Relazione sul ddl n.
46/XV
(Quarta Commissione
Permanente Provincia Autonoma di Trento)
“Integrazioni della legge provinciale sulle
politiche sociali e della legge provinciale sulla tutela della salute in
materia di carte dei servizi e di servizi a favore dei minori”
Dr. Massimo Rosselli del Turco
Delegato per la Tutela dei Diritti dei Minori della città di Mentana
“Ogni volta che la vita di un cittadino viene
spezzata senza motivo da un altro cittadino. Ogni volta che viene lacerato quel
tessuto vitale che un altro uomo ha dolorosamente e faticosamente intrecciato,
per se stesso e per i suoi figli. Ogni volta che questo accade l’intera nazione
ne resta umiliata.”[1]
Oramai da tempo
si sentiva il bisogno in provincia di stabilire delle modalità precise, dei
percorsi ben definiti per i Minori che sono allontanati dalla propria famiglia
naturale o da un genitore.
I miei studi,
da cui prendono piede gli emendamenti in oggetto, sono nati per evitare la prassi
oramai ingenerata di una incredibile semplificazione delle procedure
istruttorie che spesso hanno portato a situazioni tragiche di bambini
allontanati indebitamente, di famiglie distrutte per la perdita dei propri
figli e al contrario, alla non
accoglienza dei minori che invece avrebbero avuto bisogno di protezione da
parte delle istituzioni.
Una disamina
attenta del fenomeno dell’allontanamento dei minori dalle famiglie evidenzia
quindi criticità inequivocabili: una situazione che possiamo definire “a
macchia di leopardo”, con enormi variazioni nel tempo e nello spazio
razionalmente inspiegabili che stanno a definire la totale assenza di linee
guida condivise. Ovviamente questa situazione apre la porta a possibili
arbitrii degli operatori, non legati a protocolli ufficiali.
Linee guida condivise quindi, ma non solo:
La carta dei Servizi Sociali
“La Carta dei Servizi è il documento con il quale ogni ente erogatore di
servizi assume una serie di impegni nei confronti della propria utenza riguardo
i propri servizi’, le modalità di erogazione di questi, gli standard di qualità
e informa l’utente sulle modalità di tutela previste. L’introduzione di questa
Carta come strumento di tutela per i cittadini si ha con la Direttiva del
presidente del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994 "Principi
sull’erogazione dei servizi pubblici".
Successivamente, con D.L. n.163 del 12 maggio 1995 convertito nella Legge
n.273 dell’11 luglio u.s., “Misure urgenti per la semplificazione dei
procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell’efficienza delle P.A.”
è stata dettata la disciplina procedurale per il miglioramento della qualità
dei servizi, demandando al Presidente del Consiglio dei Ministri di fissare,
con proprio provvedimento, gli schemi generali di riferimento delle relative carte.
Nella Carta dei
Servizi l’Ente dichiara quali servizi intende erogare, le modalità e gli standard
di qualità che intende garantire e si impegna a rispettare determinati standard
qualitativi e quantitativi, con l’intento di monitorare e migliorare la qualità
del servizio offerto.”
Nel
momento in cui ci si avvicina ad un Servizio Sociale l’utente deve sapere che esiste la Legge
8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali" pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186, che
obbliga tutti gli enti erogatori di “servizi sociali” ad averla e farne pubblicità.
Sono dispensati solamente il sistema previdenziale, quello sanitario e quello
dell’amministrazione della giustizia
Infatti nell’Art.128 del Decreto Legislativo n.112, del 31 marzo 1998 che
ha per oggetto il Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo
1997, n. 59 - al comma 2, si dice che:
“Ai sensi del presente decreto legislativo, per
"servizi sociali" si intendono tutte le attività relative alla
predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di
prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di
bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita,
escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello
sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della
giustizia.”
Da qui
l’esigenza che le amministrazioni degli enti locali la pubblichino e la rendano
visibile per consentire chiarezza nell’operato di chiunque eserciti un Servizio
Sociale.
Qualcuno
potrebbe asserire che spesso ci sono già i regolamenti degli enti che parlano
diffusamente dei diritti dei cittadini, ma non dobbiamo fare confusione.
La Carta dei
Servizi Sociali deve descrivere la realtà ad oggi e dovrebbe essere sempre aggiornata.
È un’entità “viva”, mentre i Regolamenti, in genere, durano negli anni.
Ad es. il
Regolamento per l’erogazione dell’assistenza economica a favore di persone bisognose
e/o a rischio di emarginazione dei comuni del Distretto RM/G1 – Fonte Nuova –
Mentana – Monterotondo, dove risiedo io, è stato approvato con delibera del
Consiglio Comunale nel 2005 cosi recita. Cito testualmente : “ad ogni assistito
impegnato sarà erogato il contributo previsto, la cui entità non potrà superare
la somma di euro 350,00= al mese” Mi chiedo, se veramente lo fosse, le 350 euro
al mese dopo 11 anni hanno lo stesso valore?
Faccio un altro
esempio: una famiglia della mia cittadina di Mentana che chiede un affido temporaneo consensuale
ai Servizi Sociali deve sapere che in questo momento non è possibile che il
loro bambino sia affidato ad una famiglia ma verrà immesso solamente in una
comunità perché, per quanto ne so,al momento non ci sono famiglie affidatarie.
Nella Carta dei Servizi è oramai sentita sempre più anche l’esigenza di
tutelare i minori in affidamento attraverso la definizione chiara delle Comunità di accoglienza dei
minori sul territorio.
L’intento
dell’emendamento è quello di cominciare a definire queste
Comunità così che, una volta definite, si possa essere certi della loro
funzione.
Ogni
Comunità quindi va chiamata con il nome del mestiere che fa e per ognuna di
esse vanno chiariti i compiti e le funzioni.
Nel
Giugno 2013 Il ministro di Giustizia Cancellieri e il Ministro del Lavoro e
delle Politiche Sociali Giovannini presentarono in Parlamento una “Relazione
sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina
dell’adozione e dell’affidamento di minori, nonché al titolo VIII del libro
primo del codice civile”[2]
in cui fra l’altro si diceva:
“Uno sforzo importante è quello del Nomenclatore che consente tra
l’altro di effettuare comparazioni tra i vari sistemi di protezione locali. A
fronte di una siffatta classificazione degli interventi e dei servizi, incide
maggiormente il vuoto lasciato dalla mancata definizione dei livelli essenziali
delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale. Tale
competenza, come è noto, è rimasta in capo all’autorità centrale all’indomani
delle riforma del titolo V della Costituzione che nel 2001 ha riconosciuto alle
regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di politiche sociali.
L’inadempimento su questo versante ha di fatto allontanato la
possibilità di uniformare in un
quadro nazionale certo e sostenibile le politiche sociali in senso lato
e quindi anche quelle dedicate allo sviluppo e al sostegno dei bambini e dei ragazzi.
Le conseguenze di segno negativo sono ormai ampiamente documentate e
denunciate; preme qui ricordare tra queste quelle che hanno maggiormente messo
– e ancora mettono –
a dura prova la tenuta dei servizi degli enti locali:
– il proliferare di sistemi di
tutela diversificati e distinti, con una forte frammentazione
e disuguaglianza regionale e
locale;
– la mancanza di una base certa e
stabilizzata di finanziamento, con la conseguente
marginalizzazione di queste
tematiche e l’erosione sistematica del fondo sociale.
Abbiamo
quindi bisogno di una legislazione regionale che dia una definizione precisa a
questo tipo di strutture e non possiamo certo limitarci ad avere un Decreto
Ministeriale che attraverso un Regolamento definisce solamente“i requisiti minimi strutturali e
organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture
a ciclo residenziale semiresidenziale”[3]
Le U.C.M. (Unità di Consulenza Multiprofessionale)
Un ulteriore
problema che ho pensato di definire nei miei studi e che viene riportato nel
DDL è la tutela del minore quando si decide di allontanarlo dalla propria
famiglia. Da qui l’idea della
creazione delle Unità di Consulenza Multiprofessionale (U.C.M.), che nasce,
come abbiamo detto, soprattutto dall’ormai improrogabile esigenza di una
maggiore tutela dei minori e delle loro famiglie, tutela oggi gestita quasi
sempre da singole professionalità non sempre all’altezza del loro compito e
spesso addirittura discriminanti nei loro confronti.
L’esigenza
di un giudizio serio e professionale sulle condizioni di vita dei minori e i
successivi provvedimenti che eventualmente dovranno essere presi per la loro
messa in sicurezza, mi ha spinto ad immaginare delle” multi professionalità”
che, congiuntamente e con responsabilità comuni, possano dare agli utenti la
certezza di una valutazione efficace della loro situazione attuale e una
garanzia per un armonico sviluppo psicofisico del loro futuro.
Ogni
volta che lo Stato deve gestire la vita di un minore questi dovrà essere preso
automaticamente in carico da una U.C.M. per avere un’ulteriore particolare
tutela multidisciplinare.
Presso la
Provincia autonoma di Trento dovranno quindi formarsi Unità di Consulenza
Multidisciplinari (U.C.M.) che andranno a integrare i Consultori Familiari
delle A.S.L.
Le U.C.M. avranno quindi in particolare una funzione di
supporto, di consulenza e programmazione
socio-sanitaria per i Comuni, Provincie Autonome e Regioni [4] e soprattutto di
aiuto o di sostituzione delle figure professionali che lavorano per i minori
Voglio
infine far notare che anche il Parlamento Italiano, dopo i miei studi e la loro
divulgazione alla Provincia di Trento dal Centro Antiviolenza Bigenitoriale onlus
sfociata nel DDL di cui si parla, ha cominciato a proporre progetti di tutela
minori con l’ausilio di multiprofessionalità.
Con il
Parlamento anche gli stessi Servizi Sociali hanno presentato nel novembre 2015 le
loro nuove linee guida per la tutela degli allontanamenti dei minori dalle loro
famiglie che parlano di multiprofessionalità
Da
“Processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie” Ordine
degli Assistenti Sociali – Consiglio Nazionale:
“[……] L’intervento a protezione di bambini/adolescenti [……] non può essere
condotto da un solo operatore o comunque da un’unica figura professionale.
Occorre la condivisione, garantita dal lavoro di equipe [……] Vanno
quindi valorizzate ed implementate
nei servizi territoriali sociali e
sanitari la formazione e la supervisione che devono essere comuni anche con
altri soggetti coinvolti e rappresentare lo spazio condiviso per la costruzione
di interventi integrati, multiprofessionali, multidisciplinari e di rete.”
Voglio
subito sottolineare l’importanza e il valore etico di ciò che dice il Consiglio
Nazionale dell’ Ordine degli Assistenti Sociali –con la frase “Vanno
quindi valorizzate ed implementate nei servizi territoriali sociali e sanitari”
perché sottolineano chiaramente che portando le multiprofessionalità (U.C.M)
nell’ambito sanitario implicitamente e con grande lungimiranza ribadiscono la responsabilità che hanno avuto
con queste recenti linee guida nel venire incontro ai cittadini e ai loro figli
che spesso si trovano nell’impossibilità di far fronte alle molteplici spese
che devono affrontare soprattutto nell’ambito delle CTU e delle CTP
Infatti queste perizie, portate
nell’ambito sanitario potrebbero, essendo in gran parte proprio valutazioni
sanitarie, essere tranquillamente pagate con il foglio rosa come una qualsiasi
prestazione sanitaria.
E non mi
si venga a dire che le persone poco abbienti possono usufruire del gratuito
patrocinio in quanto viene concesso a coloro che possiedono un reddito
imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi non superiore a
11,521,41 euro. Sappiamo infatti che solamente una CTU decisa dal giudice e
quindi obbligatoria costa circa 3.000 euro e una CTP altrettanto. Con l’inclusione
dei probabili test si arriva ad una spesa di circa 5.500 euro (1500 CTU +3000 CTP+1000
test). Spesa solamente iniziale nei giudizi non sopportabile nemmeno da chi
supera gli 11.500 euro. Se poi aggiungiamo le spese legali si capisce quanto
potrebbero far comodo che queste prestazioni peritali siano portate in ambito
sanitario.
La multiprofessionalità nelle
ASL, poi, garantirebbe la inveterata tentazione, come hanno recentemente
peraltro parlato i nostri mass-media di chiamare a periziare. sempre le stesse
figure professionali.
L’importanza
delle linee guida deliberate dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli
Assistenti Sociali libera una volta per tutte l’operatore anche dal sospetto di
esprimere un giudizio di valore sulle persone sulle quali deve relazionare.
Infatti il suo stesso codice deontologico glielo vieta nella parte Titolo II –
Principi – Art.9, che così si esprime
“[……] Nell’esercizio delle proprie funzioni l’assistente sociale, consapevole
delle proprie
convinzioni e appartenenze personali, non esprime giudizi di valore
sulle persone
in base ai loro comportamenti.”
Se tutto ci non bastasse, il
testo di queste linee guida così continua nella parte dedicata alla “regolazione dei processi di sostegno e
allontanamento del minore” quando elenca gli articoli che parlano degli
elementi da tenere in considerazione:
Art.9
Gli operatori che materialmente eseguono il provvedimento di allontanamento
devono essere specializzati. È
necessario prevedere una equipe stabile multi-professionale per accompagnare
l’evento di allontanamento, possibilmente composta da professionisti
diversi da quelli che hanno in carico il minore e la famiglia.
Art.10.
“Le equipe multidisciplinare
vanno coinvolte per il sostegno e l’accompagnamento in comunità [……].”
Quindi, per concludere, sono gli stessi operatori del Sociale
che auspicano e sponsorizzano decisamente la “multiprofessionalità” e “l’ambito
sanitario”.
Chi
quindi, mi chiedo, è bene ascoltare, al di la degli interessi di parte, come coloro
che sono i protagonisti e i garanti del nostro Sociale?
Nei
successivi regolamenti auspicherei, fra le altre cose, che tutte le U.C.M. siano
in rete fra di loro, con i Ministeri competenti, con L’Ufficio del Garante
Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, con L’Osservatorio Nazionale per
l’Infanzia e l’Adolescenza, con la Commissione per l’Infanzia e l’Adolescenza,
con l’Istituto di Statistica, con Le Procure e i Tribunali, con le Regioni, le
Provincie e i Comuni. Tutti saranno nel contempo fruitori e fornitori di
informazioni. I dati saranno centralizzati in un Data Base al quale
potranno accedere con una password
dedicata tutti coloro che ne saranno autorizzati.
Oltre
alle informazioni saranno in rete anche i corsi a distanza (distance learning) per La “Formazione
Continua” di tutti i professionisti coinvolti gli aggiornamenti culturali nel
lavoro delle U.C.M.
I membri
della U.C.M. che sono uno o più per ogni disciplina andranno di volta in volta
a comporre l’Unità di Consulenza Multidisciplinare specifica. Tutti i singoli
membri dell’U.C.M. devono avere anche una preparazione forense.
La
quantità dei membri dell’U.C.M. deve essere programmata in base ai singoli
bisogni distrettuali.
Nei Regolamenti successivi vedo come coordinatore pedagogico dei Servizi
educativi rivolti all'infanzia il
cosiddetto “Facilitatore Sociale” figura ora inesistente in Italia ma già
conosciuto nei paesi anglosassoni , figura importante affinché vi sia
allineamento tra le diverse professionalità delle U.C.M.
L’azione del facilitatore è volta a creare un
livello di professionalità integrato.
Non è sufficiente che i diversi professionisti accostino le rispettive
azioni: sulla base di codici, categorie concettuali, linguaggio e strumenti
comuni occorre creare un livello di professionalità sovraordinato
caratterizzato da integrazione piuttosto che da giustapposizione (altrimenti il
rischio è che si verifichi una collisione di competenze piuttosto che una reale
collaborazione sinergica).
Tale azione di integrazione e sinergia tra le
diverse professionalità deve necessariamente essere svolta da una figura
esterna, come appunto quella di “facilitatore”, che non fa parte del team (onde
evitare possibili conflitti di interesse sul piano professionale) ma ha
semplicemente il compito di crearlo (ed eventualmente di ricompattarlo nel
corso del tempo), come avviene in ambito aziendale nel caso del team building.
Vorrei concludere che la Provincia Autonoma di
Trento, antesignana di una proposta di legge moderna che sta per essere
proposta anche in Parlamento, dopo che anche gli Assistenti Sociali,
protagonisti del lavoro volto alla protezione dei minori hanno deliberato nelle
loro linee guida parlando di Multiprofessionalità, non si faccia sfuggire
l’occasione di trasformare in legge questi emendamenti che la proporrebbero
all’attenzione dell’opinione pubblica italiana come la prima ad aver stabilito
corrette e certe regole di tutela dei diritti dei minori in affidamento.
[1]Robert Fritzgerald Kennedy ripresa da: http://www.dillinger.it/la-violenza-delle-istituzioni-38938.html
[3] D.M. n.308 del 21 maggio 2001
[4] Vedi: http://www.ccssconsorzio.it/files/scheda_legge_328_2000.pdf
, Scheda Sintetica Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" pag
5. “Le Regioni dovranno programmare e coordinare gli interventi sociali,
spingere verso l'integrazione degli interventi sanitari, sociali, formativi e
di inserimento lavorativo, stabilire i criteri di accreditamento e vigilare
sulle strutture e i servizi sia pubblici che privati, costituire un albo dei
soggetti autorizzati a svolgere le funzioni indicate dalla normativa, stabilire
la qualità delle prestazioni, determinare i livelli di partecipazione alla
spesa da parte degli utenti, finanziare e programmare la formazione degli
operatori.”
[5] Vedi: http://www.ccssconsorzio.it/files/scheda_legge_328_2000.pdf
, Scheda Sintetica Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" pag
5. “I Comuni sono gli organi
amministrativi che gestiscono e coordinano le iniziative per realizzare il
"sistema locale della rete di servizi sociali". In questo, i Comuni
devono coinvolgere e cooperare con le strutture sanitarie, con gli altri enti
locali e con le associazioni dei
cittadini.”