venerdì 3 giugno 2016

Relazione sul ddl n. 46/XV

(Quarta Commissione Permanente Provincia Autonoma di Trento)

“Integrazioni della legge provinciale sulle politiche sociali e della legge provinciale sulla tutela della salute in materia di carte dei servizi e di servizi a favore dei minori”

Dr.  Massimo Rosselli del Turco
Delegato per la Tutela dei Diritti dei Minori della città di Mentana

“Ogni volta che la vita di un cittadino viene spezzata senza motivo da un altro cittadino. Ogni volta che viene lacerato quel tessuto vitale che un altro uomo ha dolorosamente e faticosamente intrecciato, per se stesso e per i suoi figli. Ogni volta che questo accade l’intera nazione ne resta umiliata.[1]
Oramai da tempo si sentiva il bisogno in provincia di stabilire delle modalità precise, dei percorsi ben definiti per i Minori che sono allontanati dalla propria famiglia naturale o da un genitore.
I miei studi, da cui prendono piede gli emendamenti in oggetto, sono nati per evitare la prassi oramai ingenerata di una incredibile semplificazione delle procedure istruttorie che spesso hanno portato a situazioni tragiche di bambini allontanati indebitamente, di famiglie distrutte per la perdita dei propri figli  e al contrario, alla non accoglienza dei minori che invece avrebbero avuto bisogno di protezione da parte delle istituzioni.
Una disamina attenta del fenomeno dell’allontanamento dei minori dalle famiglie evidenzia quindi criticità inequivocabili: una situazione che possiamo definire  “a macchia di leopardo”, con enormi variazioni nel tempo e nello spazio razionalmente inspiegabili che stanno a definire la totale assenza di linee guida condivise. Ovviamente questa situazione apre la porta a possibili arbitrii degli operatori, non legati a protocolli ufficiali.
Linee guida condivise quindi, ma non solo:

La carta dei Servizi Sociali

“La Carta dei Servizi è il documento con il quale ogni ente erogatore di servizi assume una serie di impegni nei confronti della propria utenza riguardo i propri servizi’, le modalità di erogazione di questi, gli standard di qualità e informa l’utente sulle modalità di tutela previste. L’introduzione di questa Carta come strumento di tutela per i cittadini si ha con la Direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994 "Principi sull’erogazione dei servizi pubblici".
Successivamente, con D.L. n.163 del 12 maggio 1995 convertito nella Legge n.273 dell’11 luglio u.s., “Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell’efficienza delle P.A.” è stata dettata la disciplina procedurale per il miglioramento della qualità dei servizi, demandando al Presidente del Consiglio dei Ministri di fissare, con proprio provvedimento, gli schemi generali di riferimento delle relative carte.
Nella Carta dei Servizi l’Ente dichiara quali servizi intende erogare, le modalità e gli standard di qualità che intende garantire e si impegna a rispettare determinati standard qualitativi e quantitativi, con l’intento di monitorare e migliorare la qualità del servizio offerto.”
Nel momento in cui ci si avvicina ad un Servizio Sociale l’utente deve sapere che esiste la Legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186, che obbliga tutti gli enti erogatori di “servizi sociali” ad averla e farne pubblicità. Sono dispensati solamente il sistema previdenziale, quello sanitario e quello dell’amministrazione della giustizia
Infatti nell’Art.128 del Decreto Legislativo n.112, del 31 marzo 1998 che ha per oggetto il Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59 - al comma 2, si dice che:
“Ai sensi del presente decreto legislativo, per "servizi sociali" si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.”
Da qui l’esigenza che le amministrazioni degli enti locali la pubblichino e la rendano visibile per consentire chiarezza nell’operato di chiunque eserciti un Servizio Sociale.
Qualcuno potrebbe asserire che spesso ci sono già i regolamenti degli enti che parlano diffusamente dei diritti dei cittadini, ma non dobbiamo fare confusione.
La Carta dei Servizi Sociali deve descrivere la realtà ad oggi e dovrebbe essere sempre aggiornata. È un’entità “viva”, mentre i Regolamenti, in genere, durano negli anni.
Ad es. il Regolamento per l’erogazione dell’assistenza economica a favore di persone bisognose e/o a rischio di emarginazione dei comuni del Distretto RM/G1 – Fonte Nuova – Mentana – Monterotondo, dove risiedo io, è stato approvato con delibera del Consiglio Comunale nel 2005 cosi recita. Cito testualmente : “ad ogni assistito impegnato sarà erogato il contributo previsto, la cui entità non potrà superare la somma di euro 350,00= al mese” Mi chiedo, se veramente lo fosse, le 350 euro al mese dopo 11 anni hanno lo stesso valore?
Faccio un altro esempio: una famiglia della mia cittadina di Mentana  che chiede un affido temporaneo consensuale ai Servizi Sociali deve sapere che in questo momento non è possibile che il loro bambino sia affidato ad una famiglia ma verrà immesso solamente in una comunità perché, per quanto ne so,al momento non ci sono famiglie affidatarie.
Nella Carta dei Servizi è oramai sentita sempre più anche l’esigenza di tutelare i minori in affidamento attraverso la definizione chiara delle Comunità di accoglienza dei minori sul territorio.
L’intento dell’emendamento  è quello di cominciare a definire queste Comunità così che, una volta definite, si possa essere certi della loro funzione.
Ogni Comunità quindi va chiamata con il nome del mestiere che fa e per ognuna di esse vanno chiariti i compiti e le funzioni.
Nel Giugno 2013 Il ministro di Giustizia Cancellieri e il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giovannini presentarono in Parlamento una “Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell’adozione e dell’affidamento di minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”[2] in cui fra l’altro si diceva:
“Uno sforzo importante è quello del Nomenclatore che consente tra l’altro di effettuare comparazioni tra i vari sistemi di protezione locali. A fronte di una siffatta classificazione degli interventi e dei servizi, incide maggiormente il vuoto lasciato dalla mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale. Tale competenza, come è noto, è rimasta in capo all’autorità centrale all’indomani delle riforma del titolo V della Costituzione che nel 2001 ha riconosciuto alle regioni la potestà legislativa esclusiva in materia di politiche sociali.
L’inadempimento su questo versante ha di fatto allontanato la possibilità di uniformare in un
quadro nazionale certo e sostenibile le politiche sociali in senso lato e quindi anche quelle dedicate allo sviluppo e al sostegno dei bambini e dei ragazzi.
Le conseguenze di segno negativo sono ormai ampiamente documentate e denunciate; preme qui ricordare tra queste quelle che hanno maggiormente messo – e ancora mettono –
a dura prova la tenuta dei servizi degli enti locali:
– il proliferare di sistemi di tutela diversificati e distinti, con una forte frammentazione
e disuguaglianza regionale e locale;
– la mancanza di una base certa e stabilizzata di finanziamento, con la conseguente
marginalizzazione di queste tematiche e l’erosione sistematica del fondo sociale.
Abbiamo quindi bisogno di una legislazione regionale che dia una definizione precisa a questo tipo di strutture e non possiamo certo limitarci ad avere un Decreto Ministeriale che attraverso un Regolamento definisce solamente“i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale  semiresidenziale”[3]

Le U.C.M. (Unità di Consulenza Multiprofessionale)
Un ulteriore problema che ho pensato di definire nei miei studi e che viene riportato nel DDL è la tutela del minore quando si decide di allontanarlo dalla propria famiglia. Da qui l’idea della creazione delle Unità di Consulenza Multiprofessionale (U.C.M.), che nasce, come abbiamo detto, soprattutto dall’ormai improrogabile esigenza di una maggiore tutela dei minori e delle loro famiglie, tutela oggi gestita quasi sempre da singole professionalità non sempre all’altezza del loro compito e spesso addirittura discriminanti nei loro confronti.
L’esigenza di un giudizio serio e professionale sulle condizioni di vita dei minori e i successivi provvedimenti che eventualmente dovranno essere presi per la loro messa in sicurezza, mi ha spinto ad immaginare delle” multi professionalità” che, congiuntamente e con responsabilità comuni, possano dare agli utenti la certezza di una valutazione efficace della loro situazione attuale e una garanzia per un armonico sviluppo psicofisico del loro futuro.  
Ogni volta che lo Stato deve gestire la vita di un minore questi dovrà essere preso automaticamente in carico da una U.C.M. per avere un’ulteriore particolare tutela multidisciplinare.
Presso la Provincia autonoma di Trento dovranno quindi formarsi Unità di Consulenza Multidisciplinari (U.C.M.) che andranno a integrare i Consultori Familiari delle A.S.L.
Le U.C.M. avranno quindi in particolare una funzione di supporto, di consulenza e programmazione socio-sanitaria per i Comuni, Provincie Autonome e Regioni [4] e soprattutto di aiuto o di sostituzione delle figure professionali che lavorano per i minori
Voglio infine far notare che anche il Parlamento Italiano, dopo i miei studi e la loro divulgazione alla Provincia di Trento dal Centro Antiviolenza Bigenitoriale onlus sfociata nel DDL di cui si parla, ha cominciato a proporre progetti di tutela minori con l’ausilio di  multiprofessionalità.
Con il Parlamento anche gli stessi Servizi Sociali hanno presentato nel novembre 2015 le loro nuove linee guida per la tutela degli allontanamenti dei minori dalle loro famiglie che parlano di multiprofessionalità
Da “Processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie” Ordine degli Assistenti Sociali – Consiglio Nazionale:
“[……] L’intervento a protezione di bambini/adolescenti [……] non può essere condotto da un solo operatore o comunque da un’unica figura professionale. Occorre la condivisione, garantita dal lavoro di equipe [……] Vanno quindi valorizzate ed implementate nei servizi territoriali sociali e sanitari la formazione e la supervisione che devono essere comuni anche con altri soggetti coinvolti e rappresentare lo spazio condiviso per la costruzione di interventi integrati, multiprofessionali, multidisciplinari e di rete.”
Voglio subito sottolineare l’importanza e il valore etico di ciò che dice il Consiglio Nazionale dell’ Ordine degli Assistenti Sociali –con la frase “Vanno quindi valorizzate ed implementate nei servizi territoriali sociali e sanitari” perché sottolineano chiaramente che portando le multiprofessionalità (U.C.M) nell’ambito sanitario implicitamente e con grande lungimiranza  ribadiscono la responsabilità che hanno avuto con queste recenti linee guida nel venire incontro ai cittadini e ai loro figli che spesso si trovano nell’impossibilità di far fronte alle molteplici spese che devono affrontare soprattutto nell’ambito delle CTU e delle CTP
Infatti queste perizie, portate nell’ambito sanitario potrebbero, essendo in gran parte proprio valutazioni sanitarie, essere tranquillamente pagate con il foglio rosa come una qualsiasi prestazione sanitaria.
E non mi si venga a dire che le persone poco abbienti possono usufruire del gratuito patrocinio in quanto viene concesso a coloro che possiedono un reddito imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi non superiore a 11,521,41 euro. Sappiamo infatti che solamente una CTU decisa dal giudice e quindi obbligatoria costa circa 3.000 euro e una CTP altrettanto. Con l’inclusione dei probabili test si arriva ad una spesa di circa 5.500 euro (1500 CTU +3000 CTP+1000 test). Spesa solamente iniziale nei giudizi non sopportabile nemmeno da chi supera gli 11.500 euro. Se poi aggiungiamo le spese legali si capisce quanto potrebbero far comodo che queste prestazioni peritali siano portate in ambito sanitario.
La multiprofessionalità nelle ASL, poi, garantirebbe la inveterata tentazione, come hanno recentemente peraltro parlato i nostri mass-media di chiamare a periziare. sempre le stesse figure professionali.
L’importanza delle linee guida deliberate dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali libera una volta per tutte l’operatore anche dal sospetto di esprimere un giudizio di valore sulle persone sulle quali deve relazionare. Infatti il suo stesso codice deontologico glielo vieta nella parte Titolo II – Principi – Art.9, che così si esprime
“[……] Nell’esercizio delle proprie funzioni l’assistente sociale, consapevole delle proprie
convinzioni e appartenenze personali, non esprime giudizi di valore sulle persone
in base ai loro comportamenti.
Se tutto ci non bastasse, il testo di queste linee guida così continua nella parte dedicata alla “regolazione dei processi di sostegno e allontanamento del minore” quando elenca gli articoli che parlano degli elementi da tenere in considerazione:
Art.9
Gli operatori che materialmente eseguono il provvedimento di allontanamento devono essere specializzati. È necessario prevedere una equipe stabile multi-professionale per accompagnare l’evento di allontanamento, possibilmente composta da professionisti diversi da quelli che hanno in carico il minore e la famiglia.
Art.10.
Le equipe multidisciplinare vanno coinvolte per il sostegno e l’accompagnamento in comunità [……].”
Quindi, per concludere, sono gli stessi operatori del Sociale che auspicano e sponsorizzano decisamente la “multiprofessionalità” e “l’ambito sanitario”.
Chi quindi, mi chiedo, è bene ascoltare, al di la degli interessi di parte, come coloro che sono i protagonisti e i garanti del nostro Sociale?
Nei successivi regolamenti auspicherei, fra le altre cose, che tutte le U.C.M. siano in rete fra di loro, con i Ministeri competenti, con L’Ufficio del Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, con L’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, con la Commissione per l’Infanzia e l’Adolescenza, con l’Istituto di Statistica, con Le Procure e i Tribunali, con le Regioni, le Provincie e i Comuni. Tutti saranno nel contempo fruitori e fornitori di informazioni. I dati saranno centralizzati in un Data Base al quale potranno  accedere con una password dedicata tutti coloro che ne saranno autorizzati.
Oltre alle informazioni saranno in rete anche i corsi a distanza (distance learning) per La “Formazione Continua” di tutti i professionisti coinvolti gli aggiornamenti culturali nel lavoro delle U.C.M.
I membri della U.C.M. che sono uno o più per ogni disciplina andranno di volta in volta a comporre l’Unità di Consulenza Multidisciplinare specifica. Tutti i singoli membri dell’U.C.M. devono avere anche una preparazione forense.
La quantità dei membri dell’U.C.M. deve essere programmata in base ai singoli bisogni distrettuali.
Nei Regolamenti successivi vedo come coordinatore pedagogico dei Servizi educativi rivolti all'infanzia il cosiddetto “Facilitatore Sociale” figura ora inesistente in Italia ma già conosciuto nei paesi anglosassoni , figura importante affinché vi sia allineamento tra le diverse professionalità delle U.C.M.
L’azione del facilitatore è volta a creare un livello di professionalità integrato.
Non è sufficiente che i diversi professionisti accostino le rispettive azioni: sulla base di codici, categorie concettuali, linguaggio e strumenti comuni occorre creare un livello di professionalità sovraordinato caratterizzato da integrazione piuttosto che da giustapposizione (altrimenti il rischio è che si verifichi una collisione di competenze piuttosto che una reale collaborazione sinergica).
Tale azione di integrazione e sinergia tra le diverse professionalità deve necessariamente essere svolta da una figura esterna, come appunto quella di “facilitatore”, che non fa parte del team (onde evitare possibili conflitti di interesse sul piano professionale) ma ha semplicemente il compito di crearlo (ed eventualmente di ricompattarlo nel corso del tempo), come avviene in ambito aziendale nel caso del team building.
Vorrei concludere che la Provincia Autonoma di Trento, antesignana di una proposta di legge moderna che sta per essere proposta anche in Parlamento, dopo che anche gli Assistenti Sociali, protagonisti del lavoro volto alla protezione dei minori hanno deliberato nelle loro linee guida parlando di Multiprofessionalità, non si faccia sfuggire l’occasione di trasformare in legge questi emendamenti che la proporrebbero all’attenzione dell’opinione pubblica italiana come la prima ad aver stabilito corrette e certe regole di tutela dei diritti dei minori in affidamento.





[1]Robert Fritzgerald Kennedy ripresa da: http://www.dillinger.it/la-violenza-delle-istituzioni-38938.html    
[3] D.M. n.308 del 21 maggio 2001
[4] Vedi: http://www.ccssconsorzio.it/files/scheda_legge_328_2000.pdf , Scheda Sintetica Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" pag 5. “Le Regioni dovranno programmare e coordinare gli interventi sociali, spingere verso l'integrazione degli interventi sanitari, sociali, formativi e di inserimento lavorativo, stabilire i criteri di accreditamento e vigilare sulle strutture e i servizi sia pubblici che privati, costituire un albo dei soggetti autorizzati a svolgere le funzioni indicate dalla normativa, stabilire la qualità delle prestazioni, determinare i livelli di partecipazione alla spesa da parte degli utenti, finanziare e programmare la formazione degli operatori.”
[5] Vedi: http://www.ccssconsorzio.it/files/scheda_legge_328_2000.pdf , Scheda Sintetica Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" pag 5. “I Comuni sono gli organi amministrativi che gestiscono e coordinano le iniziative per realizzare il "sistema locale della rete di servizi sociali". In questo, i Comuni devono coinvolgere e cooperare con le strutture sanitarie, con gli altri enti locali e con le associazioni dei cittadini.”