decidendo di
volta in volta e a seconda della necessità dettata dalla fase di attuazione del
progetto di recupero del sistema relazionale, chi e come entra in campo. L’Operatore
potrà coordinarsi con altre figure professionali
a seconda delle necessità, come nel caso in cui intenda valersi della
consulenza dello Psichiatra nei confronti dei genitori con cui lavora nel corso
del progetto di recupero del sistema relazionale.
Art. 4
1 – Qualora, durante un
prolungato periodo di affidamento, il minore sia dichiarato adottabile, sussistendo
i requisiti e la famiglia affidataria chieda di poterlo adottare, il Tribunale
per i minorenni, nel decidere sull'adozione, tiene conto dei legami affettivi
significativi e del rapporto consolidatosi tra il minore e la famiglia
affidataria.
2 – Qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il
minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento o sia
adottato da altra famiglia, è comunque tutelata se rispondente all'interesse e
alla volontà del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive
consolidatesi durante l'affidamento. Il Tribunale farà quindi in modo che i
legami affettivi vengano mantenuti se ciò si rivela conforme alla volontà e ai
bisogni del minore.
3 – Il giudice, ai fini di tutte le decisioni che riguardano
il minore, tiene conto, oltre che delle valutazioni documentate dell’Operatore
e dei Servizi Sociali della volontà del minore
che ha compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore se capace di
discernimento.
Art. 5
L’Operatore ogni sei mesi di norma e ogniqualvolta lo ritenga necessario, dovrà inviare
una relazione al Tribunale competente sull’andamento del lavoro sulle singole
famiglie con cui lavora in seno alla Comunità di Consulenza per la Famiglia.
TITOLO I-bis
Dell'affidamento del minore
Art. 6
1 – È abolito
l’art. 403 del C.C. la cui funzione è riservata esclusivamente al Tribunale
competente che immediatamente si attiverà e deciderà a seconda del caso.
Nel caso in cui
venga accertata l’esistenza di un attuale pericolo per l’integrità psicofisica
del minore nell’ambiente familiare in cui lo stesso vive, che renda urgente ed
indifferibile il suo allontanamento, su espresso ricorso del PM e con la
cooperazione dei servizi sociali territorialmente competenti, il Presidente del
Tribunale provvede entro 24 ore con provvedimento motivato. Il ricorso del
Pubblico Ministero deve contenere sommarie informazioni ed elementi di prova
concreti e le motivazioni specifiche fondanti la richiesta della misura di
protezione.
Si ritengono
elementi di prova funzionali all’accertamento del suindicato pericolo, i
certificati medici e/o ospedalieri congiunti a visite e sopralluoghi
domiciliari le informazioni acquisite da terzi
soggetti il più possibile qualificati come, a titolo esemplificativo,
insegnanti, medici di famiglia, parenti e vicini di casa, questi ultimi purché
dimostrino di avere stretto contatto con la famiglia. Il PM deve altresì avere
verificato l’esistenza di parenti entro il quarto grado ritenuti idonei e
disponibili al fine di collocare d’urgenza i minori, indicandoli espressamente
nel proprio ricorso.
Il provvedimento
di accoglimento del Tribunale deve essere notificato, contestualmente alla esecuzione
della misura di protezione, ai genitori del minore ed a tutti i parenti entro
il quarto grado del minore medesimo.
2 – Il provvedimento di accoglimento deve essere eseguito da
una Unità Operativa multidisciplinare con modalità tali da limitare il più
possibile traumi al minore della cui protezione si tratta ed in presenza di una
psicoterapeuta infantile e, solo ove indispensabile, con l’ausilio delle Forze
dell’Ordine che comunque non devono presentarsi in divisa. Il suindicato
provvedimento deve contenere la prescrizione all’Operatore di attivare prontamente un progetto di sostegno alla
famiglia, funzionale al reinserimento del minore presso di essa. Il provvedimento
del presidente del Tribunale può essere reclamato dai genitori, dal PM, dai
parenti entro il quarto grado dei minori entro 90 giorni dalla notifica dello
stesso. Del reclamo è competente la Corte d’Appello Sezione minori che decide
entro 90 giorni dal deposito dello stesso. Il provvedimento con cui la Corte
D’Appello statuisce sul reclamo è ricorribile presso la Corte di Cassazione
entro 90 giorni dalla notifica dello stesso dai medesimi soggetti legittimati a
presentare reclamo”
Art. 7
1 – L’affidamento di un
minore fuori della sua famiglia naturale deve ritenersi un avvenimento del
tutto residuale o nei casi contemplati dall’ex 403 di cui all’Art.6, e solo se le
relazioni all’interno della stessa famiglia appaiono non recuperabili.
2 – Se l'affidatario deve accogliere presso di sé il minore e
provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, deve tener conto
comunque delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia
ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, osservando le prescrizioni
stabilite dall'autorità affidante applicherà, in quanto compatibili, le disposizioni
dell'articolo 316 del codice civile. In ogni caso l'affidatario esercita i
poteri connessi con la responsabilità genitoriale in relazione agli ordinari
rapporti con l’istituzione scolastica e con le autorità sanitarie.
3 – La famiglia affidataria deve essere convocata, a pena di
nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di
affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed ha facoltà di
presentare memorie scritte nell'interesse del minore.
4 – Ogni sei mesi o, se serve, in qualsiasi momento l’Operatore
sono autorizzati a compiere ispezioni ed a
relazionare al Tribunale competente. Tale facoltà è concessa per iscritto
all’atto dell’affidamento del minore alla Comunità di Consulenza per la
Famiglia.
5 – La Comunità di Consulenza per la Famiglia, tramite l’Operatore, dovrà aiutare il minore ad inserirsi nella famiglia
affidataria senza forzare la sua volontà.
6 – L’Operatore valuterà,
dopo un congruo periodo di lavoro con il sistema relazionale, la possibilità di
recupero del sistema stesso in funzione del normale e sereno sviluppo del
minore. Il periodo entro il quale tale valutazione sarà effettuata non supererà
i 90 giorni lavorativi e la valutazione dovrà essere documentata e presentata al
Tribunale competente.
7 – L’occasionale e temporanea impossibilità del minore a
frequentare uno o entrambi i genitori sarà sempre motivo di recupero entro le
tre settimane successive.
8 – Il minore, compiuti i 12 anni, privo di un sistema
relazionale o che non voglia uscire dalla Comunità di Consulenza per la
Famiglia che lo alloggia, deve essere ascoltato e se vuole può rimanervi e in
questo caso il Comune di residenza dovrà provvedere al reperimento di una famiglia
affidataria che lo segua all’interno della stessa comunità.
9 – Sono abolite le figure del Tutore, del Curatore e
dell’Amministratore di Sostegno per i minori in affidamento.
Art. 8
L’accredito delle
Comunità di Consulenza per la Famiglia e il lavoro che esse dovranno svolgere verrà
stabilito secondo la normativa vigente.
Art. 9
1 – Per le finalità perseguite dalla presente legge
è istituita entro e non oltre 180 giorni dalla data della sua entrata in vigore
anche con l’apporto dei dati forniti dalle singole regioni, presso il Ministero
della giustizia, una “Banca Dati delle Comunità di Consulenza per la Famiglia”
(BDCCF), con indicazione di ogni informazione atta a garantire il miglior esito,
l’efficienza e la trasparenza del lavoro delle comunità che seguono le
famiglie.
2 – La banca
dati è resa disponibile attraverso una rete di collegamento con tutte quelle
Comunità di Consulenza per la Famiglia che
devono garantire l’efficienza, l’informazione e il controllo del lavoro delle
stesse e deve essere aggiornata ogni 5 giorni lavorativi. L’accesso a tale
Banca Dati delle Comunità di Consulenza per la Famiglia si attuerà con una
password dedicata alle strutture diversamente accreditate.
3 – Con regolamento
del Ministro della Giustizia sono disciplinate le modalità di attuazione e di
organizzazione della banca dati, anche per quanto attiene all’adozione dei
dispositivi necessari per la sicurezza e la riservatezza dei dati.
4 – Dall’attuazione del presente articolo non
debbono derivare nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.