I Quesiti posti dai parlamentari
dopo l'intervento del dr. Rosselli del Turco in Commissione
Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza nell'indagine
conoscitiva sul funzionamento e la gestione dei servizi sociali con
particolare riferimento all'emergenza epidemiologica da Covid-19.
DOMANDE
SEN.
BINETTI.
Ringrazio in
particolare il dottor Massimo Rosselli Del Turco per la sua trattazione che
peraltro ha alle spalle una lunga esperienza anche di raccolta dati e di
raccolta dati molto ben documentati. Quello che mi ha stupito
recentissimamente, ed è proprio su questo che rivolgo la domanda al dottor Del
Turco, è quello che è successo a Bibbiano. Noi abbiamo visto la situazione di
Bibbiano come un crescendo costante e continuo di bambini allontanati dalle
famiglie attraverso una manipolazione oltretutto dei dati, per esempio, ricordo
i disegni dei bambini a cui venivano aggiunti particolari inquietanti,
particolari che lasciavano pensare a una potente prepotente erotizzazione di
questi bambini e un abuso da parte delle famiglie. Questi bambini allontanati
dalle loro famiglie quindi entrati in un loop che ha fatto
pensare in molti casi anche vere e proprie forme di violenza ma la principale
violenza era proprio l'allontanamento dal nucleo familiare e l'interruzione dei
rapporti con la famiglia, questi bambini sono tornati tutti a casa pochi giorni
fa con una sentenza dicendo che, come dice qui, il fatto non sussisteva.
Come tutti sanno io ho presentato diverse interrogazioni al Ministro di
giustizia sia del Governo precedente, Conte I, Conte II, adesso stesso, del
Governo Draghi e devo dire senza mai aver ricevuto risposta dal Ministro della
giustizia, chiunque esso fosse. Questo è un grande dispiacere perché noi come
parlamentari siamo, come dire, interpellati a offrire quantomeno chiarezza
sulle ragioni e sulle modalità. Quello a cui noi ci troviamo spesso davanti non
è tanto a una critica ai servizi sociali, molti dei quali funzionano certamente
molto bene, ma c'è una parte di questi servizi sociali che verrebbe quasi la
voglia di definire deviati, perché sono deviati nello spirito, che vorrebbe che
le famiglie fossero aiutate ad accudire i propri figli, aiutati sul piano
materiale, orientati sul piano sia psicologico ed educativo mentre invece
devono subire questa vera e propria violenza, violenza che subiscono i bambini
e violenza che subiscono le famiglie. Ora mi chiedo col dottor Del Turco quali
potrebbero essere le misure anche a livello legislativo che potrebbero ridurre
questa sofferenza che insiste, una sofferenza diffusa su tutto il Paese e che
ripetutamente si vede alla fine essere una sofferenza inferta, anche
abusivamente, ma questo non ripagherà mai bambini e genitori del danno subito.
ON. SPENA.
Buongiorno a
tutti, scusatemi se non sono in presenza ma a breve ho un piccolo intervento
chirurgico, quindi davvero mi scuso.
Intanto ringrazio gli auditi la Picchieri, Martelli e Del Turco e vorrei
iniziare dalla Comunità di Sant'Egidio, visto che è stata la prima a
intervenire e ringraziare davvero per quello che fate e per quello che avete
fatto soprattutto in questo lungo periodo di lockdown perché
io credo che questo lockdown non sia mai terminato e,
soprattutto per quanto riguarda l'assistenza alle famiglie, ai bambini, ai
minori che sono stati i primi servizi ad essere sospesi e interrotti.
Perché ho voluto pensare a una indagine conoscitiva sui servizi sociali, che ho
condiviso con tutti i colleghi della Commissione? Proprio perché uno dei
primi provvedimenti che sono stati presi con il lockdown è
stato proprio quello della sospensione dell'assistenza domiciliare ai minori
portatori di handicap.
Io ricordo che un emendamento, un solo emendamento che è stato approvato
in Commissione sanità e servizi sociali della Camera dei deputati fu
proprio il mio, addirittura per cui proponevo di riaprire le porte delle case
dei genitori con i bambini disabili perché anche a loro era vietato poter
uscire, poter andare a fare una passeggiata, andare nel parco e quant'altro.
Non c'è stata mai questa attenzione da parte dello Stato e chiaramente anche
dei servizi sociali proprio per le famiglie più disagiate, soprattutto quelle
che vedevano nelle proprie case bambini e minori disabili. È vero anche, come
dite voi, che molti degli uffici dei servizi sociali hanno sbarrato le proprie
porte, non capisco perché trattandosi di un servizio socio-sanitario mentre
tutti quanti gli ospedali, tutti ciò che riguarda la sanità in senso stretto
funziona invece quelli multiservizi sono stati sospesi.
Volevo chiedervi – ci sarebbe tanto da dire – ma la Commissione già
si sta proponendo comunque anche con la neo-Garante dell'infanzia e
dell'adolescenza a trattare molti temi che riguardano l'allontanamento, le case
famiglia insomma cerchiamo però di venire a noi con delle domande più
specifiche.
Visto che comunque voi avete sottolineato questa carenza partendo dalla
dispersione scolastica e dall'assistenza alle case famiglia, all'allontanamento
facile dei bambini dalle proprie famiglie se non ritenente opportuno anche
prevedere un servizio di prossimità, quindi non solo il genitore e la famiglia
disagiata che si reca presso i servizi sociali – sappiamo quanto è difficile e
quanto timore ci sia da parte delle famiglie proporsi a questi tipi di servizi
che molto spesso si vedono più come attività repressive che di assistenza – se
non è opportuno prevedere più un servizio di prossimità ad esempio aprendo
degli sportelli di ascolto presso le scuole o anche per esempio presso le unità
sanitarie, penso agli ospedali, soprattutto alle unità organizzative dell'infanzia,
penso agli ospedali pediatrici.
Un servizio più di prossimità e più di vicinanza alle famiglie che non si
devono recare soltanto alla Asl di competenza oppure al servizio del terzo
settore, così come potrebbe essere Sant'Egidio o la Caritas o quant'altro, ma
avere un rapporto, un servizio proprio di prossimità. Poi se potete, nel corso
questa indagine conoscitiva darci dei dati anche più precisi, soprattutto per
allontanamento dei bambini per motivi economici e lì dove anche ci sono state
delle mancanze gravi da parte di alcuni dei servizi sociali che, come diceva la
collega prima, molti di questi funzionano bene ma in altri invece c'è proprio
un vulnus, un vuoto. Poi soprattutto se non ritenete, e concludo,
che il rinnovo anche generazionale, speriamo che arrivi presto nell'ambito dei
lavoratori del servizio sociale, non sia necessario prevedere un percorso
formativo altamente specializzato che possa dare anche un significativo cambio
di passo rispetto ai servizi precedenti.
RISPOSTE
Ringrazio la
Senatrice Binetti e dell’Onorevole Spena perché le loro domande, molto attinenti
alla trattazione in atto in questa spettabile Commissione, mi danno la
possibilità di approfondire ulteriormente le problematiche sugli affidamenti
fuori famiglia dei nostri figli più sfortunati che non derivano tanto dal fatto
che esista una pandemia in atto, ma, a mio parere, soprattutto da un pregresso
che esiste nel nostro paese da sempre e che oggi rischia addirittura di
aggravarsi se non ci accertassimo attentamente sul lavoro che viene proposto da
molte parti per sanare la situazione in atto in questa situazione di Covid 19.
Quindi è bene
partire dalla fotografia della realtà già esistete in Italia (Bibbiano, Forteto
ed altro docet) per evitare ulteriori problematiche, aiuti-non aiuti -pseudo
aiuti o avvenimenti che potrebbero ulteriormente sopraggiungere sottovalutando
ciò che è accaduto e che si rischia accada in maniera ancora più grave con la
scusa della pandemia.
Dopo le
disfunzioni già citate nella mia audizione in cui mi sono limitato a mettere in
evidenza solamente alcune fra le più gravi carenze nel settore degli
affidamenti in Italia vi accenno per finire, prima di parlare di soluzioni, ad
altre problematiche che potrete, se vorrete, approfondire il tutto, leggendo il
mio studio di cui la Magi Edizioni ha voluto inviarne alcune copie in omaggio alla
vostra spettabile Commissione.
- Vengono fatti
allontanamenti di bambini dopo aver ascoltato genitori in maniera non
corretta e non professionale come il caso di una madre che si vede
portare via per sempre una figlia dopo una frettolosa intervista di poco
più di un’ora, senza tests e senza che sia stata consegnata la
registrazione più volte richiesta alla CTU e al Giudice.
Il tribunale in
sentenza acconsente all’allontanamento della bambina, nonostante che la donna
si era già volontariamente sottoposta a ben 64 incontri con un centro di
psicologia giuridica stabilito dalla stessa CTU e che quest’ultimo affermasse
che il rapporto fra la mamma e la figlia appariva connotato da aspetti molto
positivi che potevano essere certamente considerati, per il benessere della
figlia dei fattori di protezione invece che di pericolo!
- Le madri
alloggiate con i minori nelle strutture a volte perdono con loro alcune
libertà costituzionali.
Conosco il caso di
una madre in una comunità a cui lessero delle regole precise appena entrata e
fra queste, testualmente “[la mamma n.d.r.] Non può usare il suo telefono
personale che ha consegnato ma fare delle telefonate controllate e concordate
con la struttura. Gli incontri che avrà con gli altri tre bambini, già presenti
in comunità, avverranno alla presenza di personale educativo-da concordare con
la Responsabile […] “Da notare che questa madre era nella struttura perché era
stata messa in protezione con tutti i figli perché il marito era stato accusato
di essere violento verso lei e i bambini. Il Tribunale, invece di allontanare
il presunto violento, che era rimasto a casa, aveva allontanato lei con i figli
fra cui due bambine appena nate.[1]
Tutti erano rinchiusi in una struttura molto grande, una specie di convento ed
errano separati fra di loro e la madre, era costretta a vederne alcuni in
maniera protetta nonostante il tribunale aveva sentenziato che niente vietava
affinché la donna potesse vederli tutti liberamente. Alla fine della vicenda:
la madre fu preventivamente allontanata dalla struttura, per aver denunciato
maltrattamenti sui bambini e dovette lasciare anche le due piccoline che
rimasero sole, il padre fu assolto e gli altri bambini rimasero in tutto un
anno e mezzo rinchiusi, dopodiché furono tutti rimandati a casa senza alcuna scusa.
Da allora in Servizi Sociali che, per sentenza, avrebbero dovuto aiutare la
famiglia e di cui avevano in bambini in affidamento, non si sono fatti mai più
vedere.
- 23 tribunali
su 29 emettono provvedimenti per il collocamento di minori fuori distretto[2]
Il Ministero che
ci dà la notizia aggiunge: “[…] si tratta di una criticità diffusa su tutto
il territorio nazionale, che dovrebbe essere oggetto di seria riflessione.[3]
Osserviamo, poi, che
la Legge 184/1983 e segg. recita, fra l’altro, così:
“Ove non sia
possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito
l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare […] che abbia sede
preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il
nucleo familiare di provenienza”[4]
Quindi
bisognerebbe essere molto cauti prima di emanare disposizioni del genere.
- Solo 16
procure su 29 segnalano di aver effettuato ispezioni straordinarie
rispetto all’ordinaria programmazione[5]
Fra le criticità
per cui sono state fatte le ispezioni notiamo che le procure erano state
informate che testualmente:
“‒ strutture per
adulti che ospitano minori stranieri non accompagnati (in assenza di strutture
specifiche per minori) a seguito di segnalazione di reati commessi nei loro
confronti (Cagliari);
‒ strutture per
minori stranieri non accompagnati ancora non autorizzate ma attivate in
situazioni di grave emergenza.
Durante le ispezioni
straordinarie portate a termine dalle 16 procure, sono state anche riscontrate
le seguenti situazioni:
‒ inadeguatezza a
livello strutturale e mancanza o insufficienza dei requisiti igienicosanitari
e/o amministrativi (L’Aquila, Napoli, Reggio Calabria, Taranto);
‒ carenza e/o
inadeguatezza di personale educativo, del personale di sorveglianza o del
responsabile della comunità (Bari, Milano, Potenza, Taranto);
‒ sospetti
maltrattamenti e segnalazioni di reato (Bologna);
‒ irregolarità e
inadempienze in merito agli standard minimi di accoglienza, ad esempio il
superamento della capienza massima prevista (Catania, Napoli, Taranto).”6]
- Per 27 TM su
29 non esiste un coordinamento tra la procura e le commissioni di
vigilanza delle ASL a proposito dei controlli sulle Comunità?[7]
Dalla relazione
del MLPS: “Sono state evidenziate solo due esperienze di
coordinamento con le commissioni di vigilanza delle Asl per la realizzazione
dei controlli sulle comunità: la Procura di Torino ha stipulato nel febbraio
2016 una convenzione con la Regione Piemonte che prevede l’istituzione di un tavolo
permanente con tutte le commissioni di vigilanza, e la Procura di Caltanissetta
ha emanato apposite linee guida. Nelle altre realtà territoriali non
esistono ancora strumenti di raccordo tra procure e commissioni di vigilanza.
- Solo 13
tribunali segnalano di aver modificato le modalità operative relative
all’ascolto del minore dopo l’entrata in vigore del Dlgs. n. 154/2013 e in
particolare dell’introduzione nel codice civile dell’art. 336-bis. [8]
E ancora la
relazione del MLPS: “solo due utilizzano per l’ascolto del minore l’audio-video
registrazione e quattro tribunali si avvalgono dell’ausilio di giudici onorari
con formazione psicologica per impostare, valutare e realizzare l’ascolto del
minore”
“[…] viene dato
rilievo – aggiungono i tribunali - sia alla preparazione del minore, sia alla
corretta informazione di tutte le figure coinvolte nel procedimento.”
- Se i minori
invece di essere alloggiati in affidamento nelle comunità ma presso le
famiglie si risparmierebbero molti soldi.
Si pensi che,
solamente al 31 dicembre 2016, i minori in comunità, secondo il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali erano 12.603 e secondo il nostro studio che si
basa sempre su dati dello stesso Ministero si sarebbero risparmiati circa 34.000
euro a bambino.[9]
Alcune soluzioni
per limitare in cosiddetti “affidamenti facili” dei minori fuori famiglia nel
nostro paese:
1
L’Informazione
La trasparenza dell’informazione
“È la prima
criticità - scrivo nel mio studio - che emerge per chi vuole occuparsi del
complesso rapporto tra minori e giustizia, tra affidi in famiglie diverse da
quella di origine e affidi residenziali: la mancanza di dati organicamente
strutturati.
I dati disponibili
sono spesso approssimativi, a volte poco aggiornati, altre volte raccolti con
modelli diversi, elaborati con obiettivi e metodologie diverse. Si colgono le
incongruenze e le contraddizioni tra i dati raccolti da diverse fonti, tutte di
tipo istituzionale, ma sostanzialmente scarsamente capaci di dialogare tra di
loro. Ci si scontra con la complessità di un confronto difficile anche solo sul
piano numerico. Questo nonostante la legge 328/2000 istituisca il Sistema
informativo SIMBA, che però non è mai diventato pienamente operativo. Almeno
nei fatti”[10]
I dati forniti dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono fermi al 2017 e sono poco
utilizzabili perché tardivi e incompleti.
Nell’ambito di
questa mancanza di notizie anche molte procure, come abbiamo visto, ci dicono
che hanno grandi difficoltà nel reperire addirittura le stesse informazioni
utili allo svolgimento proficuo del loro lavoro e si devono, a mio avviso,
arrangiare. Infatti nella relazione del MLPS leggiamo anche come:
“In assenza di
specifiche informazioni a cura delle regioni, – ci dicono ad esempio i
Tribunali dei Minorenni per sapere quali sono il tipo di comunità nella regione
in cui operano - le procure realizzano autonomamente un elenco delle strutture
con le seguenti modalità:
‒ effettuando una
mappatura delle comunità del territorio in base al censimento costante delle
strutture sulla base dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria e da
quella amministrativa (Ancona, Catania, Roma, Venezia);
‒ attraverso la
partecipazione della procura alla rete dei servizi sociali, delle prefetture
(Catanzaro, Sassari), delle questure;
‒ a seguito delle
verifiche sul campo effettuate dalla polizia giudiziaria (Bari, Caltanissetta,
Catanzaro, Potenza);
‒ attraverso i
comuni e/o i vigili urbani ai quali è stato richiesto un aggiornamento
periodico delle comunità per minori autorizzate nel proprio territorio
(Cagliari, L’Aquila, Lecce);
‒ attraverso la
consultazione dei siti internet delle regioni (Catania, Catanzaro, Messina,
Venezia) e/o delle associazioni maggiormente rappresentative a livello
regionale che pubblicano gli albi regionali (Palermo);
‒ attraverso
contatti diretti con l’associazione che riunisce le comunità a livello
territoriale (Bolzano);
‒ attraverso
quanto comunicato dalle comunità stesse (Salerno).”[11]
L’informazione in
tempi reali
La soluzione alla
criticità sull’Informazione degli affidamenti sui Minori in Italia è da
trovarsi nella progettazione e realizzazione di un censimento a livello
nazionale ed alla creazione di un portale web che raccolga tutte le
informazioni relative agli affidamenti dei minori.
La realizzazione
di una banca dati permetterebbe, di fatto, l’accesso a tutti gli attori che
gravitano intorno al processo di affido del minore, e che potranno inserire
tutte le informazioni relative alla pratica di affido.
Sarà necessario
definire gli eventuali profili autorizzativi che potranno, così, governare lo
stato di una pratica e verificare che vengano rispettate tutte le condizioni
normative vigenti.
Il successo di una
realizzazione di una banca dati dei minori in affido deve passare per un forte
impegno da parte delle parti sociali e al contempo delle forze politiche che
obblighino tutti ad usare il sistema con normative adeguate a partire dal
comune fino al titolare della comunità.
L’idea è quella di
evitare i passi falsi commessi in passato per la riuscita del progetto, occorre
far sapere che la realizzazione di un portale dei minori in affido è certamente
realizzabile anche a costi contenuti.
Occorre solo
sensibilizzare le forze politiche e convincerle che solo con impegno e volontà
la cosa è facilmente realizzabile.
Oggi le più
recenti tecnologie informatiche permettono di progettare e realizzare portali
web (o banche dati) decisamente efficienti e a costi contenuti.
Una banca dati (o
database) è un modo per strutturare e sistematizzare il patrimonio informativo
di un’organizzazione o di un ente, al fine di renderla più facilmente
consultabile da parte di utenti esterni o interni.
L’attività di
gestione di un database è composta da due parti: la pianificazione, che
riguarda la costruzione di un progetto di banca dati, e l’implementazione.
Le fasi per creare
una banca dati sono le seguenti:
• classificare le informazioni da
archiviare e gestire
• identificare le fonti e i canali
attraverso cui reperire le informazioni e suddividerle tra interne ed esterne
• analizzare l’esistenza di altre
eventuali banche dati da cui poter ricavare dati utili
• scegliere la modalità di archiviazione
e classificazione delle informazioni e di sistematizzazione delle informazioni
• predisporre lo strumento informatico
• creare o strutturare eventuale
modulistica mancante
• organizzare la modalità per mantenere
aggiornata la banca dati e le informazioni in essa contenute.
• Utilizzo del sistema per altre banche
dati.
La determinazione
delle informazioni da gestire è definita dalle finalità di gestione,
dall’attento esame della normativa di riferimento, dall’analisi del flusso
procedurale e da quelle informazioni necessarie per il monitoraggio e
valutazione.
La banca dati
dovrà essere accessibile sul web tramite un’interfaccia di autenticazione che
permetterà ai vari attori del processo di accedere alle sole informazioni a cui
sono autorizzati. Dovrà permettere l’integrazione con altre banche dati
esistenti sul territorio nazionale, utilizzo del sistema per altre banche dati
e garantire la massima interoperabilità tra pubbliche amministrazioni che
detengono eventuali dati e informazioni relative al progetto (rispettando di
fatto l’impegno del governo nel favorire gli standard aperti e gli open data).
Il sistema web dovrà utilizzare i più moderni sistemi di cifratura dei dati e
delle connessioni internet e dovrà garantire il totale rispetto alle
disposizioni vigenti in tema di trattamento dei dati personali.
Nel progettare la
banca dati occorre tenere conto dei principi di integrità, riservatezza e
disponibilità dei dati delle informazioni inserite e valutare se alcune di
queste devono essere sottoposte ad un processo di autorizzazione di organi
competenti.
Nel progettare
l’archivio dati vanno considerate:
• Le fonti informative disponibili (dati
già in possesso ad Enti, Ministeri, Associazioni, etc.)
• Le informazioni da rilevare (numero
dei minori, censimento delle comunità, erogazioni fondi, rapporto tra educatori
e minori presenti nella struttura)
• Tempistica/periodicità di acquisizione
dei dati
• Profilazione degli utenti che dovranno
inserire o ricerca dati e/o informazioni
Il Progetto
Il progetto per costruire
una banca dati è suddiviso in due fasi operative fondamentali, una per la
costruzione di un censimento nazionale di quanti minori divisi per sesso, età e
ragione sono ospitati nelle varie tipologie di famiglie e comunità. L’altra
fase operativa prevede, utilizzando l’archivio ottenuto dalla fase di
censimento, la costruzione di un portale web a livello nazionale che si occupi
di governare tutto il processo dell’affidamento minorile a partire dall’analisi
degli assistenti sociali fino a quando il minore viene affidato ad un’altra
famiglia o ad una comunità, verificando che possa essere ricongiunto comunque
ai parenti o alla propria famiglia di origine.
Un progetto
sicuramente innovativo nel suo genere ma sicuramente realizzabile in tempi
brevi e a costi contenuti che necessariamente deve passare le due succitate
fasi una propedeutica alla all’altra.
Il lavoro prevede
la progettazione e realizzazione di un sistema “web based” corredato di un
database (archivio) su cui costruire la banca dati dei minori presenti nelle
famiglie o nelle comunità affidatarie
Si tratta di
realizzare un sito web (possibilmente con linguaggi opensource), da
installare su un server dedicato, che permetta l’autenticazione degli utenti e
presenti all’utente la scheda informativa da redigere e successivamente da
inserire nell’archivio. A tal scopo diventa necessario definire correttamente
la strategia di progettazione dell’archivio, e successivamente concordarla con
i vari stakeholder del progetto, affinché possa disporre di tutti i requisiti
funzionali per poter produrre la reportistica e le statistiche di cui si
necessita.
Il passaggio della
progettazione concettuale del data base è un passaggio fondamentale per creare
opportune tabelle e richiami ad esse, per rendere veloci sia l’inserimento dei
dati che le successive ricerche o analisi statistiche.
Il database dovrà
essere un server dedicato su cui installare l’archivio una volta progettato. La
popolazione dell’archivio sarà demandata alle famiglie, alle comunità, agli assistenti
sociali del comune e a quelli delle ASL che potranno in tal modo allegare ogni
pratica di minori che stanno seguendo.
Per popolare gli
archivi saranno rese disponibili sul sistema web, una volta identificati ed
autenticati gli attori delle varie famiglie e comunità ospitanti, le schede
identificative dei minori.
Tali schede
dovranno obbligatoriamente essere riempite di tutti i dati richiesti e fornite
tutte le necessarie informazioni da parte dei responsabili delle varie famiglie
e comunità ospitanti.
Per la prima fase
operativa riguardante il censimento sono necessarie solo due schede
identificative: la Scheda identificativa del Minore e la Scheda della comunità o
famiglia mentre per la realizzazione del portale, oltre a permettere l’accesso
a tutti gli attori del processo di affido sono necessarie ulteriori schede
identificative quali la scheda del Servizio Sociale e la scheda dei
professionisti coinvolti.
In questo modo si
potrà disporre in tempo reale dei dati di tutti i minori in affido e delle
varie comunità e famiglie affidatarie presenti sul territorio italiano in modo
da poter efficacemente svolgere analisi statistiche e redigere rapporti
dettagliati in base al numero dei minori, delle famiglie, delle comunità, della
posizione geografica, etc.
I requisiti operativi
Come già sopra
indicato, sono necessari alcuni requisiti che permettano la buona riuscita del
progetto:
1.
Impegno
da parte del legislatore all’utilizzo obbligatorio della piattaforma da parte
di tutti gli attori interessati nelle pratiche di affido minorile.
2.
Identificazioni
degli utenti e loro profilazione all’interno della banca dati (es. ogni
comunità potrà
inserire dati e
visualizzare solo quelli da loro inseriti)
3.
Identificazione
degli utenti abilitati a svolgere attività di analisi, a svolgere ricerche ai
fini statistici sia regionali che nazionali, a visualizzare le rendicontazioni
sui fondi percepiti.
4. Definizione delle modalità con cui
consegnare le credenziali di accesso al sistema informatico.
5. Definizione delle procedure per
l’inserimento di dati provenienti da altre banche dati esistenti.
6. Periodicità, aggiornamento e storicizzazione
delle informazioni
Il controllo
accessi
Consente di
impostare la politica di accesso ai dati mediante:
- Definizione degli utenti e dei
profili ammessi ad accedere al sistema
- Attribuzione dei permessi di lettura
e scrittura ad utenti e gruppi in relazione alle singole
entità dati sia a
livello di sistema (listini, tabelle di sistema, etc.) che della singola
commessa
(preventivi,
contabilità, etc.).
- Creazione di un profilo per ogni
utente in cui inserire i propri dati personali, le credenziali di
accesso, l’ufficio
preposto, la mansione e altre informazioni che si riterranno necessarie.
- Impostare severe disposizioni di
sicurezza per il controllo degli accessi, per la protezione dei
dati personali,
obbligatoriamente permettere l’accesso su protocolli cifrati robusti.
- Impostare a livello di amministratore
della piattaforma informatica i corretti diritti di accesso
ai dati e alle
informazioni a secondo dei ruoli e responsabilità. Permettere solo accessi alle
informazioni di
cui si è abilitati a trattare.
Il sistema
informatico dovrà permettere l’accesso anche alle Procure, al Ministero di
Giustizia, al Ministero delle Politiche Sociali, al Ministero della Salute, al
Ministero della Famiglia, al Ministero delle pari opportunità, alla Commissione
speciale per i Diritti Umani, al Garante dell’Infanzia e l’Adolescenza,
all’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, alla Commissione
Infanzia e Adolescenza e alla Presidenza del Consiglio.
Dovrà anche essere
permesso l’accesso per fini statistici all’Ufficio di Statistica ad alcune
tipologie di informazioni (da definire) e anche di rendere fruibili alcune
informazioni (ovviamente depurate e solo di natura consultiva) anche a tutti
gli utenti di Internet.
Si rende
necessario l’interoperabilità delle informazioni contenute nell’archivio e con
la stessa banca dati con l’Osservatorio Regionale per l’Infanzia e
l’Adolescenza, i Garanti Regionali dell’Infanzia e l’Adolescenza, i Comuni, le
Provincie e le Regioni.
L’Archivio
Una volta definiti
utenti e ruoli e ottenuto l’accesso al sistema informatico dovrà essere
consentito a tutti coloro che dovranno di popolare l’archivio con i dati in
loro possesso. In particolare, ogni utente che accede al sistema informatico
dovrà riempire i dati che caratterizzano il proprio profilo sul sistema
indicando:
- Nome e Cognome
- Codice Fiscale
- Luogo e data di nascita
- Ufficio di appartenenza
- Telefono e mail
- Mansione operativa e ruolo nel
processo di affido
La sicurezza
La protezione
della banca dati da incidenti informatici deve essere seriamente presa in
considerazione prevedendo un’infrastruttura completamente ridondata atta a
mantenere la continua disponibilità operativa del servizio on line. I dati
dovranno essere conservati in archivio tutelandone l’integrità e permettendo la
confidenzialità delle informazioni solo ai soggetti che dispongono di autorizzazione.
2-
Alcune proposte
per la soluzione dei tempi della Giustizia.
Il problema dei
tempi della Giustizia è un problema che tutti conoscono ma che ancora sembra in
alto mare e non è certo questa la sede per risolverlo. Pur tuttavia per quanto
riguarda i contenziosi che interessano le famiglie i minori è nel contempo un
problema talmente urgente che non è proprio possibile procrastinarlo ancora a
lungo. In questo momento ci sono circa 30.000 minori allontanati dai loro
genitori o da uno dei genitori, spesso con provvedimenti inaccettabili anche
dal punto di vista della Legge stessa. Questo va detto chiaro proprio perché ci
sono invece tantissimi tribunali e professionisti che fanno bene il loro lavoro
e non devono essere confusi con chi invece non lo fa.
Questi minori non
possono certo aspettare gli interminabili passaggi dell’odierno modo di gestire
la Giustizia.
Voglio riportare
un esempio che è significativo dei danni che possono procurare i ritardi nei
tempi dei procedimenti di indagine e di decisione dei tribunali che oggi si
sono notevolmente aggravati e non sempre giustificati dalla pandemia.
Penso in
particolare ad un caso di una bambina allontanata dalla mamma, che il
tribunale, con la scusa dell’infezione in atto, già dopo un ritardo di 3
anni, ha protratto la sentenza di appello un altro anno ancora, ritardo affatto
giustificato perché, come sappiamo, la pandemia dura solo da un anno e dal
fatto che, comunque, le parti e i loro avvocati non sono mai stati in presenza
in tribunale.
Quindi in questa
occasiono che mi da la Commissione voglio almeno informarvi di due soluzioni
che potrebbero abbreviare il corso dei procedimenti giudiziari.
Il primo è già in
parte attuato in alcuni tribunali, ancora a mio avviso pochi e riguardano i
procedimenti giudiziari nelle separazioni fra coniugi, il secondo in quelli per
decidere gli affidamenti fuori famiglia di minori.
Per quanto
riguarda le separazioni fra coniugi.
Per abbreviare e realizzare
la risoluzione giudiziale del conflitto familiare ci rifacciamo ad un progetto
della IX Sezione del Tribunale di Milano detto “Rito Partecipativo”.
Da un articolo
apparso nel sito internet “Questione Giustizia” il 13 giugno del 2014 e scritto
dal giudice presso il Tribunale di Milano dottor Giuseppe Buffone a due mani
con la Dr.ssa Gloria Servetti, presidente della IX sezione civile Tribunale di
Milano:
“[…] ricercare,
prima di decidere, l’accordo dei genitori, la condivisione di una soluzione del
problema. Le norme, in realtà, ciò già lo prevedono, nella misura in cui
impongono al giudice di tenere conto degli accordi raggiunti dai partners (v.
art. 337-ter c.c.) e di promuovere una conciliazione (art. 185-bis c.p.c.),
eventualmente mediante l’intervento dei mediatori familiari (337-octies c.c.) o
civili (d.lgs. 28/2010).
Seguendo questa
direttrice, il procedimento si spoglia della sua corteccia dura e indossa dei
tessuti di comunicazione più morbidi, in cui il giudice non è solo colui che
deve decidere dall’alto ma anche colui che può suggerire «tra pari», ma in modo
autorevole.
[…] Queste
coordinate hanno orientato la Sezione IX del Tribunale di Milano
nell’introdurre il cd. rito partecipativo: un rito in cui alla decisione
partecipativo tutti gli interlocutori. Il giudice, gli avvocati: ma soprattutto
i genitori.
Il suo
funzionamento è semplice.
Al termine della
relazione affettiva, il genitore presenta la sua domanda contro il partner. Il
Tribunale, disposto lo scambio delle difese, valuta se sussistono ostacoli a
una fase conciliativa: ad esempio patologie, violenze domestiche, limitazioni
alla genitorialità preesistenti.
In assenza di
elementi ostativi a un percorso di conciliazione e mediazione, il Tribunale
fissa una udienza “filtro” in cui invita i genitori a comparire dinanzi a un
giudice delegato, per verificare la possibilità di una soluzione condivisa.”[12]
Sappiamo per certo
che questa proposta, anche se non esaustiva per tutti i procedimenti di
separazione ha ridotto fortemente i tempi e l’impegno dei tribunali che
si avvalgono del Rito Partecipativo, nei contenziosi almeno nell’80% dei
casi nei primi sei mesi della sua attuazione.
Per saperne di più
leggi: “Il nuovo rito partecipativo rilevazione statistica 2013.”[13]
Nota bene:
Solo per una
questione di spazio non riporto una nuova versione da me redatta insieme allo
studioso psicologo e psicoterapeuta dr. Stefano Boschi per migliorarne, a
nostro avviso, l’effetto e il rendimento del Rito Partecipativo. Per chiunque
fosse interessato legga il Quaderno 41 nel mio Blog Giuridico e Sociale.[14]
Per quanto
riguarda gli affidamenti di minori fuori famiglia
Bisognerebbe
emendare la Legge 184/1983 e segg. e stabilire tempi massimi nello svolgimento
di tutti i passaggi più importanti tenendo presente che un minore non può
seguire i tempi della Giustizia ordinaria e che se non ha certezze per anni
incorre in problematiche psicologiche e fisiche che si porterà per tutta la
vita.
In particolare
suggerisco di leggere in proposito l’articolo del dott. Vittorio Vezzetti “I danni da deprivazione genitoriale e da
stress nell’infanzia”[15] o “Il danno da deprivazione
genitoriale” di Marcello Adriano Mazzola[16]
ò “Ruolo del pediatra nell’assistenza a minori in affido etero o intra
familiare” di Moira Szilagyi”.[17]
Infine potrete anche leggere “Conseguenze nella qualità di vita del minore
allontanato dai genitori” di Massimo Rosselli del Turco”[18]
3-
Alcune proposte per emendare la Legge
Legge 184/1983 già emendata dalla 149 del 2001 e dalla
173 del 2015.
Partiamo dalle
stesse proposte dei Tribunali dei Minori: negli anni 2014 e 2015 furono fatte
ai Tribunali dei Minorenni alcune domande chiarificatrici del loro lavoro.
Fra queste ve ne
fu una che così’ argomentava:
“Ritiene che
sarebbe opportuno introdurre modifiche alla legge n. 184/1983?”[19]
Dopo la risposta in
cui il 48% dei tribunali rispondeva affermativamente e il 10% non rispose, i
tribunali fornirono indicazioni circa le modifiche da introdurre che
consentirebbero una migliore realizzazione delle sue finalità.
Ecco cosa proposero;
“‒ riduzione dei
tempi della procedura adottiva (Messina);
‒ previsione di un
rito semplificato e accelerato per la pronuncia della corte d’appello e della
corte di cassazione sui ricorsi, limitandone le ipotesi (Perugia);
‒ miglioramento
delle garanzie dei genitori dei minori nelle procedure per la dichiarazione
dello stato di adottabilità (Messina);
‒ introduzione di
correttivi per consentire l'adozione di minori non più in età infantile,
difficilmente collocabili, poiché l'età del minore costituisce un limite spesso
invalicabile nella disponibilità espressa dalle coppie che aspirano
all'adozione (Taranto);
‒ previsione di
una specifica disciplina a proposito dei rapporti tra fratelli in caso di
adozione da parte di famiglie diverse (Caltanissetta);
‒ superamento
della contrapposizione fra affidamento e adozione, interpretando i due istituti
quali interventi paralleli, come già emerge da prassi consolidate su
affidamenti sine die e adozioni “miti”, allo scopo di assicurare la continuità
affettiva (Bari);
‒ attribuzione ai
tribunali per i minorenni della competenza circa gli abbinamenti anche per
quanto riguarda l’affidamento (Trento);
‒ revisione
dell’adozione in casi particolari, con particolare riferimento ai suoi effetti
giuridici, specie alla luce della riforma del diritto di famiglia ex legge n.
219/2012;
‒ ampia previsione
di forme di adozione legittimante ma “aperta” (Palermo), ad esempio con la
possibilità di mantenere un rapporto con i familiari biologici (Reggio
Calabria);
‒ revisione della
legittimazione rispetto all’iniziativa per le procedure di adottabilità, ora
riservata al pubblico ministero, in un regime di discrezionalità senza
controllo né correttivi (Salerno);
‒ obbligatorietà
dei percorsi di sostegno post-adottivo, ora rimessi alla richiesta dei genitori
adottivi (Napoli e Bolzano);
‒ revisione
dell’art. 250 quinto comma del codice civile, nella parte in cui prevede che il
minore di età fra i 14 e i 16 anni possa essere autorizzato dal tribunale
ordinario al riconoscimento del proprio figlio, per ottenere un migliore
coordinamento con l’art. 11 della legge n. 184/1983, che prevede l’apertura di
una procedura di adottabilità avanti il tribunale per i minorenni, alla
scadenza 10 giorni dalla nascita del figlio senza che sia intervenuto il
riconoscimento. Il TM di Milano propone, per ragioni di economia processuale,
l’attribuzione al tribunale per i minorenni della competenza ad autorizzare il
riconoscimento da parte del genitore infra-sedicenne, stante l’evidente
connessione tra le valutazioni relative alla concessione dell’autorizzazione,
quelle relative alla sospensione della procedura di adottabilità e, più in
generale, agli interventi a tutela del minorenne genitore e del minorenne
figlio.”[20]
A queste proposte vorrei aggiungere
anche le mie, soprattutto sugli articoli dell’affidamento dei minori fuori
famiglia. Va precisato che questi da me esposti sono solamente alcuni esempi
degli emendamenti che dovranno essere introdotti in una futura proposta di
legge:
-
Revisione dell’Art.1 comma 3 in cui si deve precisare che la famiglia nella
circostanza va comunque aiutata perché il finanziamento di questi aiuti deve
prevenire l’allontanamento del bambino dalla propria famiglia, e quindi alla sua
salvaguardia psicofisica, per cui le disponibilità economiche che si devono
stanziare devono essere considerate necessarie e alla stregua di quelle
mediche. Questo perché spesso con la scusa della mancanza di soldi non si
interviene e si dedicano invece fondi ad altri lavori meno utili e urgenti.
- emendamento dell’art.2 comma 2: Inserire la parola
“Unicamente” prima della parola “Ove” all’inizio del comma
- emendamento
dell’art.2 comma 2: cassare le
parole “o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato,”
perché è troppo generico. Qualsiasi tipo di comunità accogliente minori deve
avere le caratteristiche di una comunità di tipo familiare che andremo a
precisare nell’emendamento dell’Art. 2 comma 4
- Va cassato l’art.2 comma 3 nel suo contenuto,
prevedendo di sostituirlo con un articolo che consideri di provvedere
all’urgenza avendo sempre disponibile un albo delle famiglie affidatarie che
saranno in ogni momento disponibili al ricovero immediato e temporaneo del
bambino.
- Nell’Art.2 comma 4 va precisato bene e senza dar
adito ad interpretazioni cosa è una comunità di tipo familiare perché ad oggi
le cosiddette “case famiglia”, forse le uniche che possano rappresentare le
comunità in cui esistono rapporti interpersonali analoghi a quelli di una
famiglia, sono in percentuale a tutte le altre comunità del tutto residuali.
Molti bambini infatti vanno in comunità che poco hanno di “familiare” e in
certi casi somigliano molto ai vecchi orfanatrofi. L’esempio più evidente è
quello dei MSNA che finiscono quasi tutti in comunità che hanno ben poco della
famiglia e da cui, come abbiamo più volte detto in questa audizione, ad oggi,
sono in gran numero “irreperibili.”
- Nell’Art.3 comma 3 va cassata
la frase “e gli istituti di assistenza pubblici o privati”
- Idem nell’Art. 4 comma 7 va cassata la frase “o un
istituto di assistenza pubblico o privato”
- Nell’Art.5 comma 2 va precisato che il servizio
sociale può aiutare la famiglia con un sostegno educativo e psicologico
“unicamente” con le competenze professionali di professionisti specializzati e
non con i soli assistenti sociali. Questi professionisti dovranno stilare delle
relazioni che dovranno obbligatoriamente essere inserite nel progetto per le
famiglie che saranno oggetto di aiuto.
- emendamento dell’art.5 comma 3: dopo la parola
“familiare” cassare la frase “o che si trovino presso un istituto di assistenza
pubblico o privato.”
Legge 7 aprile 2017, n. 47 [21]
“Disposizioni in
materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.”
- Emendamento all’art:
7 comma 1bis: sostituire la parola “possono” con la parola “devono”
Proposta per emendare
l’art.403 c.c.
-aggiungere dopo
la parola “autorità” la frase “che si definisce unicamente nella figura del
sindaco o del vicesindaco o di un suo delegato, che non può essere un
assistente sociale o un dirigente del servizio sociale, né chiunque abbia un
contratto di “Centro Servizi alla persona”
- Cassare la frase
“a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca” con “I Servizi Sociali
avranno il compito di collocarlo”
4-
Alcune proposte
per una nuova legge per gli assistenti sociali
Programmare un
progetto di legge che consenta loro di lavorare al meglio e di non permettere
ad alcuni di essi di screditarne la categoria con soprusi e interpretazioni
personali creando spesso ingiustizie e violazioni di diritti delle famiglie e
dei minori.
Proponiamo qui solamente
alcuni accorgimenti importanti che dovranno essere messi nella proposta insieme
a gran parte delle norme che già concernono il loro Codice Deontologico[22], ai loro regolamenti per la formazione
continua,[23] ai loro “Processi di
sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie” del 2015 (Le linee
guida)[24], nonché agli articoli della
legge 184/1983 emendata dalle due successive 149/2001 e 173/2015.
·
L’assistente sociale, vista l’importanza del compito
a cui è chiamato e la responsabilità che esso comporta per l’esercizio delle
sue funzioni, dovrà accedere ad una “formazione continua” di
aggiornamento professionale. [25]
·
l’assistente sociale deve, per regola, sottoporsi a
test attitudinali ogni tre anni e, su richiesta del sindaco, alla bisogna per
certificati disturbi psicologici o per manifesti errori professionali.
·
L’assistente sociale deve aver frequentato un corso
di specializzazione per l’intervista dei minori e per adulti. Se non lo ha
ancora fatto ha l’obbligo di richiederlo entro 60 giorni dall’approvazione della
Legge.[26]
·
L’assistente sociale non può rifiutarsi di eseguire
l’ordine di una qualsiasi autorità giudiziaria nella maniera più efficace e nel
più breve tempo possibile.[27]
·
L’assistente sociale, passando ad altro incarico,
non deve dare giudizi sull’utente con cui è entrato in conflitto. Questo per
non influenzare nel giudizio il collega che subentra e che deve prendere in
esame il caso e continuare il suo lavoro in autonomia.[28]
·
Per eventuali possibili emergenze, l’assistente
sociale deve programmare con i colleghi e con il dirigente responsabile, almeno
una presenza fisica sul posto di lavoro nelle ore d’ufficio, tutti i giorni e
durante le ferie. Deve altresì sempre assicurare la reperibilità telefonica
entro le 21 di tutti i giorni, compresa la domenica. Questo articolo deve
essere inserito nei termini delle assunzioni degli assistenti sociali e
sottoscritto dalle parti.
·
L’assistente sociale riconosce la famiglia nelle sue
diverse forme ed espressioni come luogo privilegiato di relazioni stabili e
significative per la persona e la sostiene quale risorsa primaria, quindi deve
sempre tenere presente che il minore ha diritto di crescere ed essere educato
nell'àmbito della propria Famiglia.[29]
·
L’assistente sociale deve sostenere le famiglie al
fine di consentire ai minori conviventi di essere qui educati e di prevenire il
loro abbandono.[30]Il suo lavoro, quindi, deve sempre essere inteso come una forma di
intervento ampia e duttile che consiste nell’aiutare e sostenere in particolare
i nuclei che attraversano un periodo di difficoltà contingente e sempre
aiutarli nel recupero delle loro capacità economiche e genitoriali, garantendo
nel contempo ai loro figli, attraverso varie forme, assistenza e cure necessarie per il loro più
sano e ampio sviluppo psicofisico.
·
Nell’occasione del primo incontro con le famiglie è
dovere dell’assistente sociale consegnare agli utenti la “Carta dei Servizi
Sociali.”[31]
·
È obbligo dell’assistente sociale programmare gli
incontri con gli utenti in un tempo e nel modo che sia rispettoso delle
esigenze di tutti e, se ci sono, con i tempi stabiliti dal tribunale per la
consegna dell’eventuale relazione. Gli orari quindi vanno assolutamente
concordati non imposti.[32]
·
L’assistente sociale non può impedire che l’utente
sia affiancato da figure professionali [33] quali Il “Mediatore Culturale”,[34] l’Avvocato,[35] il Consigliere Comunale, o il
Delegato del Sindaco.[36]
·
All’atto della presa in carico di una famiglia o di
un minore l’assistente sociale aprirà una “Cartella Sociale Elettronica”
dove conserverà scannerizzata tutta la documentazione. Questa documentazione
deve essere riposta in ordine di data e deve essere fatto un indice.
·
La “Cartella Sociale Elettronica,” se non
espressamente e formalmente vietato dall’Autorità Giudiziaria, deve essere di
immediata consultazione da parte del responsabile del Servizio Sociale Minori,
di tutti coloro che ne hanno la facoltà, ed in particolare del sindaco e del
suo delegato, dei consiglieri, e di un’eventuale ispezione da parte di coloro
che ne sono autorizzati legalmente.
·
L’assistente sociale deve chiedere agli utenti se
vogliono la registrazione dell’intervista e attivarla se richiesta. Se non la
si vuole, al termine dell’intervista si deve stilare una relazione che deve
essere firmata da tutti e archiviata scannerizzata nella relativa cartella
elettronica dell’utente. [37]
·
L’assistente sociale deve programmare per tempo gli
“incontri protetti” disposti dall’Autorità Giudiziaria con i genitori dei
bambini allontanati dalla “famiglia naturale,” o solamente da uno dei
genitori, per dare la possibilità ai minori di avere la sicurezza di poterli
sempre incontrare.
·
L’assistente sociale che ha il dubbio che il minore
sia psicologicamente condizionato da uno dei due genitori o da altri, deve
immediatamente, per il tramite del dirigente del suo servizio, avvisare
l’Autorità Giudiziaria competente. Nel caso specifico di un minore che non
voglia più avere contatti con uno o entrambi i genitori l’assistente sociale si
deve attivare per ripristinare la relazione avvisando formalmente il dirigente
del suo servizio e per conoscenza il sindaco o il suo delegato. Non è
possibile, né giustificato, né legale su iniziativa dell’assistente sociale
l’allontanamento di uno o di entrambi i genitori sulla base del semplice
rifiuto da parte del minore di relazionarsi con loro.[38]
·
Gli incontri minore/parenti non possono essere
sospesi, nemmeno per una volta e se dovesse eccezionalmente succedere per cause
particolari, il giorno va recuperato massimo la settimana successiva. Se
l’affidatario del minore, la famiglia affidataria o la struttura che ospita il
minore addirittura si opponesse alle visite, l’assistente sociale deve
immediatamente relazionare al responsabile del servizio e al sindaco o al suo
delegato che avviseranno il tutore del minore o se non c’è il giudice
tutelare.
·
Se un minore ha parenti fino al quarto grado o amici
che frequentava prima dell’allontanamento e vuole incontrali l’assistente
sociale deve preparare un programma di “incontri liberi” e sottoporlo
all’attenzione del responsabile del servizio, del sindaco o del suo delegato, a
meno che non ci sia un ordine contrario dell’Autorità Giudiziaria.[39]
·
Se l’Autorità Giudiziaria stila una
calendarizzazione di incontri con lo stesso genitore di tipo “protetti”
e “non protetti” contemporaneamente, l’assistente sociale deve
comunicarlo immediatamente al responsabile del servizio, al sindaco o al suo
delegato che provvederanno a mettersi immediatamente in contatto con l’Autorità
Giudiziaria che ha firmato l’ordine.[40]
·
L’assistente sociale deve sorvegliare sulla
regolarità e quindi sul lavoro che svolgono gli educatori che si occupano degli
incontri protetti. Devono accertarsi di come si svolgono ed incontrarsi con
loro almeno una volta al mese. Questi incontri devono essere registrati. I file
delle registrazioni vanno allegati alle successive relazioni degli educatori
immessi nella cartella sociale elettronica.
·
L’assistente sociale deve sorvegliare sulla
regolarità e quindi sul lavoro che svolgono gli educatori che si occupano degli
incontri protetti. Devono accertarsi di come si svolgono ed incontrarsi con
loro almeno una volta al mese. Anche questi incontri devono essere registrati.
I file delle registrazioni vanno allegati alle successive relazioni degli
educatori immessi nella cartella sociale elettronica.
·
Premesso che l’assistente sociale deve tener sempre
presente che “L’obiettivo prioritario degli enti locali e dei sevizi territoriali, […] deve essere quello di prevenire gli
allontanamenti di minori dalle proprie famiglie”,[41] se viene accertato comunque che questi si trovi in una situazione di
disagio tale da decidere la sua messa in sicurezza, l’assistente sociale deve
sempre privilegiare l’allontanamento dal domicilio della persona responsabile
del maltrattamento o della violenza e non del minore[42]. La relazione che andrà a scrivere all’Autorità Giudiziaria, tramite il
responsabile del Servizio Sociale, deve mettere in evidenza la circostanza
suddetta.
·
L’assistente sociale deve monitorare le situazioni
di bambini ospiti presso le case famiglia e ove possibile, relazionare ai
tribunali competenti per riportarli presso la loro famiglia o in accoglienza
semiresidenziale o in ultima analisi in accoglienza presso un’altra famiglia
affidataria.
·
L’assistente sociale deve sapere che il
provvedimento della magistratura che ha deciso l’allontanamento di un minore
dalla sua famiglia naturale “deve
prevedere l’affidamento dell’incarico […] all’Ente (Comunale n.d.r.) e non al
singolo professionista.”[43]
·
L’assistente sociale deve sempre tener presente che
“[…] laddove non sia possibile evitare
l’allontanamento, l’obiettivo degli interventi è rappresentato dal recupero
della capacità genitoriale della famiglia originaria e dalla rimozione delle
cause che impediscono l’esercizio della sua funzione educativa e di cura.
Comunque il fine ultimo è sempre, ove possibile, garantire il rientro del
minore in famiglia, in tempi il più possibile brevi nel rispetto del principio
di continuità dei rapporti familiari/parentali.”[44]
·
L’assistente sociale deve anche seguire ciò che
dicono le linee guida 2015 del Consiglio Nazionale del suo stesso Ordine in cui
si scrive testualmente: “L’affidamento
del minore in strutture di accoglienza, di tipologia adeguata all’età e alle
caratteristiche del minore, deve essere strettamente limitato al periodo
necessario all'elaborazione di un progetto di rientro nel nucleo familiare e,
qualora questo non sia possibile, di affido intra o extra familiare o di
adozione.”[45]
·
La segnalazione del disagio di un minore deve essere
firmata da tutti coloro che la relazionano in modo da condividerla assieme alla
responsabilità nei riguardi dei relativi contenuti. Se qualcuno non vuole
firmare deve essere messo in evidenza nella relazione stessa ed esserne motivata
la decisione.
·
L’allontanamento del minore dalla propria famiglia
con il provvedimento amministrativo ex art. 403 c.c. deve essere effettuato
unicamente come possibilità residuale[46] ai tentativi di aiuto alla famiglia stessa e unicamente con motivazioni
riportate nell’articolo di legge, con particolare riferimento alla messa in
atto di un’adeguata terapia familiare da parte di uno o più professionisti
specificamente formati per tale problematicità.[47]
·
L’allontanamento va effettuato da un’equipe di
professionisti specializzati, secondo le “Nuove Linee Guida degli Assistenti
Sociali,” [48] ed andranno seguite scrupolosamente al fine di rendere il più indolore
possibile l’allontanamento. Si deve prevedere quindi un’equipe stabile,
specializzata e di comprovata bravura e delicatezza nell’eseguire tale
allontanamento.
·
Fra i professionisti che eseguiranno
l’allontanamento del minore deve essere presente almeno uno psicologo, un
pediatra e, se necessario, un “mediatore culturale.” All’occorrenza può essere
presente un organo di polizia giudiziaria non in
divisa.[49]
·
L’assistente sociale che ha partecipato alla
relazione di allontanamento o alla messa in sicurezza del minore non può essere
lo stesso che parteciperà e assisterà successivamente la famiglia e il minore
stesso.[50]
·
L’assistente sociale con l’ausilio del servizio
sociale tutto, si pone fra gli obbiettivi quello di creare, anche a livello
distrettuale, un albo di famiglie che
sono state certificate idonee ad accogliere un minore in affidamento. Nello
stesso albo vanno segnalate anche quelle famiglie che hanno offerto [o
sarebbero propense ad offrire] la disponibilità all’affido e pronte per seguire
un corso di certificazione di idoneità.
·
Il servizio sociale del comune, nel deprecato caso
di un allontanamento del minore dalla propria famiglia, in collaborazione con
il servizio distrettuale proporrà di volta in volta negli specifici casi ad
organizzare, nell’ambito di un “Progetto Quadro”, un “Progetto di Affidamento” che per caratteristiche di contenuto e di
contesto appare più idoneo a rispondere produttivamente alle esigenze personali
d’ogni bambino/adolescente che ne ha bisogno.[51]
·
Se l’assistente sociale “[…] deve ipotizzare l’affido, evidentemente, si è in presenza di nuclei non
supportati dalla famiglia allargata o con famiglie allargate ugualmente
problematiche, che spesso non hanno né sanno esprimere comportamenti di
solidarietà e di produttivo coinvolgimento.”[52] Questo comporta di conseguenza che il Servizio Sociale Minori, deve
sempre accertarsi prima se non ci siano idonei parenti fino al quarto grado che
vogliano e siano in grado di prendersi cura del minore.[53]
·
L’assistente sociale deve provvedere affinché “Nel percorso del post-affido [siano
n.d.r.] previsti incontri tra la famiglia
affidataria e quella di origine.”[54]L’assistente sociale è, prima di tutto, al servizio delle famiglie e dei
minori, in seconda istanza, svolge anche un lavoro di supporto all’Autorità
Giudiziaria.[55]
·
L’assistete sociale incaricato da chiunque ed anche
da un tribunale di eseguire un ordine “contra
legem” prima di eseguirlo deve immediatamente e formalmente avvisare il
responsabile del suo servizio, il sindaco o il suo delegato e aspettare
disposizioni.
·
In particolare, nelle separazioni coniugali e in
tutti gli altri provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, l’assistente sociale
non può di sua iniziativa calendarizzare gli incontri del minore con le persone
che non ne hanno il suo collocamento, né farlo anche se il suo Servizio Sociale
Minori ha avuto da un tribunale l’affidamento dei minori.[56]
·
L’assistente sociale o il Servizio Sociale, di sua iniziativa,
non può cambiare per nessun motivo le disposizioni dell’Autorità Giudiziaria
nemmeno per mancanza di fondi o di tempo. Nei casi specifici deve avvisare
immediatamente il sindaco o il suo delegato.
·
L’assistente sociale non può relazionare all’Autorità
Giudiziaria prima di aver conosciuto la famiglia e parlato con i genitori o gli
affidatari del minore. Non deve relazionare quindi su di una famiglia
riportando solo pareri di terzi che non siano professionisti incaricati ed
autorizzati
·
L’Assistente Sociale non può nelle relazioni
consigliare l’Autorità Giudiziaria di prendere provvedimenti di qualsiasi tipo
sugli utenti. La relazione non deve riportare pareri personali né semplicemente
dedotti da altre relazioni, a meno che non le alleghi integralmente alla sua
relazione. Deve riportare solo fatti reali riferiti dagli utenti o visti da
lui, riportando nomi, cognomi e circostanze dettagliate. Se è l’Autorità
Giudiziaria che gli richiede “consigli” l’assistente sociale, prima di
eseguire l’ordine, avverte immediatamente il responsabile del servizio e il
sindaco o il suo delegato e aspetta disposizioni.
·
L’assistente sociale deve sempre provvedere e
sorvegliare affinché tutte le relazioni e tutta le informazioni in entrata e in
uscita siano indirizzate al tribunale competente o alla persona in quel momento
competente.[57]
·
L’assistente sociale, per il tramite del suo
servizio, deve inviare ai legali delle famiglie e degli utenti e ad eventuali
professionisti incaricati tutte le comunicazioni sia sue che di terzi
professionisti in maniera formale ed integrale, salvo disposizioni contrarie
dell’Autorità Giudiziaria o della Legge.
·
L’assistente sociale non può ricevere relazioni né
inviarle senza la firma del dirigente responsabile del suo servizio. In
particolare non può inviare direttamente alle procure ed ai tribunali relazioni
su famiglie e minori senza la firma del responsabile del servizio e la “presa
visione”, del sindaco o del suo delegato.
·
Vanno sempre trasmesse formalmente ed integralmente
anche tutte le relazioni e tutti i test con i relativi parametri effettuati dai
professionisti incaricati dal servizio sociale.
·
L’assistente sociale, se dall’Autorità Giudiziaria
sia stata richiesta l’indagine su una famiglia o un minore, deve, nel modulo di
convocazione delle parti, riportare almeno:
•
chi richiede l’indagine;
•
perché si richiede;
•
nome dell’assistente sociale di riferimento;
•
luogo dove avverrà l’incontro;
•
data di convocazione;
•
data termine presunto dell’indagine;
·
Per tutto quanto non previsto dalla presente proposta
valgono le norme di legge degli Enti Locali, le norme di legge nazionali e
regionali in materia e le norme di legge regionale di organizzazione dei
servizi e interventi sociali.
Per rispondere all’On. Spena sull’istituzione di un “servizio in
prossimità”, sarei favorevolissimo in questa situazione tragica italiana e non
faccio riferimento solo alla pandemia, ma un po' a tutte le disfunzioni che
esistono sul tema degli affidamenti dei minori. Il problema lo vedo però difficile
da attuare.
La soluzione secondo me, è quella di riavvicinare le famiglie al Servizio
Sociale, riformandolo con una legge ed aiutandolo con una formazione adeguata,
con contratti a tempo indeterminato affinché possano seguire fino in fondo i
singoli progetti e non doversi avvicendare e delegando a terzi estranei
all’ordine la soluzione di eventuali contenziosi con le famiglie in modo da
eliminare critiche di faziosità e parzialità nei giudizi.
Per ora una soluzione a breve termine potrebbe essere quella che è stata
attuata nel mio comune, e cioè di eleggere un delegato del sindaco per la
tutela dei diritti dell’infanzia e l’adolescenza. Naturalmente per i comuni al di
sopra dei 10.000 abitanti sarebbe bene che questo delegato abbia dei
collaboratori, anche esterni, che insieme a lui possano fare da filtro con i
Servizi.
Conclusioni
Il vero problema,
comunque, a mio parere, è la perdita della credibilità nella Legge, il
cittadino non si sente più protetto e perde la speranza. Le leggi ci sarebbero
ma non sono rispettate e non soltanto dai cittadini ma anche da alcuna
magistratura, che spesso non ha tempo, non ha voglia, segue una prassi che è
diventata molte volte norma di legge.
Mi riferisco, solo
per fare qualche esempio, all’abitudine di alcuni tribunali di delegare troppo
spesso parte del loro lavoro ai servizi sociali quando per legge dovrebbero
farlo loro nelle disposizioni; ai loro periti (CTU) che dovrebbero consigliare
i giudici con le loro relazioni che vengono spesso seguite come verità assolute,
mentre ognuno di loro potrebbe dire il contrario di quello che dice il collega
nella stessa circostanza e la sentenza sarebbe diversa.
Penso alla
mancanza d’informazione sui problemi degli affidamenti che è la base su cui si potrebbero
fare le riforme. Penso alle stesse commissioni d’inchiesta che spesso vengono proposte
proprio per giustificare la malpratica, penso al cittadino che non crede più in
coloro che dovrebbero dare l’esempio, ai tribunali, agli assistenti sociali che
dovrebbero aiutare le famiglie e che invece fanno paura, penso alla mentalità
che si sta creando nel nostro paese, alla dissoluzione dei vecchi partiti
politici che comunque portavano con se un’idea di società, che proprio nella
loro diversità ti dava sempre la speranza di una dialettica di confronto vera
che era alla base di un futuro migliore. Penso alla dissoluzione della famiglia
che unisce e non divide, penso ai nostri figli affascinati dai “Social” in cui
credono e che stanno diventando la loro nuova religione.
E infine penso
alla Cultura in cui pochi credono ancora, sostituita dalla corsa al guadagno,
non importa come, perché sta diventando la discriminante fra l’uomo degno di
credibilità e l’emarginato.
Qualche idea nella
mia audizione penso di averla portata, ma se non cambia la mentalità non
risolveremo i problemi, né quelli dovuti alla pandemia, né quelli ulteriori che
ci darà, né tantomeno quelli endemici che da anni esistono. E non sarà un
Bibbiano a farci riflettere più di tanto: fra poco verrà dimenticato anche lui
come è sempre stato.
Spetterà a voi
politici, che siete la nostra voce, a ridarci la speranza.