Riportiamo integralmente questo interessantissimo articolo della dr.ssa Ida Canino, ripreso dal sito “Assistenti Sociali.org” su come deve essere interpretata la Legge Quadro 328/2000. È molto importante leggerlo attentamente e meditare poter attuare le direttive di questa fondamentale legge e organizzare un lavoro organico.
Come constaterete questo articolo non è rivolto solamente agli Assistenti Sociali, ma anche a tutti quei soggetti che devono affiancarsi a loro per l'attuazione di Politiche Sociali corrette ed efficaci.
“Le politiche sociali dopo la
L 328/2000
Le moderne politiche
sociali, dopo la L. 328 del 2000, si stanno quindi orientando verso quella che
è definita Community Care, concetto-guida già dato per scontato nei welfare di
tutti gli altri stati occidentali. Per community care si intende quel completo
ripensamento del sistema di interventi e servizi sociali in vista della
realizzazione di politiche per la comunità e da parte della comunità stessa
cioè orientato alla creazione di una “caring society”. Primo principio della
community care è quindi la presa in carico della comunità da parte della
comunità in tutti i suoi elementi attraverso l’intreccio di questi aiuti
informali spontanei. Poiché però questi aiuti difficilmente si attivano al di
là della cerchia ristretta delle reti più immediate quali la famiglia, bisogna
promuovere anche la partecipazione, che non può più essere pensata come
residuale o integrativa, del privato sociale (cooperative sociali, associazioni
di volontariato e di auto e mutuo aiuto).
Nuove competenze
vengono quindi richieste all’operatore che deve concentrare la sua
disponibilità operativa in un dato territorio provvedendo alle necessità della
comunità di quel territorio attraverso il raccordo di una pluralità di apporti
e di risorse locali. In particolare l’A.S. deve essere capace di lavorare in
rete con altri servizi (dalla AUSL al privato sociale) e professionisti
(psicologi, educatori, medici…) e saper realizzare “pacchetti” di servizi in
un’ottica di rete cioè coinvolgendo le reti formali (parenti, amici, vicini di
casa, colleghi di lavoro…) e informali.
Con la legge 328 del
2000 si realizza quindi il passaggio da una programmazione che utilizzava una
prospettiva di tipo “government” in cui era il soggetto pubblico a prendere
decisioni (a governare), a una prospettiva di tipo “governance” in cui il governo
si realizza grazie alla mobilitazione di una serie di soggetti (pubblici, di
privato sociale e della società civile).
Il concetto di
Governance implica l’idea che il raggiungimento di un obiettivo è frutto
dell’azione autonoma, ma non isolata, dei diversi attori - Stato, Regioni,
Province, Enti locali, Terzo settore e privati - che debbono/possono dare un
contributo al processo di attuazione delle politiche sociali.
La partecipazione
attiva degli attori sopracitati è resa possibile dall’avvenuta
decentralizzazione e/o la tendenza al decentramento istituzionale della
politica stessa, in una logica di governo non più gerarchico ma declinato
territorialmente che crea le condizioni per la loro azione”[1]
A cura di:
Ida Canino