lunedì 11 marzo 2024


 
Riportiamo integralmente questo interessantissimo articolo della dr.ssa Ida Canino, ripreso dal sito “Assistenti Sociali.org” su come deve essere interpretata la Legge Quadro 328/2000. È molto importante leggerlo attentamente e meditare poter attuare le direttive di questa fondamentale legge e organizzare un lavoro organico. 

Come constaterete questo articolo non è rivolto solamente agli Assistenti Sociali, ma anche a tutti quei soggetti che devono affiancarsi a loro per l'attuazione di Politiche Sociali corrette ed efficaci.

“Le politiche sociali dopo la L 328/2000

Le moderne politiche sociali, dopo la L. 328 del 2000, si stanno quindi orientando verso quella che è definita Community Care, concetto-guida già dato per scontato nei welfare di tutti gli altri stati occidentali. Per community care si intende quel completo ripensamento del sistema di interventi e servizi sociali in vista della realizzazione di politiche per la comunità e da parte della comunità stessa cioè orientato alla creazione di una “caring society”. Primo principio della community care è quindi la presa in carico della comunità da parte della comunità in tutti i suoi elementi attraverso l’intreccio di questi aiuti informali spontanei. Poiché però questi aiuti difficilmente si attivano al di là della cerchia ristretta delle reti più immediate quali la famiglia, bisogna promuovere anche la partecipazione, che non può più essere pensata come residuale o integrativa, del privato sociale (cooperative sociali, associazioni di volontariato e di auto e mutuo aiuto).

Nuove competenze vengono quindi richieste all’operatore che deve concentrare la sua disponibilità operativa in un dato territorio provvedendo alle necessità della comunità di quel territorio attraverso il raccordo di una pluralità di apporti e di risorse locali. In particolare l’A.S. deve essere capace di lavorare in rete con altri servizi (dalla AUSL al privato sociale) e professionisti (psicologi, educatori, medici…) e saper realizzare “pacchetti” di servizi in un’ottica di rete cioè coinvolgendo le reti formali (parenti, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro…) e informali.

Con la legge 328 del 2000 si realizza quindi il passaggio da una programmazione che utilizzava una prospettiva di tipo “government” in cui era il soggetto pubblico a prendere decisioni (a governare), a una prospettiva di tipo “governance” in cui il governo si realizza grazie alla mobilitazione di una serie di soggetti (pubblici, di privato sociale e della società civile).

Il concetto di Governance implica l’idea che il raggiungimento di un obiettivo è frutto dell’azione autonoma, ma non isolata, dei diversi attori - Stato, Regioni, Province, Enti locali, Terzo settore e privati - che debbono/possono dare un contributo al processo di attuazione delle politiche sociali.

La partecipazione attiva degli attori sopracitati è resa possibile dall’avvenuta decentralizzazione e/o la tendenza al decentramento istituzionale della politica stessa, in una logica di governo non più gerarchico ma declinato territorialmente che crea le condizioni per la loro azione”[1]

A cura di:

Ida Canino

martedì 27 febbraio 2024

 


L’Italia dei “bambini nel vento”

 

 

C’era una volta una famiglia” in Italia, si, forse “c’era una volta”! Sembra l’inizio di una favola, invece è l’inizio di una tragedia, una tragedia tipica italiana che nasce nel nostro paese dove sembra che la democrazia sia solo una facciata di comodo.

Siamo in Europa, ma ci siamo perché non abbiamo alternativa e la nostra Giustizia in molti casi ci rappresenta come un belletto che dopo averci costruiti finti si cancella prima di andare a dormire perché non si dorme truccati.

E noi dormiamo sonni da anni e la Giustizia, come noi italiani, sembra si sia addormentata aspettando tempi migliori.

E intanto? Intanto nessuno, ad esempio, ci parla più da tre anni di più di 35.000 bambini fuori famiglia, bambini che non sono più con i loro genitori naturali, bambini che le nostre Istituzioni hanno deciso che devono vivere con altre persone o addirittura nelle cosiddette Case Famiglia o come si dice più comunemente “Comunità di Accoglienza”.

Ma di cosa ci lamentiamo! in Europa le statistiche ci informano che la percentuale di questi bambini “fuori famiglia” rispetto agli altri paesi è una fra le più basse! Benissimo, ma io vorrei invece sapere come questi bambini ci sono arrivati fuori della propria famiglia, non tanto quanti sono, perché i bambini delle mafie che vanno a spacciare la droga non sono fra questi perché è pericoloso proteggerli e magari fuori famiglia ci sono i figli della povera gente che non può difendersi e che forse non avevano i soldi per un'abitazione decente o per un buon avvocato.  
Vorrei lamentare ancora, se qualcuno mi ascoltasse, che queste notizie poi sono vecchie, perché risalgono al 2021 e ci sono state date dal ministero dopo molti anni di silenzio! L’ho detto tante volte, fin dal 2008 nei convegni alla Camera e al Senato, in conferenza stampa in Parlamento, e persino in audizione in Commissione Infanzia nel 2015, quindi sono agli atti alla Camera dei Deputati. Risultato: tutto tace, nessuna reazione, il morto non sente e non parla! E allora mi domando: "è morto o dorme, o è proprio sordo o è distratto? Domanda platonica che non avrà risposta ma che ostinatamente continuo a ripetere. "Ci sarà un cambiamento e quando?"

Siccome sono una persona testarda continuo a lamentarmi e a denunciare che non solo non abbiamo saputo niente dal 2012 al 2017, ma nel 2017 ci hanno dato notizie già vecchie del 2016, poi quelle del 2019 nel 2021, saltando il 2018, nel 2023 quelle del 2020 e qualche giorno fa quelle del 2021. Da allora non sappiamo più niente, non sappiamo più nemmeno quanti sono, nessuno ci dice da allora come ci sono arrivati fuori della loro famiglia naturale, perché li hanno allontanati, non sappiamo se sono tornati a casa o se girano ancora per le Comunità, se sono oggi tutelati da qualcuno, se sono dimenticati!

Bambini “dispersi nel vento”, come una volta li ho chiamati, bambini in balia dell’approssimazione, del caso, spesso di una Giustizia distratta, senza risorse intellettuali ed economiche, in mano ad alcuni operatori che non hanno voglia, non hanno tempo, non sono motivati, che non credono più nel loro mestiere!

Povera Italia, il paese del “Diritto”, delle “eccellenze”, un paese demotivato da anni di ingiustizie, un paese dove non si va più a votare, dove gran parte dei cittadini non si curano più perché poveri, un paese allo sbando, dove i bambini, quelli che ancora possono, sono lasciati davanti ai videogiochi o alla televisione che li trascina a loro insaputa in un mondo virtuale, dove tutto sembra bello e patinato!

Ma nessuno se ne accorge di questa deriva? Eppure tutti abbiamo letto tanti anni fa la storia di Pinocchio e del “Paese dei Balocchi”, dove i bambini si trasformavano in asinelli. E ora? ora riposano la mente, non pensano proprio più, non devono pensare più! così non danno fastidio, così non si fanno idee sbagliate e non protestano e non protesteranno nemmeno da grandi perché non sanno e non sapranno mai, perché non avranno sogni, non sono abituati a sognare, il mondo virtuale è diventato realtà e tanto basterà loro!

Ed i genitori che si ribellano rischiano di perdere i loro figli. “Ti devi adeguare” mi disse qualcuno una volta, se non ubbidisci è pericoloso!

Ma possibile mi sono chiesto che siamo a questo punto? Sì, certamente è possibile! l’ho letto anche spesso nelle sentenze dei tribunali dove spesso avviene un dialogo del tipo:

Se non fa quello che le diciamo le togliamo i figli e per sempre, quindi zitto e si adeguati alla Legge! ed io sono la Legge!”

“ma sig. Giudice, la Legge non è la sua, ma di tutti! guardi che c’è un errore lei non è soggetto a nessuno ma alla Legge sì! e qui non si può interpretare c’è la documentazione che smentisce le sue argomentazioni!”

“non si preoccupi, la nostra Legge prevede la possibilità di appellarsi, vada in Appello!”

“ma sig. Giudice e intanto mio figlio è fuori casa, con la sua sentenza ci impedisce anche di vederlo e di sentirlo, non sappiamo nemmeno dove è stato messo!” 

Voci nel vento come quella di molti bambini dispersi che non sappiamo più nemmeno dove sono e tutto questo ancora prima della sentenza definitiva che arriverà fra anni quando tutto sarà oramai deciso dai fatti e dalla realtà di una condanna emessa da tempo fuori dei tribunali!

 

 

Massimo Rosselli del Turco

martedì 20 febbraio 2024

 




In Italia alcune regioni ricoverano ancora i minori in affidamento fuori famiglia negli Istituti, oggi vietati da 16 anni (31 dicembre 2006) dalla Legge 149/2001.

Il Quaderno 50 del Ministero di Giustizia e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali che riporta la “Quinta relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001 - Periodo di riferimento 2017-2020” ci dà i dati statistici sui minori in affidamento fuori famiglia dicendoci che questi bambini e adolescenti sono ricoverati in “Comunità o in Istituti.”[1]

La relazione prosegue ricordandoci che la Legge 184/1983 e segg. dice che: “I minorenni temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo possono essere affidati a una famiglia o a una persona singola, oppure, ove ciò non sia possibile, collocati presso una comunità di tipo familiare, caratterizzata da un’organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli tipici di una famiglia. - L’art.2, c. 2 L.184/1983 stabilisce che minorenni di età inferiore a sei anni possano essere inseriti esclusivamente presso una Comunità di tipo familiare, mentre l’art. 2, c. 4 L. 184/1983 ha imposto il superamento dei ricoveri in istituto, entro il 31 dicembre 2006, per i minorenni di qualsiasi età. Le Comunità di tipo familiare sono gestite da coppie di genitori o da adulti che vi risiedono e possono ospitare fino a un massimo di 6 minori, compresi gli eventuali figli minorenni dei titolari. È accordata la precedenza all’accoglienza di bambini di età inferiore ai 5 anni.

Come si esporrà in seguito, non sempre si è sviluppata nei territori una “rete” di Comunità di tipo familiare in grado di soddisfare le esigenze di minorenni da collocare, in ragione delle difficoltà di reperire coppie disponibili e del contenuto complesso del servizio che deve essere prestato. I paramenti organizzativi e di ricettività delle Comunità sono regolamentati dalle amministrazioni regionali.

Pertanto, come riferito nel capitolo sull’adozione, non è infrequente la destinazione di minorenni in collocamento a Comunità ubicate fuori Regione o distretto. Si rammenta nuovamente che i dati riportati risultano dai questionari compilati da 28 delle 29 Procure minorili.”[2]

Nota bene:

Incredibilmente lo stesso Ministero ci sottolinea in una relazione ufficiale che fa riferimento fino all’anno 2020, firmata dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e da quello di Giustizia che ci sono ancora minori ricoverati in maniera illecita in istituti dicendo a proposito del superamento dei vincoli per il ricovero di minorenni nelle strutture residenziali: “La quasi totalità delle Procure (24, per una quota dell’86%) dichiara che nei territori di propria competenza le Comunità di tipo familiare hanno sostituito completamente gli istituti di ricovero per i minorenni temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo. Viceversa 4 Procure, corrispondenti al 14% di quelle che hanno rilasciato informazioni, ricorre anche al collocamento dei minorenni in Comunità educative assistenziali, in grado comunque di assicurare ai minorenni accudimento specializzato, in quanto il numero dei posti disponibili in Comunità di tipo familiare è inferiore a quello, talora ingente, di minorenni da collocare, tra i quali figurano anche quelli stranieri non accompagnati.” [3]

Quindi da quello che si dice qui, non tutte, ma quasi tutte le comunità sembrerebbero di tipo familiare cosa grandemente in contrasto con l’informazione della stessa relazione fornitaci dallo stesso ministero da noi riportata nel capitolo “La maggioranza dei minori allontanati dalla propria famiglia non vengono mandati in comunità familiari come prescrive la legge.” in cui si dice che dal 2012 al 2019 le comunità di tipo familiare erano state pochissime rispetto a tutte le altre con una media del 16,05%. (nell’anno 2010 erano il 22,0%[4], nell’anno 2011 il 19,6%[5], nell’anno 2012 il 25,5%[6], nell’anno 2014 il 17,0%[7], nell’anno 2017 il 15,9%[8], nell’anno 2019 il 17,7%[9] e nell’anno 2020 il 16,7%.[10])

Per ulteriore chiarezza riportiamo per l’ennesima volta cosa ci dice in proposito proprio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nelle “Linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni” che dice testualmente: “Nello specifico, per accoglienza familiare si intende quella realizzata all’interno di una famiglia preesistente al percorso di inserimento. Per accoglienza di tipo familiare si intende invece quella garantita da adulti che, pur non avendo tra di loro vincoli familiari o parentali, realizzano un ambiente che richiama la dimensione familiare.”[11] E ancora ricordiamo anche che all’art.3 (Strutture di tipo familiare e comunità di accoglienza di minori) del Decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 308, al Comma 1. si dice che:

“Le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono, fino ad un massimo di sei utenti, anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale, devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione. Per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo - assistenziali dei bambini e degli adolescenti, sono stabiliti dalle regioni.”[12]

Infine aggiungiamo che la fondazione AI.BI. “Amici dei Bambini” ha pubblicato il 7 febbraio 2014 un articolo dal titolo “Le comunità educative non sono le “Case Famiglia” previste dalla 149/2001: sono fuori legge e vanno chiuse.” [13] - fra le altre cose l’articolo si chiede - Cosa ha a che vedere con i rapporti familiari una comunità gestita da un direttore che svolge una prestazione lavorativa? Che cosa hanno a che vedere il ruolo di educatori e altre figure professionali retribuite con una organizzazione familiare? La risposta è: nulla. Ecco perché nella mente del legislatore del 2001, già proiettata proprio nel “superamento del ricovero in istituto” c’era la precisa volontà di disseminare nel nostro Paese strutture rivoluzionarie: le case-famiglia. […] É importante allora prendere atto che le comunità non caratterizzate da rapporti e organizzazione analoghi a quelli che si trovano in una famiglia – cioè quelle che non hanno la presenza “qualificante” di una famiglia – sono già oggi fuori legge e dovrebbero essere chiuse, trattandosi – nella sostanza – di piccoli istituti, ovverosia quelli aboliti dalla 149. Nello spirito della stessa legge, è contenuto molto di più che un semplice auspicio: l’unica comunità di tipo “familiare” legittimamente ammessa è, e deve essere, la casa-famigliaTutto quello che rappresenta e ripropone lo schema degli istituti è invece destinato alla chiusura.

Tutto ciò ci conferma che in Italia ci sono regioni che sembrano non tutelare i diritti dei minori e i ministeri lo sanno e lo sanno anche le procure minorili nonostante che l’art.9 L. 184/1983 [e segg. n.d.r.] attribuisca loro il compito di svolgere attività di vigilanza sui minori accolti in strutture residenziali.

Qualcuno vuole provvedere a salvaguardare la vita e l’avvenire di questi bambini e adolescenti già in situazione di grave precarietà per la loro condizione di affidati fuori famiglia?



[10] Per la Sicilia il dato non è calcolabile - Pag.39 QRS-53-Minorenni-affidamento-2020 (9).pdf

sabato 3 febbraio 2024

 


Minori a rischio

(Primo prevenire)

 

La vulnerabilità delle famiglie

La vulnerabilità delle famiglie e quindi dei minori oggi non è soltanto un problema delle famiglie stesse, quanto un problema delle condizioni sociali, economiche e culturali che contribuiscono a generarla, attraverso il cosiddetto “circolo dello svantaggio sociale”:

·       la bassa istruzione genera bassa occupazione;

·       la bassa occupazione basso reddito; il basso reddito, e quindi la condizione di povertà economica, genera povertà educativa e sociale

I bambini spesso arrivano a scuola in evidenti condizioni di disuguaglianza, come dimostra, fra l’altro, l’alta incidenza di minori con bisogni educativi speciali (BES).

Per queste ragioni l’approccio all’intervento sulla vulnerabilità serve per costruire una reale possibilità per questi bambini nei primi mille giorni di vita in particolare, e quindi di interrompere il “circolo dello svantaggio sociale” attraverso l’introduzione di dispositivi quali:

·       educativa domiciliare (home visiting)

·       partenariato fra scuola, famiglia e servizi

e poi, soprattutto:

·       la vicinanza solidale

·       i gruppi dei genitori e dei bambini

Quindi l’obiettivo è sostenere il loro sviluppo garantendo una più alta qualità educativa e relazionale nel loro ambiente familiare e sociale, che possa, a sua volta, contribuire a migliorarne il rendimento scolastico e, conseguentemente, l’integrazione sociale presente e futura, tramite il rafforzamento delle risposte genitoriali e sociali ai loro bisogni di sviluppo.

La fascia della vulnerabilità familiare viene così riconosciuta come uno spazio di speciale opportunità per mettere in campo interventi efficacemente orientati alla prevenzione della povertà e della diseguaglianza sociale, come richiesto dalla:

·       L. 149/2001,

·       da alcune direttive europee

·       dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

·       dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia”[1] 

Quale è il pericolo che corrono i minori quindi

Il pericolo maggiore che oggi riscontriamo, è quello dell’istituzionalizzazione dei bambini che con l’intento o la scusa di aiutarli vengono spesso allontanati dalla loro famiglia d’origine creando in loro, oltre alle problematiche già esistenti quella della perdita di loro punti di riferimento che sono i loro genitori. “Bibbiano docet”.

         Ma vediamo cosa significa istituzionalizzare un minore oggi, oltre all’allontanamento dai propri genitori naturali.

L’Art. 2 comma 4 della legge 184/1983 emendata dalla 149/2001 ci dice che

«Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento a una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia

Quindi deve per prima cosa andare presso i parenti fino al quarto grado e se non ci sono, cosa supponiamo rara, devono essere affidati ad una famiglia.

Solamente se non ci sono famiglie affidatarie questo bambino può alloggiare in una comunità “Familiare per minori” che quindi deve avere le caratteristiche peculiari di una famiglia come leggiamo nella “Quinta relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001 con Periodo di riferimento 2017-2020”

E cioè deve essere un:

 Presidio residenziale che accoglie minori di anni 18 gestito da coppie di genitori o da adulti che vi risiedono e possono ospitare fino a un massimo di 6 minori, compresi gli eventuali figli minorenni dei titolari. È accordata la precedenza all’accoglienza di bambini di età inferiore ai 5 anni.” [2]

Purtroppo oggi in Italia circa 35.000 bambini sono fuori della propria famiglia naturale e circa un 50% nelle comunità che nella maggior parte (nel 82,3%) non sono nemmeno ti “tipo familiare” come stabilirebbe la Legge.

A questo punto questi bambini vanno incontro a grossi problemi fra i quali:

·       Solo il 21,8% (anno 2017) dei bambini messi fuori della famiglia ritornano dai loro genitori[3]

·       Spesso perdono i contatti con i loro fratelli che non sono nella stessa struttura o famiglia. Il 60% non si incontra almeno una volta alla settimana e il 75% non si incontra più volte al mese. In alcuni casi i rapporti si fanno però più rarefatti: per il 18% dei bambini gli incontri si riducono ad alcune volte durante l’anno, ma il 18% perde quasi del tutto i contatti con i fratelli.”[4]

·       A volte i minori stranieri non accompagnati finiscono in comunità non autorizzate.

·       A volte in comunità addirittura abusive[6] nelle quali, a detta anche del procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle D’Aosta, Anna Maria Baldelli in audizione in Commissione infanzia nell'ambito di altra indagine conoscitiva in materia di prostituzione minorile. venivano perpetrati reati di vario tipo ai danni dei minorenni ospitati.

·       Molti dei minori immessi nelle comunità vanno verso una “destinazione ignota” come la chiama il Ministero delle Politiche Sociali, cioè scappano o si rendono introvabili: Nel primo semestre del 2022 non sono stati ritrovati il 41,1% degli italiani e il 70% degli stranieri giunti in Italia[7]

·       Ua volta immessi in comunità a volte ci rimangono per sempre o comunque oltre i due anni consentiti dalla legge 184 e segg. che stabilisce che il termine massimo di permanenza di un minore in affidamento fuori famiglia dovrebbe essere di 2 anni a cui si potrebbe derogare solamente in casi particolari documentati dal servizio sociale. Bene in Italia nel 2019 i minori rimangono oltre i 24 mesi per l’affidamento familiare per il 67,1%[8]dei casi e per l’affidamento in comunità per il 21,2%[9] con punte in Campania del 69,1%[10]

Queste sono solamente alcune delle notizie che vi rimando senza raccontarvi cosa ho visto personalmente come:

·       Dopo due ore informali di intervista di una psichiatra con una madre, la CTU chiede al giudice di allontanarne urgentemente un bambino.

·       Bambini allontanati su una presunzione di pericolosità di una madre, quando questa pericolosità dovrebbe essere certa.

·       Bambini appena nati messi in comunità e non presso una famiglia affidataria.

·       Bambini mandati a curarsi in reparti psichiatrici per grandi.

·       Bambini allontanati perché la famiglia è povera, cosa vietata dall’articolo 1 comma 2 della legge 184 e segg. emendamenti.

·       Invece di allontanare il padre violento si allontanano e sono immessi in una comunità cinque bambini e la madre.

·       La CTU chiede e il giudice sottoscrive che una madre «pericolosa per la stessa incolumità psicofisica della figlia» possa fare contemporaneamente incontri «protetti» e «non protetti»

Quali quindi sono le cure

Sicuramente i Servizi Sociali direte voi, ma non sempre questa è la cura purtroppo “Bibbiano docet” e allora? Allora vi esorto a leggere integralmente un interessantissimo articolo della dr.ssa e assistente sociale Ida Canino,  ripreso dal sito “Assistenti Sociali.org” (Legge quadro 328/2000: Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (assistentisociali.org) su come deve essere interpretata la Legge Quadro 328/2000. È molto importante leggerlo attentamente e meditare poter attuare le direttive di questa fondamentale legge e organizzare un lavoro organico.

Una rete di famiglie, quindi, fare gruppo, avere disponibilità ad aiutare chi ne ha più bisogno, ognuno come può e quando può, ognuno nel suo campo di professionalità o semplicemente una disponibilità di tempo per il fratello che ne ha bisogno, “fratelli tutti” come argomenta Papa Francesco.



[1] Pag.3 del Quaderno della ricerca sociale 47 del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali QRS-47-VEDI PAG 15.pdf

[2] Pag.101-102 Quaderno della Ricerca Sociale 50 QUADERNO 50-2017-2020 Relazione-Legge-149-2001.pdf

[6] Commissione Infanzia fatta nel corso dell’audizione del 31.03.2015, nell’ambito di altra indagine conoscitiva in materia di prostituzione minorile. http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/Documenti/DocumentiParlamentari/parser.asp?idLegislatura=17&categoria=017bis&tipologiaDoc=documento&numero=012&doc=intero

Cfr. http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/Documenti/DocumentiParlamentari/parser.asp?id Legislatura=17&ca