Minori a rischio
(Primo prevenire)
La
vulnerabilità delle famiglie
La vulnerabilità delle famiglie e quindi dei minori
oggi non è soltanto un problema delle famiglie stesse, quanto un problema
delle condizioni sociali, economiche e culturali che contribuiscono a
generarla, attraverso il cosiddetto “circolo dello svantaggio sociale”:
·
la bassa istruzione genera bassa
occupazione;
· la bassa
occupazione basso reddito; il basso reddito, e quindi la condizione di povertà
economica, genera povertà educativa e sociale
I bambini spesso arrivano a scuola in evidenti
condizioni di disuguaglianza, come dimostra, fra l’altro, l’alta incidenza di minori
con bisogni educativi speciali (BES).
Per queste ragioni l’approccio all’intervento sulla
vulnerabilità serve per costruire una reale possibilità per questi bambini nei
primi mille giorni di vita in particolare, e quindi di interrompere il “circolo
dello svantaggio sociale” attraverso l’introduzione di dispositivi quali:
· educativa
domiciliare (home visiting)
· partenariato
fra scuola, famiglia e servizi
e poi, soprattutto:
·
la vicinanza solidale
· i gruppi dei
genitori e dei bambini
Quindi
l’obiettivo è sostenere il loro sviluppo garantendo una più alta qualità
educativa e relazionale nel loro ambiente familiare e sociale, che possa, a sua
volta, contribuire a migliorarne il rendimento scolastico e, conseguentemente,
l’integrazione sociale presente e futura, tramite il rafforzamento delle
risposte genitoriali e sociali ai loro bisogni di sviluppo.
La fascia della vulnerabilità familiare viene così
riconosciuta come uno spazio di speciale opportunità per mettere in campo
interventi efficacemente orientati alla prevenzione della povertà e della
diseguaglianza sociale, come richiesto dalla:
· L.
149/2001,
· da
alcune direttive europee
· dall’Agenda
2030 per lo Sviluppo Sostenibile
· dalla
Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia”[1]
Quale è il pericolo che
corrono i minori quindi
Il pericolo maggiore che oggi riscontriamo, è quello
dell’istituzionalizzazione dei bambini che con l’intento o la scusa di aiutarli
vengono spesso allontanati dalla loro famiglia d’origine creando in loro, oltre
alle problematiche già esistenti quella della perdita di loro punti di
riferimento che sono i loro genitori. “Bibbiano docet”.
Ma vediamo cosa significa
istituzionalizzare un minore oggi, oltre all’allontanamento dai propri genitori
naturali.
L’Art. 2 comma 4 della legge 184/1983 emendata dalla 149/2001 ci dice che
«Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre
2006 mediante affidamento a una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante
inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da
rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”
Quindi deve per prima cosa andare presso i parenti
fino al quarto grado e se non ci sono, cosa supponiamo rara, devono essere
affidati ad una famiglia.
Solamente se non ci sono famiglie affidatarie questo
bambino può alloggiare in una comunità “Familiare per minori” che quindi
deve avere le caratteristiche peculiari di una famiglia come leggiamo nella “Quinta
relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001 con Periodo di
riferimento 2017-2020”
E
cioè deve essere un:
“Presidio residenziale che accoglie minori di anni
18 gestito da coppie di genitori o da adulti che vi risiedono e possono
ospitare fino a un massimo di 6 minori, compresi gli eventuali figli minorenni
dei titolari. È accordata la precedenza all’accoglienza di bambini di età
inferiore ai 5 anni.” [2]
Purtroppo oggi in Italia circa 35.000 bambini sono
fuori della propria famiglia naturale e circa un 50% nelle comunità che nella
maggior parte (nel 82,3%) non sono nemmeno ti “tipo familiare” come stabilirebbe
la Legge.
A
questo punto questi bambini vanno incontro a grossi problemi fra i quali:
·
Solo il 21,8% (anno 2017) dei bambini
messi fuori della famiglia ritornano dai loro genitori[3]
·
Spesso perdono i contatti con i loro
fratelli che non sono nella stessa struttura o famiglia. Il 60% non si incontra
almeno una volta alla settimana e il 75% non si incontra più volte al mese. In alcuni casi i rapporti si fanno
però più rarefatti: per il 18% dei bambini gli incontri si riducono ad alcune
volte durante l’anno, ma il 18% perde quasi del tutto i contatti con i
fratelli.”[4]
·
A volte i minori stranieri non
accompagnati finiscono in comunità non autorizzate.
·
A volte in comunità addirittura abusive[6] nelle quali, a detta anche del
procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e
della Valle D’Aosta, Anna Maria Baldelli in audizione in Commissione infanzia
nell'ambito di altra indagine conoscitiva in materia di prostituzione minorile.
venivano perpetrati reati di vario tipo ai danni dei minorenni ospitati.
·
Molti dei minori immessi nelle comunità
vanno verso una “destinazione ignota” come la chiama il Ministero delle
Politiche Sociali, cioè scappano o si rendono introvabili: Nel primo semestre
del 2022 non sono stati ritrovati il 41,1% degli italiani e il 70% degli
stranieri giunti in Italia[7]
· Ua
volta immessi in comunità a volte ci rimangono per sempre o comunque oltre i
due anni consentiti dalla legge 184 e segg. che stabilisce che il termine
massimo di permanenza di un minore in affidamento fuori famiglia dovrebbe
essere di 2 anni a cui si potrebbe derogare solamente in casi particolari
documentati dal servizio sociale. Bene in Italia nel 2019 i minori rimangono
oltre i 24 mesi per l’affidamento familiare per il 67,1%[8]dei casi e per l’affidamento
in comunità per il 21,2%[9] con
punte in Campania del 69,1%[10]
Queste
sono solamente alcune delle notizie che vi rimando senza raccontarvi cosa ho
visto personalmente come:
·
Dopo due ore informali di intervista di
una psichiatra con una madre, la CTU chiede al giudice di allontanarne
urgentemente un bambino.
·
Bambini allontanati su una presunzione di
pericolosità di una madre, quando questa pericolosità dovrebbe essere certa.
·
Bambini appena nati messi in comunità e
non presso una famiglia affidataria.
·
Bambini mandati a curarsi in reparti
psichiatrici per grandi.
·
Bambini allontanati perché la famiglia è
povera, cosa vietata dall’articolo 1 comma 2 della legge 184 e segg.
emendamenti.
·
Invece di allontanare il padre violento si
allontanano e sono immessi in una comunità cinque bambini e la madre.
·
La CTU chiede e il giudice sottoscrive che
una madre «pericolosa per la stessa incolumità psicofisica della figlia» possa
fare contemporaneamente incontri «protetti» e «non protetti»
Quali quindi sono le cure
Sicuramente i Servizi Sociali direte voi, ma non
sempre questa è la cura purtroppo “Bibbiano docet” e allora? Allora vi esorto a leggere integralmente un interessantissimo articolo della dr.ssa e assistente sociale Ida Canino, ripreso dal sito
“Assistenti Sociali.org” (Legge quadro 328/2000: Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (assistentisociali.org) su come deve essere interpretata la Legge Quadro
328/2000. È molto importante leggerlo attentamente e meditare poter
attuare le direttive di questa fondamentale legge e organizzare un
lavoro organico.
Una rete di
famiglie, quindi, fare gruppo, avere disponibilità ad aiutare chi ne ha più bisogno,
ognuno come può e quando può, ognuno nel suo campo di professionalità o
semplicemente una disponibilità di tempo per il fratello che ne ha bisogno, “fratelli
tutti” come argomenta Papa Francesco.